18 novembre 2021
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Mallarini (Bocconi): Pnrr, case di comunità e riforma del territorio
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Finanziamenti che potrebbero non finire nei posti giusti, regole lacunose per utilizzarli, incoerenze sulla necessità di costruire una medicina di prossimità per la popolazione che invecchia: la riforma della medicina del territorio prevista nel Piano nazionale di Ripresa e resilienza del governo Draghi e puntata sulle case della comunità lascia perplessi. Intervistata da Sanità33, Erika Mallarini, associata di Practice di Government, Health and Not for Profit alla scuola di Management dell'Università Bocconi SDA, spiega come il PNRR non risponda tanto all'esigenza di aggregare le forze del servizio sanitario presenti sul territorio (medici di famiglia, pediatri, specialisti, infermieri, farmacie) per dare migliori risposte, quanto a quella di accorpare servizi in modo efficiente. Ma l'accorpamento allontana fisicamente le cure dal paziente. Inoltre, la casa di comunità (non più della salute), offrirà funzioni "sociali", dei comuni, integrandole con le competenze sanitarie delle regioni. Ma nel PNRR i 2 miliardi di fondi europei ad essa destinati sono riportati al capitolo Sanità. È davvero tutto "sotto controllo"?
L'analisi di Mallarini parte dalla difficoltà cronica del Paese ad applicare piani di sviluppo alla Sanità. In particolare, la riforma della medicina del territorio tentata 10 anni fa dalla legge Balduzzi che cercava di aggregare medici convenzionati, specialisti, infermieri in Aggregazioni funzionali ed Unità complesse di cure primarie per migliorare sistematicità dell'organizzazione, continuità, accessibilità alle cure fu fermata soprattutto dalla frammentazione regionale: alcuni territori hanno fatto la loro parte, altri sono fermi. Anche i piani nazionali come quello per la cronicità risentono delle diverse velocità. Per Mallarini, «non basta avere risorse ma occorre saperle impiegare. Con il PNRR, a differenza del piano cronicità abbiamo solo 5 anni di tempo. I tempi stretti hanno generato dibattiti spesso arenatisi di fronte all'idea che la CdC sia una scatola dove inserire servizi, mentre l'obiettivo è rispondere alle esigenze dei pazienti con servizi mirati. E siccome i fragili sono in gran parte anziani e non autosufficienti, tali servizi sarebbero almeno in parte sociali ed andrebbero erogati dai comuni».
Ci sono indizi per capire che si parte con il piede sbagliato. Anziché dal dialogo con il personale sanitario e dalla necessità di metterlo in rete, «si progettano servizi per le "case", dai presidi sociosanitari territoriali ai punti unici di accesso, dalla riconversione dei piccoli ospedali per pazienti a bassa intensità alla presa in carico dei cronici sui quali non c'è una mappatura; ma si avanzano anche candidature di presìdi per la fertilità od aree per giovani disagiati sulla base degli spazi disponibili, del potere dei decisori, delle conoscenze». Secondo indizio, «la casa della comunità prevista nel PNRR anziché avvicinarsi alla casa del malato se ne allontana e concentra professionalità in un punto distante: le 1700 case previste a fine ciclo saranno integrate con il resto del Ssn o saranno modalità a se stanti che assorbono spese?» Mallarini ammette che in alternativa alla prossimità fisica ci può essere quella generata da una piattaforma informatica fruita da medici di medicina generale e farmacie i quali, loro sì, restano capillari. Un ragionamento parallelo a quello espresso da Silvestro Scotti. Per il segretario nazionale dei medici di famiglia Fimmg, la sanità digitale può essere il cavallo di Troia per mettere in relazione il medico con gli altri professionisti consentendogli di lavorare sia nel suo studio sia nelle case di comunità e di aumentare l'intensità assistenziale. Mallarini non scorda però un particolare inquietante: una parte di quel "bit", il fascicolo sanitario elettronico su cui medici e farmacisti lavoreranno, è realizzato dal ministero della transizione digitale e non è a cura del ministero della Salute (oltre ad essere finanziato in Missione 6 sanità al capitolo "Ospedale", ndr).
