20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus
Cuori a rischio
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E' un dato di fatto: le condizioni di lavoro sono entrate come una delle possibili cause in buona parte delle malattie cronico-degenerative, che tanto preoccupano i sistemi sanitari. Il caso più studiato da questo punto di vista è quello delle malattie cardiovascolari. L'associazione è palese. Il lavoro stressa, lo stress può provocare complicazioni cardiache. Ora ad aggiungere nuova carne al fuoco è uno studio appena pubblicato da Jama. Lo studio, svoltosi in Canada, cerca di esplorare un aspetto mai troppo valorizzato. Se è assodato, cioè, che un carico di lavoro pesante, in particolare quello chiamato high strain, nel quale a un'alta domanda corrisponde basso potere decisionale, è associato al rischio di un evento coronarico, che ne è delle recidive? Ossia si verificano una seconda volta eventi cardiovascolari?
Finora sono pochi gli studi che hanno cercato di rispondere a questo aspetto. Ad oggi, premettono gli autori, solo due studi prospettici. E i risultati sono stati inconsistenti. Due i principali limiti identificati in questi due studi. Intanto non è stata accertata la durata dell'esposizione psicosociale al lavoro e in più sono stati condotti con un ridotto numero di partecipanti. Il nuovo studio provvede a colmare queste lacune, determinando quanto il carico di lavoro aumenti il rischio di recidiva cardiovascolare in virtù del tempo di esposizione al lavoro e lo fa in una coorte di pazienti considerevole tornata al lavoro dopo un infarto. Si tratta di 972, uomini e donne, di età compresa tra 35 e 59 anni, seguiti tra il febbraio del 1996 e il giugno del 2005. I soggetti esaminati sono stati intervistati all'inizio dello studio, mediamente sei settimane dopo il ritorno al lavoro, e successivamente dopo due e sei anni. Il carico di lavoro, dato dalla combinazione dell'onere psicologico e del potere decisionale sul lavoro, è stato valutato secondo le quattro classiche condizioni di lavoro, la già citata high strain, passive (bassa domanda con bassa decisione), active (elevata domanda con elevata decisione) e, infine, low strain (bassa domanda con elevata decisione), probabilmente la situazione lavorativa ottimale. Le prime due interviste sono state determinati per classificare i pazienti tra quelli sottoposti a alto carico lavorativo in entrambe o non esposti almeno in una delle due. La curva di sopravvivenza statistica è stata realizzata separatamente per due periodi: prima dei 2,2 anni e oltre. Gli esiti clinici sono stati valutati come evento cardiovascolare fatale, infarto non fatale e angina instabile.
I risultati? Ebbene nei sei anni considerati oltre 200 soggetti hanno avuto nuovi problemi cardiaci. Più precisamente 111 hanno avuto un nuovo attacco non fatale, 82 sono stati diagnosticati con angina instabile e 13 sono morti per un secondo attacco. Ma al di là delle recidive, quello che più conta è che i soggetti che hanno evidenziato maggiore stress lavorativo avevano il doppio della probabilità di avere un nuovo evento cardiaco. Un risultato confermato anche considerando altri fattori di rischio coincidenti. Non c'è differenza tra uomini e donne ne in alcun modo hanno un ruolo età, stato civile, livello d'istruzione o status economico. Nemmeno il grado di supporto ricevuto al lavoro interferiva in alcun modo. Le cause non sono così chiare. L'ipotesi è che lo stress lavorativo conduca a modificazioni biologiche tali da incrementare l'infiammazione delle arterie. Ma qualunque sia la causa, concludono gli autori, il dato evidente è che si deve fare di più per supportare lavorativamente i soggetti che hanno già avuto problemi cardiovascolari.
Marco Malagutti
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Il rischio di recidive
Finora sono pochi gli studi che hanno cercato di rispondere a questo aspetto. Ad oggi, premettono gli autori, solo due studi prospettici. E i risultati sono stati inconsistenti. Due i principali limiti identificati in questi due studi. Intanto non è stata accertata la durata dell'esposizione psicosociale al lavoro e in più sono stati condotti con un ridotto numero di partecipanti. Il nuovo studio provvede a colmare queste lacune, determinando quanto il carico di lavoro aumenti il rischio di recidiva cardiovascolare in virtù del tempo di esposizione al lavoro e lo fa in una coorte di pazienti considerevole tornata al lavoro dopo un infarto. Si tratta di 972, uomini e donne, di età compresa tra 35 e 59 anni, seguiti tra il febbraio del 1996 e il giugno del 2005. I soggetti esaminati sono stati intervistati all'inizio dello studio, mediamente sei settimane dopo il ritorno al lavoro, e successivamente dopo due e sei anni. Il carico di lavoro, dato dalla combinazione dell'onere psicologico e del potere decisionale sul lavoro, è stato valutato secondo le quattro classiche condizioni di lavoro, la già citata high strain, passive (bassa domanda con bassa decisione), active (elevata domanda con elevata decisione) e, infine, low strain (bassa domanda con elevata decisione), probabilmente la situazione lavorativa ottimale. Le prime due interviste sono state determinati per classificare i pazienti tra quelli sottoposti a alto carico lavorativo in entrambe o non esposti almeno in una delle due. La curva di sopravvivenza statistica è stata realizzata separatamente per due periodi: prima dei 2,2 anni e oltre. Gli esiti clinici sono stati valutati come evento cardiovascolare fatale, infarto non fatale e angina instabile.
Più aiuto ai lavoratori
I risultati? Ebbene nei sei anni considerati oltre 200 soggetti hanno avuto nuovi problemi cardiaci. Più precisamente 111 hanno avuto un nuovo attacco non fatale, 82 sono stati diagnosticati con angina instabile e 13 sono morti per un secondo attacco. Ma al di là delle recidive, quello che più conta è che i soggetti che hanno evidenziato maggiore stress lavorativo avevano il doppio della probabilità di avere un nuovo evento cardiaco. Un risultato confermato anche considerando altri fattori di rischio coincidenti. Non c'è differenza tra uomini e donne ne in alcun modo hanno un ruolo età, stato civile, livello d'istruzione o status economico. Nemmeno il grado di supporto ricevuto al lavoro interferiva in alcun modo. Le cause non sono così chiare. L'ipotesi è che lo stress lavorativo conduca a modificazioni biologiche tali da incrementare l'infiammazione delle arterie. Ma qualunque sia la causa, concludono gli autori, il dato evidente è che si deve fare di più per supportare lavorativamente i soggetti che hanno già avuto problemi cardiovascolari.
Marco Malagutti
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