21 settembre 2013
Interviste
Dalle App agli Alzheimer Cafè: tutte le novità per chi combatte contro la demenza
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Nati in Olanda 16 anni fa (il primo ha visto la luce a Leiden il 15 settembre 1997), da qualche tempo sono arrivati anche in Italia. Sono luoghi dove ascoltare musica, bere qualcosa insieme, giocare a carte: passare il tempo in compagnia di familiari e amici. Sono gli Alzheimer Cafè, dove i malati e chi vuole loro bene possono, insieme, tentare di riempire il vuoto che la malattia scava per dividerli.
Oggi oltre 35 milioni di persone nel mondo fanno i conti con questa malattia neurodegenerativa, e il numero si stima possa raddoppiare entro il 2030 e persino triplicare nel 2050, toccando quota 115 milioni di malati. A loro la comunità scientifica deve dare delle risposte.
E gli Alzheimer Cafè sono una di queste risposte. Spazi informali ricavati in residenze sanitarie assistite, centri diurni integrati, case dedicate, spazi parrocchiali. Qui vengono organizzati per i familiari incontri "guidati" da psicologi, terapisti, medici, assistenti sociali. Mentre per i malati si pensano attività ricreative e piacevoli che li aiutino a non isolarsi dal mondo e a mantenere attivo il cervello.
«Al momento in Italia ne abbiamo contati circa 100, di cui 40 in Lombardia» dice Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione Alzheimer Italia, che ha presentato il primo censimento delle strutture che si occupano dei malati per la Giornata mondiale dell'Alzheimer del 21 settembre scorso.
Ma se gli Alzheimer Cafè sono l'esperienza innovativa che attira l'attenzione in questa dimensione così dolorosa per chi la vive e troppo spesso trascurata (e non va dimenticato che si tratta di circa 1 milione di persone in Italia: 600mila hanno la malattia di Alzheimer gli altri sono colpiti da demenza), rimane la domanda di fondo...
Perché, nonostante i molti anni di ricerca, non sappiamo curare questa malattia?
«Per la complessità che la contraddistingue... Per questo i medici non sono ancora riusciti a capire esattamente qual è la causa, quindi questo ci porta a pensare che ci siano molte concause. Oltretutto la malattia viene diagnosticata quando si manifestano i primi sintomi ma inizia molto prima: almeno dieci, vent'anni prima... Senza dare sintomi... Se si potesse diagnosticare in quel momento sarebbe tutto diverso...».
Perché mettere al centro della Giornata del 21 settembre gli Alzheimer Cafè?
«Abbiamo deciso di organizzare questo convegno per cercare di mettere sotto i riflettori un nuovo approccio che vogliamo avere verso la malattia, per migliorare la vita dei malati e dei loro familiari. L'idea è molto semplice: se non ci sono farmaci che guariscono, noi dobbiamo in qualche modo farci carico di queste persone pensando non alla malattia ma al malato, dobbiamo mettere in grado familiari e operatori di fare una diagnosi dei bisogni del malato, i bisogni specifici e diversi per ogni malato, per migliorare la loro qualità della vita. Non è un'utopia, si può fare...».
Che cosa significa in concreto?
«Molti disturbi sono causati dall'incapacità o dall'impossibilità del malato di adeguarsi alle proprie disabilità. Se una persona perde una gamba tu gli dai una stampella, è un principio protesico che ti guida, lo stesso deve avvenire per l'Alzheimer: in questo caso è il cervello che non funziona e quindi devi cercare di dare una stampella al cervello. Una stampella fatta da persone, ambiente e attività. Le persone che curano devono adeguarsi alle incapacità e cercare di migliorare e mantenere le capacità del malato, non sostituirsi subito a lui: se non riesce a fare una cosa, lasciamolo sbagliare, così mantiene una specie di allenamento a fare, ma soprattutto mantiene la sua dignità personale».
Si dice che il Piano nazionale sia molto vecchio...
«Si dice la verità. Va modernizzato. Lo sostengono tutti i rapporti: i sistemi sociali e sanitari devono adeguarsi, vanno strutturati e modernizzati. Oggi siamo molto, direi troppo, centrati sulla cura della malattia nella sua fase acuta. Ma non c'è continuum di cura nel corso del tempo».
Che fare allora?
«L'importante è il territorio. Oggi operano le Uva (Unità di valutazione Alzheimer) che sono state un primo passo importante, anche se non tutte funzionano a dovere. Ora dovrebbero essere potenziate, con l'obiettivo di diventare un punto di orientamento che indirizzi ai servizi necessari. Il problema è: ma questi servizi ci sono? funzionano?».
Mi pare di capire che siano domande retoriche...
«Esatto. I servizi non ci sono. E invece sul territorio dovrebbero funzionare l'assistenza domiciliare integrata, i centri diurni, i ricoveri temporanei per aggiustare i farmaci, i ricoveri definitivi... Questi sono i servizi indispensabili da fornire a malati e familiari. Ora c'è ne sono troppo pochi e difficili da raggiungere. I familiari non hanno supporto. Noi riceviamo domande disperate di familiari che ci dicono: abbiamo un malato di Alzheimer in casa, che cosa dobbiamo fare?».
Gli Alzheimer Cafè possono essere una risposta?
«In parte sì, sono utili quantomeno per socializzare, per far sì che i familiari non si sentano completamente soli e non si isolino dal contesto sociale. Le famiglie sono lasciate sole e sono in grande difficoltà perché le istituzioni non si fanno carico del malato, che è un malato come tutti gli altri».
La situazione del Paese non aiuta...
«È vero. Viviamo in una società in difficoltà economica, che invecchia sempre di più, in cui la famiglia è sempre più ristretta, le case sono sempre più piccole... È sempre più difficile affrontare la malattia, alcune volte diventa proprio impossibile».
Che consigli pratici possiamo dare ai familiari di un malato?
«La prima cosa è quella di avere pazienza, una pazienza infinita: non è semplice. Poi una cosa molto importante è non turbare la loro sensibilità, per esempio, non parlare mai di lui con altre persone in sua presenza: capiscono tutto, colgono anche solo dagli sguardi, dalle emozioni degli altri... E poi il principio che ci deve guidare è: semplificare la loro vita in tutte le piccole cose della vita quotidiana, dall'abbigliamento alla nutrizione all'igiene personale. Noi abbiamo un vademecum che diamo ai familiari per aiutarli a capire come comportarsi».
Ci sono dei corsi per i familiari?
«Sì, li organizzano le associazioni, sono sempre le associazioni che danno informazioni sulla malattia, su come affrontarla. I corsi vengono tenuti da psicologi, infermieri, medici, assistenti sociali. E sono tutti molto pratici: come fare per...».
Novità tecnologiche?
«Una è l'Alzheimer App che è uno strumento informativo, interattivo, di facile consultazione e aggiornato costantemente e che si può scaricare dal nostro sito».
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