02 luglio 2004
Aggiornamenti e focus
Fobie da dimenticare
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Sarebbe bello avere un pulsante dietro la nuca, un piccolo sportellino da cui estrarre la paura, i brutti pensieri e le preoccupazioni che generano ansia, un po' come nei film di fantascienza. Ancora non è possibile realizzarlo, ma qualcuno si sta già attrezzando: nel cervello dei mammiferi esiste la funzione di immagazzinamento delle esperienze traumatiche su cui si può, sperimentalmente, agire.
Per ora, la scoperta è assolutamente a livello di ricerca scientifica condotta sui topi, ma se l'ansia deriva dalla paura, anche i topi possono diventare ansiosi come gli uomini.
Le persone ansiose avvertono lo stato d'animo nel momento in cui si ritrovano in un contesto che rievoca situazioni passate in cui si è vissuto un trauma, un dolore, un disagio. Lo stato di angoscia che colpisce può avere ripercussioni psichiche e generare condizioni patologiche. Qualcosa di simile accade anche nei topi sottoposti a stimoli combinati: se nella gabbia in cui si trovano viene fatta passare una leggera corrente elettrica e contemporaneamente emesso un suono, dopo che l'associazione di stimoli viene "somministrata" per un certo periodo di tempo, il topo impara a riconoscerlo e anche il solo suono farà spaventare l'animale, anche a distanza di una settimana.
Gli autori della ricerca, un'equipe del Centro Rita Levi Montalcini di Torino, hanno scoperto che la memoria di eventi traumatici, che provocano la paura, viene immagazzinata dopo due o tre giorni grazie a un processo che coinvolge il cervelletto.
Questa porzione del sistema nervoso centrale è sempre stata associata al controllo e alla coordinazione del movimento, in particolare quello che permette di camminare o correre, ma recentemente sono state verificate connessioni con un'altra parte del cervello, l'amigdala. Ed è l'amigdala, un centro nervoso che i mammiferi hanno in comune con i rettili (e quindi filogeneticamente antico) che è connessa con la paura, l'ansia, la percezione e la reazione al pericolo. Ma aldilà delle comunicazioni tra centri cerebrali, nelle sinapsi presenti tra i neuroni del cervelletto dei topi è stata isolata una proteina la cui assenza comporta la rimozione di ricordi recenti. Non a caso i topi privi di questo gene (topi ingegnerizzati, s'intende) non imparavano cos'era la paura di ricevere la scossa elettrica, e al suono emesso rimanevano indifferenti.
Il gene che viene modificato è il GRID2 e di conseguenza anche il suo prodotto, il topo ha la reazione di paura sul momento ma poi la dimentica, mentre non dimentica le altre associazioni innate e più antiche verso altri stimoli come la presenza di un predatore o rumori improvvisi.
Il gene bersaglio è presente anche nel DNA umano ed è molto simile (all'80%) a quello del topo, e quindi, in linea del tutto teorica, per ora, si può ipotizzare di poter spegnere questa memoria a breve termine per traumi ed esperienze spiacevoli anche nell'uomo. Sempre a livello ipotetico, il farmaco che potrebbe venire elaborato sarebbe un sorta di rimedio a posteriori per chi soffre di ansia, da assumere dopo l'esperienza traumatica.
Il trauma si dimentica e le ombre non fanno più paura.
Per quanto si tratti di una fase sperimentale ancora molto precoce, gli autori sottolineano la prudenza con cui dovrebbero essere gestiti tali pazienti con una terapia del genere che interferisce con la memoria, cioè con i ricordi. Si potrebbe pensare a una manipolazione non solo di geni ma anche dei pensieri e su questo, quando sarà il momento, bisognerà fare i conti con l'etica.
Simona Zazzetta
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Per ora, la scoperta è assolutamente a livello di ricerca scientifica condotta sui topi, ma se l'ansia deriva dalla paura, anche i topi possono diventare ansiosi come gli uomini.
Stimoli ansiogeni
Le persone ansiose avvertono lo stato d'animo nel momento in cui si ritrovano in un contesto che rievoca situazioni passate in cui si è vissuto un trauma, un dolore, un disagio. Lo stato di angoscia che colpisce può avere ripercussioni psichiche e generare condizioni patologiche. Qualcosa di simile accade anche nei topi sottoposti a stimoli combinati: se nella gabbia in cui si trovano viene fatta passare una leggera corrente elettrica e contemporaneamente emesso un suono, dopo che l'associazione di stimoli viene "somministrata" per un certo periodo di tempo, il topo impara a riconoscerlo e anche il solo suono farà spaventare l'animale, anche a distanza di una settimana.
Gli autori della ricerca, un'equipe del Centro Rita Levi Montalcini di Torino, hanno scoperto che la memoria di eventi traumatici, che provocano la paura, viene immagazzinata dopo due o tre giorni grazie a un processo che coinvolge il cervelletto.
Cervelli senza paura
Questa porzione del sistema nervoso centrale è sempre stata associata al controllo e alla coordinazione del movimento, in particolare quello che permette di camminare o correre, ma recentemente sono state verificate connessioni con un'altra parte del cervello, l'amigdala. Ed è l'amigdala, un centro nervoso che i mammiferi hanno in comune con i rettili (e quindi filogeneticamente antico) che è connessa con la paura, l'ansia, la percezione e la reazione al pericolo. Ma aldilà delle comunicazioni tra centri cerebrali, nelle sinapsi presenti tra i neuroni del cervelletto dei topi è stata isolata una proteina la cui assenza comporta la rimozione di ricordi recenti. Non a caso i topi privi di questo gene (topi ingegnerizzati, s'intende) non imparavano cos'era la paura di ricevere la scossa elettrica, e al suono emesso rimanevano indifferenti.
Il gene che viene modificato è il GRID2 e di conseguenza anche il suo prodotto, il topo ha la reazione di paura sul momento ma poi la dimentica, mentre non dimentica le altre associazioni innate e più antiche verso altri stimoli come la presenza di un predatore o rumori improvvisi.
Il gene bersaglio è presente anche nel DNA umano ed è molto simile (all'80%) a quello del topo, e quindi, in linea del tutto teorica, per ora, si può ipotizzare di poter spegnere questa memoria a breve termine per traumi ed esperienze spiacevoli anche nell'uomo. Sempre a livello ipotetico, il farmaco che potrebbe venire elaborato sarebbe un sorta di rimedio a posteriori per chi soffre di ansia, da assumere dopo l'esperienza traumatica.
Il trauma si dimentica e le ombre non fanno più paura.
Per quanto si tratti di una fase sperimentale ancora molto precoce, gli autori sottolineano la prudenza con cui dovrebbero essere gestiti tali pazienti con una terapia del genere che interferisce con la memoria, cioè con i ricordi. Si potrebbe pensare a una manipolazione non solo di geni ma anche dei pensieri e su questo, quando sarà il momento, bisognerà fare i conti con l'etica.
Simona Zazzetta
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