Mieloma multiplo, belantamab mafodotin: l’esperienza real life dell’Ospedale di Legnano
L'impiego di belantamab mafodotin nel trattamento dei pazienti con mieloma multiplo recidivato-refrattario (MMRR) ha realmente colmato un bisogno clinico insoddisfatto nei pazienti politrattati e resistenti ai farmaci in uso per i pazienti con mieloma multiplo. Il suo utilizzo nella pratica clinica in molti reparti di ematologia specializzati nel trattamento del mieloma multiplo ha portato in pochi anni ad accumulare dati osservazionali della sua efficacia e degli eventuali effetti indesiderati: sono i cosiddetti di 'real life', che risultano molto utili per perfezionare l'impiego farmaco.
Dica33 ha chiesto alla dottoressa Anna Lisa Citro, del reparto di Ematologia dell'Ospedale di Legnano diretto dal dottor Alessandro Corso, di descrivere gli effetti del farmaco suoi pazienti che l'hanno utilizzato.
Risposte globali migliori della sperimentazione
«Come tutti i nostri pazienti che ricevono belantamab, e come risulta anche dal Dreamm-2 e da vari studi real life, i pazienti che rispondono al trattamento lo fanno subito, già a partire dal primo ciclo, poi la risposta va ad approfondirsi man mano che i cicli proseguono» ha spiegato Citro «Dal 2022 a oggi abbiamo preso in carico 9 pazienti in totale; 5 sono ancora in corso di trattamento mentre gli altri quattro (incluso il primo citato) che non hanno proseguito il trattamento sono tutti pazienti che hanno avuto una progressione, spesso durante i primi i primi cicli di terapia».
Rispetto ai dati dello studio clinico DREAMM-2, prosegue la dottoressa, «le nostre risposte globali sono maggiori, forse per una migliore selezione del paziente o per un minor numero di linee precedenti, nel senso che poi - entrato il farmaco in commercio - in tutti i nostri pazienti è stato avviato belantamab come da scheda tecnica, ovvero dopo almeno quattro linee di terapia e dopo esposizione a un inibitore del proteosoma, a un immunomodulante e a un anticorpo anti-CD38, ovvero in pazienti triplorefrattari». La scheda tecnica esclude dal trattamento anche pazienti sottoposti a trapianto allogenico o che hanno una clearance renale al di sotto di 30 ml/min, per cui i pazienti eventualmente in dialisi purtroppo non possono essere avviati su questa linea di trattamento.
Minore anche la tossicità oculare osservata
Prima di iniziare il trattamento con belantamab, «oltre agli esami ematochimici di routine, effettuiamo la valutazione oftalmologica, avendo stretto un ottimo rapporto con la struttura di Oculistica diretta dal dottor Giuseppe Trabucchi, per cui i pazienti vengono valutati prima del primo ciclo e poi anche prima delle ulteriori somministrazioni, in genere fino alla quarta somministrazione. Oltre, solo se vanno incontro a una tossicità oculare» ha spiegato Citro.
Anche per quanto riguarda gli effetti indesiderati di tossicità oculare sottolinea Citro, «abbiamo dati un po' differenti rispetto allo studio clinico, nel senso che su 9 pazienti solo 3 hanno avuto una tossicità oculare e in due di questi pazienti c'è stata la necessità di ridurre il dosaggio del farmaco e di dilazionare quindi la schedula del ciclo della terapia portandola da 3 a 5 o 6 settimane a seconda del paziente». Pertanto i dati real life mostrano «una tossicità inferiore rispetto a quella dello studio clinico» ha sottolineato Citro.
Ottimo profilo di efficacia di belantamab anche a lungo termine
La riflessione condivisa in reparto, aggiunge la specialista, «è che belantamab è un buon farmaco per i pazienti pentarefrattari e la speranza è che venga anticipata la possibilità di trattamento, già difficile in terza linea, soprattutto nel setting del paziente anziano, in quanto ha un ottimo profilo di efficacia anche a lungo termine, di sicurezza e tollerabilità essendo ben gestiti gli effetti collaterali oculari con dose intervallata ogni sei settimane, e di qualità della vita».
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