24 marzo 2005
Aggiornamenti e focus
Il Crohn domato dalle staminali
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Il morbo di Crohn è una malattia infiammatoria dell'intestino in cui la componente immunitaria è fondamentale. Esistono ovviamente trattamenti che consentono di contrastare l'infiammazione e di avere una vita normale, ma la malattia viene ancora considerata cronica, anche se in forme di diversa gravità. Però, partendo dalla sua natura, un gruppo di ricercatori ha voluto verificare se "dando una regolata" al sistema immunitario - gli americani dicono reset - non fosse possibile avere una remissione più sostenuta. Infatti va aggiunto un tassello: una delle ipotesi all'origine della malattia è che il sistema immunitario sia stato traviato dall'incontro con un agente infettivo, probabilmente un virus, e che quindi nel paziente circolino cellule (linfociti) condizionate da quell'incontro e nocive per il tessuto intestinale.
Va detto che questa soluzione sarebbe stata inimmaginabile prima della scoperta delle potenzialità delle cellule staminali, in questo caso di quelle ematopoietiche, cioè di quelle, residenti nel midollo osseo, dalle quali originano le cellule del sangue, compresi i globuli bianchi, ovviamente, e quindi le cellule immunitarie. L'esperimento, dunque, consisteva nel prelievo di cellule staminali dal paziente stesso, nella soppressione delle cellule immunitarie circolanti, in particolare i linfociti CD34, e nella reintroduzione nell'organismo delle staminali prelevate in precedenza. Il trattamento è risultato ben tollerato nei 12 pazienti che partecipavano alla ricerca e nel giro di nove giorni si è assistito alla produzione di neutrofili e piastrine "di nuova generazione". Fin qui il dato tecnico, ma anche quello clinico ha dato soddisfazione ai ricercatori: prima dell'intervento, l'indice di attività della malattia nel gruppo operato aveva una mediana di 291 (la mediana è il valore che divide un gruppo a metà); dopo l'intervento l'indice scendeva a meno di 150, vale a dire in termini tecnici una remissione sostenuta della malattia. Parallelamente diminuivano i sintomi, mentre l'aspetto del tessuto intestinale colpito, valutato mediante radiografia e colonscopia, migliorava più lentamente.
In media i pazienti sono stati tenuti sotto osservazione per più di 18 mesi, e in questo periodo solo un paziente ha subito una ricaduta, dopo 15 mesi dall'impianto delle staminali autologhe. L'esperimento è dunque riuscito, ma si tratta di un risultato preliminare per quanto importante. Inoltre resta aperto un certo numero di questioni, per esempio se sia il caso di proseguire con le cellule autologhe o se non potrebbe essere più efficace il ricorso a staminali ematopoietiche fornite da un donatore compatibile (eterologhe), perché consentirebbe di eliminare davvero radicalmente la linea cellulare che si è dimostrata difettosa. La cosa certa è che il sistema è praticabile, ora si deve passare agli studi clinici veri e propri e a mettere alla prova le diverse soluzioni.
Maurizio Imperiali
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Una nuova generazione di cellule
Va detto che questa soluzione sarebbe stata inimmaginabile prima della scoperta delle potenzialità delle cellule staminali, in questo caso di quelle ematopoietiche, cioè di quelle, residenti nel midollo osseo, dalle quali originano le cellule del sangue, compresi i globuli bianchi, ovviamente, e quindi le cellule immunitarie. L'esperimento, dunque, consisteva nel prelievo di cellule staminali dal paziente stesso, nella soppressione delle cellule immunitarie circolanti, in particolare i linfociti CD34, e nella reintroduzione nell'organismo delle staminali prelevate in precedenza. Il trattamento è risultato ben tollerato nei 12 pazienti che partecipavano alla ricerca e nel giro di nove giorni si è assistito alla produzione di neutrofili e piastrine "di nuova generazione". Fin qui il dato tecnico, ma anche quello clinico ha dato soddisfazione ai ricercatori: prima dell'intervento, l'indice di attività della malattia nel gruppo operato aveva una mediana di 291 (la mediana è il valore che divide un gruppo a metà); dopo l'intervento l'indice scendeva a meno di 150, vale a dire in termini tecnici una remissione sostenuta della malattia. Parallelamente diminuivano i sintomi, mentre l'aspetto del tessuto intestinale colpito, valutato mediante radiografia e colonscopia, migliorava più lentamente.
Una sostituzione più radicale
In media i pazienti sono stati tenuti sotto osservazione per più di 18 mesi, e in questo periodo solo un paziente ha subito una ricaduta, dopo 15 mesi dall'impianto delle staminali autologhe. L'esperimento è dunque riuscito, ma si tratta di un risultato preliminare per quanto importante. Inoltre resta aperto un certo numero di questioni, per esempio se sia il caso di proseguire con le cellule autologhe o se non potrebbe essere più efficace il ricorso a staminali ematopoietiche fornite da un donatore compatibile (eterologhe), perché consentirebbe di eliminare davvero radicalmente la linea cellulare che si è dimostrata difettosa. La cosa certa è che il sistema è praticabile, ora si deve passare agli studi clinici veri e propri e a mettere alla prova le diverse soluzioni.
Maurizio Imperiali
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