Allattare i neonati al seno non previene la celiachia

13 ottobre 2014
Aggiornamenti e focus

Allattare i neonati al seno non previene la celiachia



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La prestigiosa rivista New england journal of medicine ha da poco pubblicato un paio di studi che raffreddano le speranze di tutti quei genitori convinti che il tipo di cibo dato ai loro figli nei primi periodi di vita possa influenzare il rischio di sviluppare la celiachia. «Contrariamente a quanto si pensava, l'allattamento al seno e una dieta priva di glutine nei primi mesi di vita non servono a proteggere i bimbi dallo sviluppo della celiachia» afferma Alessio Fasano, coautore di uno dei due studi, che poi precisa: «Ciò non significa che allattare al seno sia inutile, anzi, i vantaggi per la salute dei bambini sono davvero tanti, ma non includono la prevenzione della celiachia». È piuttosto la genetica a determinare questo rischio: la presenza di una predisposizione genetica a malattie autoimmuni è oggi l'unica possibilità di predire il rischio di malattia.

La celiachia è un'intolleranza alimentare permanente al glutine, sostanza di tipo proteico contenuta in molti cereali (avena, frumento, orzo, segale, farro, Kamut, e altri ancora), che se non trattata, porta a conseguenze gravi per la salute. Secondo i dati riportati da Epicentro - il portale di epidemiologia dell'Istituto superiore di sanità - in Europa la malattia rappresenterebbe la più comune malattia genetica e in Italia, le stime dell'Associazione Italiana celiachia parlano di un caso ogni 100 persone. Se tali stime fossero corrette, nel nostro Paese ci sarebbero circa 600mila celiaci anche se al momento ne sono stati diagnosticati solo 150mila, con una media di 10mila nuove diagnosi ogni anno.
Questi numeri hanno spinto i ricercatori a dedicare tempo ed energia a comprendere le cause della malattia e le strategie migliori per tenere sotto controllo i sintomi e ad oggi sono stati raggiunti risultati confortanti anche se gli ostacoli da superare sono ancora molti. Identificare la malattia in base ai segni e ai sintomi, per esempio, non è affatto semplice visto che esistono diverse forme della patologia che mostrano sintomatologie diverse, dalla diarrea, all' arresto della crescita all'anemia, accanto a forme prive di sintomi evidenti. Oggi la dieta priva di glutine rappresenta l'unica terapia capace di garantire uno stato di salute ottimale a chi soffre di celiachia.

Il primo dei due studi pubblicati sul New england journal of medicine ha coinvolto più di 700 bambini italiani ritenuti a rischio di celiachia perché membri di famiglie dove la malattia era presente. Metà di loro hanno iniziato a mangiare cibi con glutine all'età di 6 mesi, mentre l'altra metà ha aspettato il compimento del primo anno. E dopo 5 anni di osservazione, i ricercatori sono giunti alla conclusione che ritardare l'incontro dei bimbi con il glutine non modifica il rischio di sviluppare la celiachia, ma ne ritarda comunque la comparsa. «Un ritardo di 8-10 mesi nella comparsa della malattia può essere molto importante dal momento che questo periodo è fondamentale per lo sviluppo di diversi organi incluso il cervello» dice Fasano. E anche il secondo studio, che ha coinvolto 900 bambini a rischio di celiachia, è giunto a conclusioni molto simili. «In base a questi risultati ritengo che la cosa migliore sia tenere sotto stretto controllo i bambini potenzialmente a rischio di sviluppare la malattia» spiega Ivor Hill, gastroenterologo statunitense che poi conclude: «Per il resto l'unica strategia efficace è, per il momento, evitare il glutine».



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