Convivere con il cancro si può

15 settembre 2010
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Convivere con il cancro si può



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Ciascuno di noi, di fronte una malattia come il cancro, reagisce in modo diverso, ma gli psicologi che si trovano a sostenere un paziente al momento della diagnosi e lungo il percorso di cura, sono convinti che i diversi vissuti soggettivi possano essere schematizzati. Ogni reazione è mediata da meccanismi difensivi, i più frequenti sono la rassegnazione fatalistica o negazione, la proiezione (attribuire ad altri o a situazioni esterne la causa della malattia), la razionalizzazione (cercare e richiedere informazioni sulla propria patologia), il confronto, la compliance (costruire con i medici un'alleanza terapeutica). «Compito principale degli psico-oncologi» spiega Florence Didier, direttore dell'Unità di Psiconcologia dell'Istituto Oncologico Europeo di Milano «è quello di aiutare il paziente a compiere un percorso di adattamento costruttivo alla malattia, per imparare a gestire lo stress e l'ansia. In questo senso, un certo grado di negazione può aiutare a convivere con il cancro».La negazione però non deve essere un ostacolo al riconoscimento diagnostico e al percorso terapeutico.

Donald Northfelt, oncologo specialista in cancro al seno del Mayo Clinic a Rochester in Minnesota, sostiene che un paziente può rifiutarsi di sentire la parola cancro, perché non crede di essere malato o perché non vuole pensarci, purché condivida con il medico il percorso più opportuno per arrivare alla guarigione. L'oncologo statunitense afferma che la negazione a piccole dosi aiuta ad affrontare il dolore e la paura, in questi casi un atteggiamento diretto e aggressivo da parte del medico non farebbe altro che male. «Molti studi dimostrano che talvolta il meccanismo di negazione aiuta i pazienti oncologici a conservare il benessere e a scongiurare stati psicopatologici come la depressione» afferma Didier. «Pazienti particolarmente sensibili rischiano di non riuscire a sostenere la chemioterapia. Queste persone possono soffrire di una sindrome anticipatoria degli effetti collaterali dei farmaci, arrivando al trattamento citotossico già provati da nausea e vomito. Un aiuto importante può essere la somministrazione di ansiolitici durante la premedicazione chemioterapica, una terapia che allo IEO viene adottata sempre al primo ciclo. «Sulla negazione, poi» conclude la psiconcologa «lavoriamo molto al momento della dimissione e nelle fasi di recupero, perché è necessario rafforzare i meccanismi di difesa e allontanare il costante pensiero della morte per ritornare a vivere. Personalmente seguo le donne che hanno subito un intervento invasivo e ne porteranno i segni per sempre; queste pazienti devono periodicamente sottoporsi a controlli che non vanno affrontati rivivendo ogni volta il trauma subito». Un sostegno psicologico in questo senso è senz'altro necessario, lo stress e la paura potrebbero, infatti, in modo indiretto, contribuire alle recidive del tumore, e soprattutto la depressione è statisticamente correlata a un aumento della mortalità.



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