05 ottobre 2011
Interviste
Tromboembolismo, il rischio aumenta con il tumore
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Nei pazienti colpiti da tumore e che entrano in chemioterapia aumenta il rischio di sviluppare una complicazione chiamata tromboembolismo venoso (Tev). Queste persone sono, infatti, maggiormente esposte alla formazione di coaguli di sangue (trombi) che possono occludere un vaso venoso e le sedi più frequentemente interessate sono gli arti inferiori. La situazione si può ulteriormente complicare, quando il trombo, o un suo frammento, si distacca e risalendo lungo la circolazione venosa raggiunge i polmoni ostruendo il microcircolo creando un'embolia polmonare, molto pericolosa per la vita se non riconosciuta in tempo. Monitoraggio, indagini e trattamenti sono fondamentali per garantire a queste persone una maggiore sopravvivenza e una buona qualità di vita. Ma esiste anche la possibilità di fare prevenzione. Per chiarire tutti questi aspetti, Dica33 ha incontrato Giancarlo Agnelli direttore del Dipartimento di medicina interna dell'Università di Perugia.
Professor Agnelli, perché esiste questo rischio?
Fino a qualche tempo fa si pensava che ci fosse quando il paziente oncologico veniva sottoposto a chirurgia. Ma oggi sappiamo che il 20% dei casi di Tev sono pazienti con tumore e la percentuale aumenta se ricevono una chemioterapia. L'aumento del rischio, rispetto alla popolazione generale, è dovuto a diversi meccanismi, legati fondamentalmente ai processi infiammatori che favoriscono la coagulazione del sangue e quindi la formazione di trombi. Inoltre, alcuni farmaci usati oggi in chemioterapia sono più predisponenti a questo tipo di fenomeno, compresi i più recenti ad azione antiangiogenetica. Se nella chemioterapia vengono inclusi ormoni, il rischio trombotico aumenta, come d'altronde accade nelle donne che assumono la pillola, ma nelle persone sane l'effetto protrombotico è inferiore.
Quali conseguenze può avere sul paziente?
Non sappiamo quanto l'embolia polmonare pesi sulla mortalità, ma dopo le infezioni, rappresenta la causa di morte più comune nei pazienti con tumore. Nella pratica clinica, spesso accade che un paziente risponda bene alla chemioterapia ma, anche a distanza di tempo sviluppa Tev, con un impatto importante perché deve sospendere la chemioterapia, essere ricoverato e assumere una terapia anticoagulante, con eparina a basso peso molecolare per un periodo abbastanza lungo con un aumento di rischio di emorragia. Ne risente la qualità della vita del paziente e, nel caso peggiore, la sua sopravvivenza.
Tutti i pazienti che hanno un tumore corrono questo rischio?
Il rischio aumenta soprattutto con le forme più aggressive, come l'adenocarcinoma del pancreas, tumore del polmone e del tratto gastroenterico, in particolare del colon.In questi pazienti il tromboembolismo si sviluppa più facilmente perché le cellule tumorali producono molte sostante che favoriscono la coagulazione. Anche l'estensione è un fattore predisponente, quindi un tumore che ha già disperso metastasi aumenta la probabilità di problemi di trombosi e questo vale anche per tumore della prostata o della mammella: se sono isolati non comportano il rischio tromboembolitico, se metastatizzano o la mammella è colpita da adenocarcinoma, sì.
Con quali sintomi si manifesta il tromboembolismo venoso?
Il sintomo più comune e facile da riconoscere è un dolore alla gamba, di solito a una sola, cioè monolaterale, e può comparire o accompagnare anche gonfiore e rossore. Anche quando si percepisce una differenza tra un arto e l'altro bisogna sollevare il sospetto. Se il paziente ha già sviluppato embolia polmonare inizia ad avere affanno e dolore toracico. Ma è una patologia molto subdola perché si nasconde in modo ottimale e procede e a volte il paziente muore all'improvviso. Il sospetto è l'arma vincente, perché, per esempio, con un paziente con tumore al polmone che risponde bene alla chemioterapia l'affanno potrebbe essere confuso con un sintomo del tumore e di un'embolia. Con un ecodoppler all'arto inferiore o con una Tac ai polmoni si esegue la diagnosi certa.
Sapendo che questo rischio c'è, lo si può prevenire?
L'attenzione a questa complicanza è recente, risale a circa 4 anni, perché grazie alla medicina e ai nuovi farmaci, la vita dei pazienti con tumore è diventata più lunga, quindi c'è più tempo perché si sviluppi Tev. L'oncologo, quindi, deve sensibilizzarsi a questo aspetto, che va considerato anche tra gli effetti collaterali della chemioterapia, come la nausea, la perdita dei capelli e altri. Questo significa che nella terapia antitumorale deve esserci una terapia di supporto per far vivere il paziente più a lungo e meglio. Una ricerca, che è stata presentata a un recente congresso tenutosi a Stoccolma ha dimostrato che con un fattore anticoagulante, un'eparina a bassissimo peso molecolare, ultra-low, somministrata come profilassi, a dosaggi inferiori della terapia anticoagulante. Ma non è ancora stata approvata.
Simona Zazzetta
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