30 settembre 2011
Aggiornamenti e focus
Sla, staminali e geni aprono la strada verso diagnosi e cura
Tags:
Il puzzle ancora non risolto della Sclerosi laterale amiotrofica conquista ulteriori tasselli: nuove scoperte sulle cause genetiche e nuove prospettive di terapia si aggiungono al bagaglio di conoscenze di una malattia che ancora oggi non è né curabile né facile da diagnosticare. Non esiste, infatti, un esame o un test specifico per confermare la diagnosi, a cui si arriva dopo esame clinico eseguito da un neurologo esperto e analisi che escludono altre patologie.
A ciò che oggi si conosce della genetica di questa malattia, e cioè che la mutazione di un gene chiamato Sod1 (di cui sono state identificate oltre 100 diverse mutazioni) può provocare la malattia nella sua forma familiare, vale a dire ereditaria, si aggiunge la scoperta di un nuovo gene responsabile, c9orf72. La sua mutazione, come spiega Adriano Chiò, direttore del Centro Sla dell'Ospedale Molinette, che ha preso parte allo studio «determina l'alterazione di una proteina che non è stata mai trovata in soggetti sani e pertanto viene considerata responsabile della malattia, ma ancora non conosciamo il meccanismo con cui può provocarla». Lo studio ha analizzato 268 casi familiari di Sla americani, tedeschi e italiani e 402 casi familiari e sporadici (non familiari) finlandesi e ha permesso di scoprire che il 38% dei casi familiari e circa il 20% dei casi sporadici erano portatori di un'alterazione del gene c9orf72. Che si tratti di un importante passo avanti verso una potenziale terapia, lo sostengono gli autori e molti esperti «ma non ci darà risposte domani» aggiunge Chiò «d'altronde il coinvolgimento del gene Sod è noto dal 1993 e dopo 18 anni ancora non si conosce il danno che provoca, ma sono state avviate sperimentazioni su animali per silenziare la sua attività». L'alterazione del gene c9orf72 che è stata scoperta, tecnicamente si chiama espansione genica e come spiega Chiò, oggi «ci sono molti studi su questo tipo di mutazioni e sono considerate più aggredibili da una possibile terapia». I prossimi anni serviranno per studiarla e per comprendere il meccanismo con cui si produce il danno e se può diventare un indicatore di malattia. Va ricordato che la Sla ha, oltre alla componente genetica, anche una componente ambientale: «Non conosciamo le interazioni tra questo gene e l'ambiente, quindi anche queste andranno esplorate, anche perché non è detto che la presenza di un gene si traduca sempre in malattia» sottolinea l'esperto.
Il fronte della terapia procede anche sulla strada della sperimentazione dell'impianto di cellule staminali: «Argomento che genera molte aspettative nei pazienti» ci tiene a sottolineare Giulio Pompilio, direttore scientifico di AriSla, l'Agenzia di ricerca per la Sla «con il rischio di creare turismo sanitario verso paesi in cui le regole sono meno stringenti. Ma il tema richiede un dibattito che deve restare nel rigore scientifico, che per ora ha visto la realizzazione di sperimentazioni precliniche e cliniche nell'ambito di un percorso regolatorio ben preciso». La ricerca sull'uso delle staminali è, infatti, arrivata alla sperimentazione di fase 1, in cui si valuta se una terapia è nociva, e per ora i risultati dicono che non ci sono problemi di sicurezza: «Ma bisogna capire quali staminali usare e con quali metodologie» sottolinea Pompilio. È, infatti, in attesa degli ultimi assensi da parte dei comitati etici lo studio italiano che sperimenterà il trapianto delle staminali neuronali di origine fetale nel midollo dei malati: «Le precedenti ricerche, fatte con le staminali ricavate dal midollo osseo» spiega Letizia Mazzini, responsabile del Centro Sla di Novara «avevano indicato come fosse possibile intervenire chirurgicamente sul midollo dei malati, anche se gli effetti e i benefici erano locali. Per questo il nostro obiettivo sarà di intervenire nelle aree midollari collegate alla respirazione e l'attività motoria superiore». Non ci sono per ora ricadute cliniche per i pazienti e uno degli aspetti critici della ricerca è la mancanza di casi su cui eseguire l'autopsia, procedura che permetterebbe di capire che cosa accade in seguito all'impianto delle staminali. Per esempio nelle sperimentazioni condotte ad Atlanta non è stato possibile farlo, come spiega la dottoressa Mazzini: «Quasi nessuno dei familiari di pazienti deceduti dà il consenso a eseguire questo tipo di indagini, nemmeno per quelli inseriti nella sperimentazione. Risulta quindi molto complesso studiare la patologia nel paziente. Bisognerebbe sensibilizzare i familiari a questo importante aspetto della ricerca sulla Sla».
Simona Zazzetta
In evidenza:
Salute oggi:
- Notizie e aggiornamenti
- Libri e pubblicazioni
- Dalle aziende
- Appunti di salute
- Nutrire la salute
- Aperi-libri
- Allenati con noi
...e inoltre su Dica33: