22 settembre 2006
Aggiornamenti e focus
Quando l'ansia rende asociali
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Molte persone possono avere momenti di timidezza o di ansia di non apparire all'altezza quando sono in pubblico, ma se queste reazioni sono amplificate, ripetute e fortemente stressanti, si può sospettare la presenza di un vero e proprio disturbo sociale d'ansia, quello che in psichiatria si chiama anche fobia sociale. Un problema in realtà piuttosto diffuso, specie nel sesso femminile, e spesso non riconosciuto, che ha le sue radici fino nell'infanzia dato che bambini eccessivamente timidi e inibiti nei comportamenti rischiano di svilupparlo entro l'adolescenza, forse con il contributo di genitori iperprotettivi e ipercritici. In seguito peggiora e diventa cronico, con ripercussioni anche pesanti sul rendimento scolastico o lavorativo, fino a far disertare lezioni o appuntamenti, e in generale spingendo all'evitamento sociale, tanto che queste persone hanno meno probabilità di sposarsi. La fobia sociale sarebbe causata da fattori ereditari e ambientali; le visualizzazioni con il neuroimaging hanno evidenziato un'aumentata reattività nella zona cerebrale dell'amigdala per esposizione a uno stimolo "sociale" quale una faccia, e alcuni studi sia anomalie a carico dei neurotrasmettitori serotonina e dopamina, sia un'incrementata reattività del sistema nervoso autonomo in situazioni che provocano paura.
Se la si inquadra correttamente la fobia sociale può però essere affrontata, in molti casi con successo, riuscendo a riportare il soggetto a una vita di relazione normale; tra l'altro chi ne soffre sviluppa disturbi associati come alcolismo o depressione e la coesistenza con quest'ultima può aumentare anche il rischio suicidario. La diagnosi si effettua in base alla presentazione clinica, cioè a una serie codificata di sintomi quali, per esempio, continui imbarazzo e timore di essere giudicati negativamente dagli altri, preoccupazione di sudare o parlare con voce tremolante o arrossire così esageratamente da essere notati, attacchi di panico che insorgono in situazioni ansiogene; la fobia sociale, o disturbo sociale d'ansia non generalizzato performance-type, si distingue dal disturbo d'ansia generalizzato perché questi sintomi sono prevalentemente associati a situazioni di tipo sociale. Ansia ed evitamento sociale possono poi essere conseguenza dell'imbarazzo legato ad altre condizioni, quali l'obesità o la balbuzie, ma anche queste forme secondarie o derivate possono trarre beneficio dagli approcci terapeutici seguiti per quelle primarie.
Contro la fobia sociale due sono le strategie utilizzabili, la terapia cognitivo-comportamentale e quella farmacologica, di preferenza iniziando con la prima e se occorre passando alla seconda, soprattutto quando si tratta di bambini o adolescenti. L'obiettivo della psicoterapia è interrompere il circolo vizioso per cui pensieri negativi ed evitamenti anticipatori inducono un peggioramento degli atteggiamenti ansiosi così da aumentare l'autoisolamento; si insegna per esempio a gestire l'ansia anche con l'aiuto di tecniche di rilassamento e a proporsi atteggiamenti costruttivi, con l'ausilio di materiale informativo ed esercizi da svolgere al domicilio. Questo tipo di approccio è apparso più efficace rispetto a nessun trattamento o ai gruppi di supporto, con miglioramenti in genere dopo 6-12 settimane di sedute settimanali, con risultati positivi nella maggioranza dei soggetti con il disturbo che si manterrebbero sul lungo periodo. L'altra via è quella farmacologica, che può essere di prima scelta in casi quali preferenza del paziente o indisponibilità di uno psicoterapeuta, oppure se sono associati disturbi come una depressione marcata. Quanto ai farmaci, varie classi si sono dimostrate efficaci negli studi clinici che però hanno riguardato prevalentemente i disturbi d'ansia generalizzati, nei quali sono giustificate somministrazioni giornaliere piuttosto che al bisogno; le opzioni apparse di prima linea sono inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) o di serotonina e noradrenalina (SNRI) quale in particolare venlafaxina, oltre a benzodiazepine e altre sostanze, come anticonvulsivanti, antidepressivi, beta-bloccanti. La terapia farmacologica sembra più efficace sul breve periodo, considerando anche il rischio di assuefazione o dipendenza possibile con alcune molecole, e gli eventuali effetti collaterali; per questo si può iniziare con dosi basse aumentandole in seguito se occorre.
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Un circolo vizioso da interrompere
Se la si inquadra correttamente la fobia sociale può però essere affrontata, in molti casi con successo, riuscendo a riportare il soggetto a una vita di relazione normale; tra l'altro chi ne soffre sviluppa disturbi associati come alcolismo o depressione e la coesistenza con quest'ultima può aumentare anche il rischio suicidario. La diagnosi si effettua in base alla presentazione clinica, cioè a una serie codificata di sintomi quali, per esempio, continui imbarazzo e timore di essere giudicati negativamente dagli altri, preoccupazione di sudare o parlare con voce tremolante o arrossire così esageratamente da essere notati, attacchi di panico che insorgono in situazioni ansiogene; la fobia sociale, o disturbo sociale d'ansia non generalizzato performance-type, si distingue dal disturbo d'ansia generalizzato perché questi sintomi sono prevalentemente associati a situazioni di tipo sociale. Ansia ed evitamento sociale possono poi essere conseguenza dell'imbarazzo legato ad altre condizioni, quali l'obesità o la balbuzie, ma anche queste forme secondarie o derivate possono trarre beneficio dagli approcci terapeutici seguiti per quelle primarie.
Psicoterapia versus farmacoterapia
Contro la fobia sociale due sono le strategie utilizzabili, la terapia cognitivo-comportamentale e quella farmacologica, di preferenza iniziando con la prima e se occorre passando alla seconda, soprattutto quando si tratta di bambini o adolescenti. L'obiettivo della psicoterapia è interrompere il circolo vizioso per cui pensieri negativi ed evitamenti anticipatori inducono un peggioramento degli atteggiamenti ansiosi così da aumentare l'autoisolamento; si insegna per esempio a gestire l'ansia anche con l'aiuto di tecniche di rilassamento e a proporsi atteggiamenti costruttivi, con l'ausilio di materiale informativo ed esercizi da svolgere al domicilio. Questo tipo di approccio è apparso più efficace rispetto a nessun trattamento o ai gruppi di supporto, con miglioramenti in genere dopo 6-12 settimane di sedute settimanali, con risultati positivi nella maggioranza dei soggetti con il disturbo che si manterrebbero sul lungo periodo. L'altra via è quella farmacologica, che può essere di prima scelta in casi quali preferenza del paziente o indisponibilità di uno psicoterapeuta, oppure se sono associati disturbi come una depressione marcata. Quanto ai farmaci, varie classi si sono dimostrate efficaci negli studi clinici che però hanno riguardato prevalentemente i disturbi d'ansia generalizzati, nei quali sono giustificate somministrazioni giornaliere piuttosto che al bisogno; le opzioni apparse di prima linea sono inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) o di serotonina e noradrenalina (SNRI) quale in particolare venlafaxina, oltre a benzodiazepine e altre sostanze, come anticonvulsivanti, antidepressivi, beta-bloccanti. La terapia farmacologica sembra più efficace sul breve periodo, considerando anche il rischio di assuefazione o dipendenza possibile con alcune molecole, e gli eventuali effetti collaterali; per questo si può iniziare con dosi basse aumentandole in seguito se occorre.
Elettra Vecchia
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