Donne in cerca di risposte

18 gennaio 2006
Aggiornamenti e focus

Donne in cerca di risposte



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La violenza sulle donne messa in atto dal partner, attuale o ex, in generale definita come violenza domestica, può essere di varia natura ma sempre tale resta. Si può manifestare come violenza fisica, sessuale o emotiva, ma anche la sottrazione delle risorse economiche, come per esempio l'appropriazione forzata dello stipendio stesso o il mancato contributo alle spese per la casa o per la famiglia, può rappresentare un atto coercitivo da parte del partner che, così, nega l'autonomia della donna e ne assume pienamente il controllo. I dati epidemiologici sono spesso incompleti perché non tutti i casi vengono denunciati, ma i numeri sono ugualmente notevoli: negli Stati Uniti, per esempio, ogni anno si verificano 5,3 milioni di incidenti dovuti a violenza domestica su donne.

I segni restano


Le donne che subiscono tali azioni hanno molta più probabilità di andare incontro a disturbi mentali, come depressione e disturbo da stress post-traumatico, abuso di sostanze, dolore cronico, complicanze perinatali. In caso di violenza fisica e sessuale, sono frequenti lesioni, fratture ossee e malattie sessualmente trasmesse, tra cui anche l'AIDS. Non è un caso, infatti, che se ne occupino anche i Centers for Disease Control and Prevention, del Dipartimento della salute americano. E nell'affrontare il tema non tralasciano gli aspetti sociali e comportamentali delle conseguenze della violenza. Viene riconosciuta la difficoltà nell'accedere ai servizi che possono dare sostegno, nel relazionarsi con i medici e tutti gli operatori a cui devono rivolgersi per avere aiuto, e un generale isolamento sociale. Spesso subentrano disturbi del comportamento alimentare e la tendenza a esibire comportamenti sessuali potenzialmente rischiosi.

La risposta è giusta?


Uno degli interlocutori a cui si rivolgono le donne che hanno subito questo tipo di violenza, è il proprio medico di famiglia. Lo fanno con una frequenza tre volte superiore rispetto a donne che non hanno avuto questa esperienza, e lo fanno con forti aspettative. Non possono che essere le donne, quindi, a poter stabilire, o quanto meno valutare, se la risposta ricevuta è stata adeguata o meno. Grazie infatti a una metanalisi, cioè alla revisione di 25 studi pubblicati che hanno avuto per oggetto questo tipo di indagine, è stato possibile definire l'opinione delle donne sui medici ai quali si sono rivolti. Da una delle indagini, fatta a 115 donne con una storia di violenza, è emerso che i medici hanno ascoltato con attenzione e si sono dimostrati sensibili e compassionevoli. Tuttavia, non sono stati ritenuti altrettanto capaci nell'acquisire elementi per definire una terapia che rispondesse ai bisogni specifici della paziente. Per esempio sapere come si è verificata la lesione (se c'era), informarsi sulla sicurezza dei bambini, dare informazioni di supporto e rinnovare l'appuntamento con la paziente. Hanno anche dichiarato di apprezzare il sostegno emotivo ricevuto in via confidenziale, l'ascolto senza giudizio, la rassicurazione che non erano colpevoli di ciò che era accaduto e la comprensione per i sentimenti negativi che in quel momento sentivano. In un'altra inchiesta, che ha coinvolto 130 donne, è stata rilevata la preferenza rispetto al sesso del medico a cui ci si rivolgeva e tre quarti sceglieva un medico donna. Un altro dato interessante, apparentemente in contrasto, raccolto su 375 pazienti, indicava che se c'era con il medico un rapporto molto confidenziale o di conoscenza approfondita, si preferiva rivelare l'atto subito se il medico adottava un approccio meno diretto.Il quadro generale indica che la percezione delle donne che hanno subito violenza domestica, dell'appropriatezza della risposta data dai medici dipende molto dal contesto in cui avviene il consulto. Ed è inoltre condizionato dalla prontezza con cui il medico gestisce gli aspetti del problema e dal tipo di relazione che intercorre tra il medico e la paziente.

Simona Zazzetta



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