Dipendenza da lettino

07 aprile 2006
Aggiornamenti e focus

Dipendenza da lettino



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Forse chi dice che all'abbronzatura non "può" rinunciare dice una verità molto più profonda di quanto non pensi. Infatti, alla base dell'affezione di molti per i solarium e i centri di abbronzatura indoor potrebbe esserci un meccanismo di dipendenza. Alla conclusione giunge uno studio piccolo, ma rigoroso, condotto sui frequent tanners, cioè coloro che fanno uso di lettini abbronzanti da 8 a 15 volte al mese, o comunque per più sedute di quante siano necessarie a mantenere l'abbronzatura. Questo gruppo è stato messo a confronto con altrettanti "infrequent tanners" cioè persone che invece usano i dispositivi UV non più di 12 volte l'anno. Lo studio è stato motivato dalla constatazione, in una precedente ricerca degli stessi autori, che chi ricorre spesso all'abbronzatura artificiale è in grado di cogliere, anche alla cieca, la differenza tra lampade che emettono effettivamente raggi ultravioletti e altre che, invece, emettono la stessa luce visibile, sono identiche per aspetto ma non producono UVA. Non solo, ma c'è un effetto di rinforzo, in quanto alla fine della ricerca, il 95% delle volte i partecipanti sceglieva a colpo sicuro il lettino "vero". Quindi, si sono detti i ricercatori, deve esserci qualche altro effetto che segna la differenza, al di là dell'azione estetica. Inoltre, nel corso dello studio era stato osservato che chi aveva scelto la lampada vera mostrava un atteggiamento più rilassato e positivo di chi aveva scelto quella finta.

Sintomi da astinenza


L'ipotesi è che la radiazione ultravioletta possa favorire la produzione di sostanze endogene capaci di legarsi a quei recettori del sistema nervoso e indurre così una risposta piacevole, come accede con la nicotina, gli oppiacei, l'alcol e così via. Per verificare l'ipotesi, lo studio si è avvalso della somministrazione di una sostanza, il naltrexone, capace di legarsi ai recettori degli oppiacei, eliminando la possibilità che a questi recettori si leghino altre sostanze (è la stessa strategia seguita per bloccare l'azione della droga nei tossicodipendenti). Dopo la somministrazione del farmaco, i fanatici dell'abbronzatura diminuivano la loro capacità di cogliere la differenza tra il dispositivo vero e quello finto e, in quattro di loro, cioè la metà esatta del campione, si presentavano gli stessi sintomi di astinenza (principalmente la nausea) che si riscontrano somministrando il naltrexone a chi usa sostanze da abuso. Niente di tutto questo accadeva nelle persone che raramente ricorrevano alle lampade abbronzanti.

Più allegri al sole


Ovviamente i ricercatori parlano di una lieve dipendenza, non certo di una schiavitù paragonabile a quella generata anche soltanto della nicotina, e ritengono che le sostanze attive sulla psiche prodotte dalla cute sottoposta agli UV siano del genere delle endorfine. Queste ultime sono sostanze prodotte naturalmente dall'organismo e coinvolte nei meccanismi di gratificazione che si producono quando si compie un'azione favorevole all'organismo, per esempio bere quando si ha sete. E' ovvia la conclusione che questo succeda anche con l'esposizione alla luce solare, anche se la prova "di laboratorio" è abbastanza difficile, dal momento che creare un sole finto non è per ora cosa facilissima. Però, ci sono dati epidemiologici che potrebbero confortare questa conclusione: per esempio, la minore incidenza di alcune malattie psichiatriche, come la depressione, nei climi più soleggiati (o la maggiore incidenza del suicidio nei climi nordici). Ciò non toglie, comunque che, per quanto piacevole, l'ultravioletto non può essre "assunto" ad libitum.

Gianluca Casponi



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