L'incognita-privati
Alla fine sarà il privato a rilevare una parte dei servizi territoriali? Negli Usa e ora in Uk sono le farmacie ad offrire servizi di telemedicina e medici in locali attigui, accanto alla "cure" la "care". In Italia, sono fiorite "catene" capillari con sedi nelle grandi città senza bisogno di convenzioni con il Ssn. «Il gap pubblico-privato con il PNRR potrebbe accrescersi: mentre nel pubblico si parte dal presupposto che il bisogno di un servizio sanitario non si esaurisce - spiega Mallarini - il privato parte dall'idea per cui la prestazione passa ma la persona resta, e cambia, e tende a formulare richieste nuove. Di qui offerte quali teleassistenza, domotica, servizi domiciliari. Al pubblico, il PNRR offre sì risorse, ma per realizzare contenuti in 5 anni partendo da finanziamenti non di spesa corrente bensì indistinti: si chiede uno sforzo senza precedenti».
Fonte: Sanità33
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La connessione con i comuni
L'analisi di Mallarini parte dalla difficoltà cronica del Paese ad applicare piani di sviluppo alla Sanità. In particolare, la riforma della medicina del territorio tentata 10 anni fa dalla legge Balduzzi che cercava di aggregare medici convenzionati, specialisti, infermieri in Aggregazioni funzionali ed Unità complesse di cure primarie per migliorare sistematicità dell'organizzazione, continuità, accessibilità alle cure fu fermata soprattutto dalla frammentazione regionale: alcuni territori hanno fatto la loro parte, altri sono fermi. Anche i piani nazionali come quello per la cronicità risentono delle diverse velocità. Per Mallarini, «non basta avere risorse ma occorre saperle impiegare. Con il PNRR, a differenza del piano cronicità abbiamo solo 5 anni di tempo. I tempi stretti hanno generato dibattiti spesso arenatisi di fronte all'idea che la CdC sia una scatola dove inserire servizi, mentre l'obiettivo è rispondere alle esigenze dei pazienti con servizi mirati. E siccome i fragili sono in gran parte anziani e non autosufficienti, tali servizi sarebbero almeno in parte sociali ed andrebbero erogati dai comuni».
Prossimità e medici di famiglia
Ci sono indizi per capire che si parte con il piede sbagliato. Anziché dal dialogo con il personale sanitario e dalla necessità di metterlo in rete, «si progettano servizi per le "case", dai presidi sociosanitari territoriali ai punti unici di accesso, dalla riconversione dei piccoli ospedali per pazienti a bassa intensità alla presa in carico dei cronici sui quali non c'è una mappatura; ma si avanzano anche candidature di presìdi per la fertilità od aree per giovani disagiati sulla base degli spazi disponibili, del potere dei decisori, delle conoscenze». Secondo indizio, «la casa della comunità prevista nel PNRR anziché avvicinarsi alla casa del malato se ne allontana e concentra professionalità in un punto distante: le 1700 case previste a fine ciclo saranno integrate con il resto del Ssn o saranno modalità a se stanti che assorbono spese?» Mallarini ammette che in alternativa alla prossimità fisica ci può essere quella generata da una piattaforma informatica fruita da medici di medicina generale e farmacie i quali, loro sì, restano capillari. Un ragionamento parallelo a quello espresso da Silvestro Scotti. Per il segretario nazionale dei medici di famiglia Fimmg, la sanità digitale può essere il cavallo di Troia per mettere in relazione il medico con gli altri professionisti consentendogli di lavorare sia nel suo studio sia nelle case di comunità e di aumentare l'intensità assistenziale. Mallarini non scorda però un particolare inquietante: una parte di quel "bit", il fascicolo sanitario elettronico su cui medici e farmacisti lavoreranno, è realizzato dal ministero della transizione digitale e non è a cura del ministero della Salute (oltre ad essere finanziato in Missione 6 sanità al capitolo "Ospedale", ndr).
L'incognita-privati
Alla fine sarà il privato a rilevare una parte dei servizi territoriali? Negli Usa e ora in Uk sono le farmacie ad offrire servizi di telemedicina e medici in locali attigui, accanto alla "cure" la "care". In Italia, sono fiorite "catene" capillari con sedi nelle grandi città senza bisogno di convenzioni con il Ssn. «Il gap pubblico-privato con il PNRR potrebbe accrescersi: mentre nel pubblico si parte dal presupposto che il bisogno di un servizio sanitario non si esaurisce - spiega Mallarini - il privato parte dall'idea per cui la prestazione passa ma la persona resta, e cambia, e tende a formulare richieste nuove. Di qui offerte quali teleassistenza, domotica, servizi domiciliari. Al pubblico, il PNRR offre sì risorse, ma per realizzare contenuti in 5 anni partendo da finanziamenti non di spesa corrente bensì indistinti: si chiede uno sforzo senza precedenti».
Fonte: Sanità33
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