Conoscere l'epilessia per cancellare i pregiudizi

13 febbraio 2017
Interviste

Conoscere l'epilessia per cancellare i pregiudizi



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In passato si credeva che le crisi epilettiche fossero il risultato dell'intervento divino sull'uomo in una visione "magica" della malattia che ancora oggi è difficile da eliminare nonostante i grandi passi avanti di medici e ricercatori nella conoscenza della patologia e delle sue cause.
Fabio Minicucci, Responsabile del Centro Epilessia dell'ospedale San Raffaele di Milano, ci aiuta a conoscere meglio l'epilessia che, nelle sue numerose varianti, colpisce circa 500mila persone in Italia.

Cos'è l'epilessia e quali sono le cause delle crisi epilettiche?
«La crisi epilettica è un disturbo del sistema nervoso centrale durante il quale alcune cellule o tutte le cellule occasionalmente presentano una attività anomale. Per epilessia si intende una malattia caratterizzata dal rischio che le crisi epilettiche possano ripetersi nel tempo. Qualunque patologia a carico del cervello, che sia congenita (difetti alla nascita) o acquisita (infezioni cerebrali, traumi cranici, ecc), può essere causa di crisi epilettiche. Non dimentichiamo poi che una persona potrebbe avere nella sua vita anche una singola crisi per una causa che si presenta in quel momento e che non si ripresenterà mai più. In questo caso non si deve parlare di epilessia».

Le crisi epilettiche sono tutte uguali?
«Assolutamente no, ci sono crisi di tutti i tipi. Le crisi caratterizzate da convulsioni sono quelle più conosciute, ma in alcuni casi avere una crisi epilettica significa anche solo vedere qualcosa che non c'è, avere un ricordo strano, avere piccoli spasmi muscolari. Le differenze dipendono dall'area del cervello che si mette a "lavorare in modo troppo veloce"».

Come si arriva alla diagnosi di epilessia?
«Una volta era più semplice arrivare alla diagnosi: per parlare di epilessia doveva essere dimostrata la tendenza delle crisi a ripetersi e quindi una singola crisi non era sufficiente per arrivare a una diagnosi definitiva. Oggi il discorso è un po' più complesso, ma diciamo che, in linea generale, per parlare di epilessia bisogna avere il sospetto che la persona abbia un rischio maggiore rispetto agli altri di poter sviluppare più crisi».

Qual è dunque il percorso che si segue oggi per arrivare a una diagnosi certa?
«Il percorso fondamentale parte dall'anamnesi, ovvero dalla raccolta di dati sulla crisi ottenuta dal paziente e da coloro che hanno visto l'episodio. Questa è una parte essenziale del percorso dalla quale quasi mai si può prescindere. Poi si utilizzano tecniche come l'elettroencefalogramma per la conferma di epilessia o tecniche di neuroradiologia come risonanza magnetica, Tc o esami angiografici per la conferma della causa. Negli ultimi anni c'è sempre maggiore attenzione alle analisi genetiche, ma in realtà nessun esame è escluso: qualsiasi approccio diagnostico strumentale che sia in grado di mettere in evidenza la presenza di una malattia che coinvolge il cervello potrebbe essere utile per la diagnosi».

Una volta diagnosticato il disturbo, quali sono le terapie?
«Attualmente abbiamo a disposizione almeno 13 farmaci e probabilmente ne arriveranno altri, ma esiste purtroppo una percentuale di pazienti (20-25%) per i quali la terapia farmacologica non funziona. Per loro si utilizzano terapie non farmacologiche, prima tra tutte la chirurgia dell'epilessia riservata ai pazienti con epilessia farmacoresistente, nei quali sia identificabile il punto di partenza delle crisi. Non sempre però è possibile intervenire chirurgicamente senza compromettere la funzionalità del paziente e in questi casi si può utilizzare il cosiddetto "stimolatore vagale", una sorta di pacemaker sottocute collegato al nervo vago, che serve per aumentare l'inibizione cerebrale. Si pensa che le crisi epilettiche siano il risultato di uno sbilanciamento elettrico, cioè di un eccesso di eccitazione delle cellule cerebrali, quindi aumentare l'inibizione potrebbe tenere sotto controllo la crisi».

Ci sono novità in vista nel campo della terapia dell'epilessia?
«Tra le nuove ipotesi di trattamento si potrà forse parlare tra poco di terapie meno convenzionali come la cannabis. Attualmente non è possibile un approccio di questo tipo per tutti i pazienti: mancano evidenze definitive anche se ci sono segnalazioni importanti e l'utilizzazione di preparati "artigianali" non è consigliabile perché il contenuto di principio attivo in ciascuna pianta varia anche notevolmente. Deve sempre essere tenuto presente che l'intervallo tra la dose attiva e quella dannosa è davvero molto ridotto. Anche gli studi molecolari possono dare spunti per la ricerca di nuove terapie mirate, ma al momento non ci sono trattamenti di questo tipo utilizzati in clinica».

Quali sono i fattori scatenanti le crisi e che quindi sarebbe meglio evitare?
«I fattori sono davvero molti: ce ne sono alcuni generici come la carenza di sonno o la temperatura corporea molto elevata, poi ci sono le cosiddette epilessie riflesse, ovvero tutte quelle forme nelle quali uno stimolo identificabile è in grado di scatenare la crisi. Il più diffuso è la stimolazione luminosa intermittente, ma ci sono forme di epilessia riflessa di tutti i tipi: alcuni pazienti hanno crisi da lettura, altri da suoni, dal masticare o dall'alimentarsi, eccetera. Proprio per questa varietà è importante valutare bene il singolo caso prima di proibire a un paziente alcune attività. Un esempio su tutti è il divieto assoluto di usare il computer in caso di diagnosi di epilessia, una raccomandazione che dovrebbe essere probabilmente rivista anche perché oggi non poter utilizzare un computer è forse ancora più invalidante del non avere la patente (altro punto dolente per una persona con epilessia). Vorrei ricordare infine che spesso la scarsa aderenza alla terapia (cioè non seguire la terapia, o seguirla solo in parte, prescritta dallo specialista) è il fattore alla base delle crisi».

A cosa serve, se serve, una giornata sull'epilessia?
«Questa giornata è molto utile soprattutto perché il paziente con epilessia ha ancora grandi problemi sociali e parte di questi problemi è legata all'ignoranza della gente, ai pregiudizi per cui ancora oggi il paziente affetto da epilessia ha problemi non solo a trovare un lavoro, ma anche a costruirsi una vita sentimentale o a inserirsi in una comunità. La conoscenza della malattia è la strategia vincente per abbattere tutti i muri che finiscono per diventare un ulteriore limite per le persone che soffrono di epilessia».

Cristina Ferrario



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