Parkinson, gli smartwatch possono prevederlo e diagnosticarlo?

13 settembre 2023
Aggiornamenti e focus, Speciale Tecnologie per la salute

Parkinson, gli smartwatch possono prevederlo e diagnosticarlo?



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Una recente ricerca ha dimostrato che gli smartwatch, grazie all'intelligenza artificiale, possono essere in grado di prevedere quando e se un paziente svilupperà il morbo di Parkinson anche fino a sette anni prima che si manifestino i sintomi. A dimostrarlo uno studio del Dementia Research Institute dell'Università di Cardiff pubblicato su Nature Medicine, che traccia la strada alla possibilità di effettuare uno screening a basso costo e non invasivo per la diagnosi precoce della malattia.

Inserendosi nel filone di ricerca di biomarcatori oggettivi per la diagnosi precoce del Parkinson, i ricercatori hanno analizzato i dati raccolti in una sola settimana dagli smartwatch forniti nel 2016 a 103.712 persone all'interno del più ampio progetto di ricerca sulla salute dei britannici della Uk Biobank (che coinvolge in tutto 500mila persone). 273 persone al tempo avevano già una diagnosi di Parkinson, mentre 196 sono state diagnosticate negli anni successivi. Proprio grazie al confronto con questi due gruppi i ricercatori hanno potuto sviluppare un'intelligenza artificiale che ha individuato delle anomalie, segnali precoci che qualcosa stava succedendo nella substantia nigra, cioè la parte del cervello che degenera nella malattia di Parkinson.

In particolare si sono concentrati su sottilissimi sintomi, sia motori che non, che le tecnologie (in particolare gli accelerometri) contenute negli smartwatch riescono a registrare nei loro tracciati confrontando questo biomarcatore digitale con modelli basati su genetica, stile di vita, biochimica del sangue e altri dati classici. Il dato accelerometrico è stato in grado di rilevare, e anche predire, il Parkinson meglio di altri parametri classici.

L'intelligenza artificiale sviluppata dal team britannico, in particolare, è stata in grado di individuare un modello di diminuzione della mobilità nelle persone con i prodromi del Parkinson rispetto alle oltre 40mila persone del gruppo di controllo. Attraverso utilizza un pattern pre-patologico (che i ricercatori hanno accertato essere tipico del Parkinson e che non è stato osservato per nessun altro disturbo preso a confronto), che comprendeva principalmente la lentezza nei movimenti automatici e l'instabilità posturale. Poiché il 30% della popolazione del Regno Unito indossa regolarmente uno smartwatch, Cynthia Sandor, ricercatrice del Dementia Research Institute dell'Università di Cardiff e prima autrice dello studio, ha pensato alla possibilità di usare i dati raccolti dai dispositivi come strumento di screening precoce della malattia. Il software sviluppato è così in grado capire quali utenti avevano forme iniziali di Parkinson e quali no; è anche stato in grado di distinguere, nella popolazione analizzata, chi avrebbe sviluppato la malattia e quando, fino a sette anni di distanza.
Lo studio ha anche individuato su un campione di 65mila persone una diminuzione della durata e della qualità del sonno sia nelle persone con diagnosi di Parkinson sia in quelle che lo avrebbero sviluppato in seguito.

Anche se occorrerà del tempo prima che quanto scoperto possa essere sfruttato in ambito clinico, il team spera di usare queste informazioni per mettere a punto uno strumento di screening per ampie fasce di popolazione, così da fornire ai pazienti interessati terapie precoci che rallentino la progressione della malattia. "I dispositivi intelligenti in grado di raccogliere i dati attraverso un accelerometro, però, sono indossati quotidianamente da milioni di persone. Sebbene sia necessario fare molto più lavoro prima che questo sistema sia ammesso nella pratica clinica, la nostra scoperta segna un significativo balzo in avanti nella diagnosi precoce della malattia di Parkinson e suggerisce che dispositivi come gli smartwatch potrebbero svolgere un ruolo chiave nel monitoraggio clinico. Troppo spesso, infatti, la diagnosi di Parkinson arriva quando la condizione è ormai in fase avanzata e le cellule cerebrali ormai irreversibilmente danneggiate" ha concluso Sandor.


fonte: Doctor33


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