27 ottobre 2004
Aggiornamenti e focus, Speciale Salute del respiro
Asma occupazionale da stanare
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Di fronte a una malattia che conosce differenti forme, e magari differenti cause o fattori scatenanti, distinguere tra una e l'altra è fondamentale, anche se poi la terapia non cambia. A questa considerazione non sfugge l'asma. In particolare è sempre fondamentale stabilire se la malattia ha un'origine occupazionale, cioè se è legata all'esposizione a sostanze irritanti dovuta al lavoro svolto dal paziente. Infatti, come scrisse Giovanni Devoto, uno dei fondatori della medicina del lavoro, non è il lavoratore da curare, ma il lavoro; vale a dire che se i disturbi sono dovuti a condizioni che si presentano, in fabbrica, in cantiere o in ufficio è lì che si deve agire per rimuoverle. Altrimenti, se ci si limita a curare chi è colpito si lascia che altri possano ammalarsi.
Sfortunatamente, però, non sempre l'anamnesi dell'asmatico consente di stabilire l'origine occupazionale del disturbo: infatti, più del 50% delle persone colpite da questa forma non fanno presente al medico eventuali esposizioni lavorative.
Oggi però un'èquipe canadese propone un test di laboratorio, o meglio una sua particolare applicazione, che consente di verificare se il fattore scatenante sia il microclima del luogo di lavoro. Si tratta del conteggio di particolari cellule immunitarie, gli eosinofili, nell'escreato del paziente. Il test, secondo lo studio pubblicato dai ricercatori dell'Hopital du Sacré-Coeur di Montreal, va eseguito sia durante l'orario di lavoro sia quando il paziente è nel periodo di riposo. Se si verifica un innalzamento degli eosinofili superiore all'1% durante le ore lavorative rispetto a quando il paziente è a casa è molto probabile che si tratti di asma occupazionale. Certamente non è che finora non esistessero test in grado di discriminare tra questa forma e l'asma allergico tout-court: in effetti il gold standard sono i test di provocazione specifici, cioè condotti facendo inalare al paziente una modica quantità della sostanza che si ritiene responsabile.
Tuttavia questo tipo di test richiede strumentazioni relativamente sofisticate, non presenti in tutti i centri. Inoltre non dice nulla dello stato di infiammazione delle vie aeree che il paziente raggiunge al lavoro, mentre è un dato necessario per calibrare la terapia. Tra l'altro, è dimostrato che i picchi di eosinofili si riducono significativamente quando il paziente fa uso di steroidi per via inalatoria.
Se si tiene ferma la soglia dell'1%, il test ha una sensibilità, eseguito da solo, del 65% e una specificità, cioè la capacità di indicare proprio l'asma occupazionale, pari al 76%. Se si sposta la soglia al 2%, la sensibilità diminuisce, ma la specificità sale all'80%. Sempre secondo gli autori, non si può basare la diagnosi esclusivamente sulla conta degli eosinofili ma per ottimizzare sensibilità e specificità basta condurre il test in abbinamento alla misurazione del picco di flusso espiratorio (PEF). Anche questa è un'indagine relativamente semplice che può essere condotta praticamente dovunque con spirometri portatili.
Maurizio Imperiali
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Sfortunatamente, però, non sempre l'anamnesi dell'asmatico consente di stabilire l'origine occupazionale del disturbo: infatti, più del 50% delle persone colpite da questa forma non fanno presente al medico eventuali esposizioni lavorative.
Al lavoro e a riposo
Oggi però un'èquipe canadese propone un test di laboratorio, o meglio una sua particolare applicazione, che consente di verificare se il fattore scatenante sia il microclima del luogo di lavoro. Si tratta del conteggio di particolari cellule immunitarie, gli eosinofili, nell'escreato del paziente. Il test, secondo lo studio pubblicato dai ricercatori dell'Hopital du Sacré-Coeur di Montreal, va eseguito sia durante l'orario di lavoro sia quando il paziente è nel periodo di riposo. Se si verifica un innalzamento degli eosinofili superiore all'1% durante le ore lavorative rispetto a quando il paziente è a casa è molto probabile che si tratti di asma occupazionale. Certamente non è che finora non esistessero test in grado di discriminare tra questa forma e l'asma allergico tout-court: in effetti il gold standard sono i test di provocazione specifici, cioè condotti facendo inalare al paziente una modica quantità della sostanza che si ritiene responsabile.
Per calibrare la terapia
Tuttavia questo tipo di test richiede strumentazioni relativamente sofisticate, non presenti in tutti i centri. Inoltre non dice nulla dello stato di infiammazione delle vie aeree che il paziente raggiunge al lavoro, mentre è un dato necessario per calibrare la terapia. Tra l'altro, è dimostrato che i picchi di eosinofili si riducono significativamente quando il paziente fa uso di steroidi per via inalatoria.
Se si tiene ferma la soglia dell'1%, il test ha una sensibilità, eseguito da solo, del 65% e una specificità, cioè la capacità di indicare proprio l'asma occupazionale, pari al 76%. Se si sposta la soglia al 2%, la sensibilità diminuisce, ma la specificità sale all'80%. Sempre secondo gli autori, non si può basare la diagnosi esclusivamente sulla conta degli eosinofili ma per ottimizzare sensibilità e specificità basta condurre il test in abbinamento alla misurazione del picco di flusso espiratorio (PEF). Anche questa è un'indagine relativamente semplice che può essere condotta praticamente dovunque con spirometri portatili.
Maurizio Imperiali
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