Tutto cominciò dall'acqua

20 febbraio 2004
Aggiornamenti e focus

Tutto cominciò dall'acqua



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Uscire dal grembo materno e trovarsi immersi ancora in un liquido a temperatura identica a quella dell'ambiente uterino, deve essere un bel modo di venire al mondo. Una sorta di continuazione del "galleggiamento" nel liquido amniotico che permette al neonato di non modificare bruscamente le "abitudini" acquisite nei nove mesi precedenti. Per esempio, continuano a respirare l'ossigeno trasportato dal cordone ombelicale la cui funzionalità permane per alcuni minuti dopo il parto. In questa breve fase di transizione il piccolo non corre rischi di ipossia e ha il tempo per adattarsi alla vita extrauterina: appoggiato al corpo della madre viene fatto emergere in superficie e comincia a respirare con i propri polmoni.

Meno dolore e meno farmaci


Ma il beneficio non è solo del neonato ma anche della mamma che soffre meno e corre meno rischi di aver bisogno dell'intervento medico per concludere il parto, stando a quanto riportato da un recente studio britannico. In realtà, le 99 donne alla loro prima gravidanza, che hanno preso parte alla ricerca si presentavano al travaglio con una dilatazione minore di 1 cm all'ora (distocia), con la prospettiva, quindi, di un parto difficile, ma in ogni caso a basso rischio (altrimenti sarebbero state escluse dal campione).
A metà del gruppo è stato proposto il parto in acqua. Le pazienti in travaglio sono state fatte accomodare dentro la vasca, sedute e immerse nell'acqua a 36-37° C fino al seno, ogni quattro ore veniva monitorata la dilatazione cervicale, se era di almeno 1 cm all'ora, la paziente veniva lasciata nell'acqua, se era più lenta si procedeva con l'induzione. Le altre donne, invece, sono state subito avviate alla gestione standard della distocia: amniotomia, cioè apertura del sacco amniotico, oppure somministrazione di ossitocina per indurre le contrazioni del travaglio.
Il travaglio in acqua ha dimostrato di essere un ottimo metodo di gestione del dolore in quanto il 47% delle pazienti ha avuto necessità di ricorrere all'anestesia epidurale per concludere il parto, contro un 66% di quelle che erano state sottoposte direttamente a induzione. Inoltre per le donne in travaglio in acqua si è presentata con minor frequenza la necessità di dover passare al metodo standard di induzione del parto.

Per molte ma non per tutte


L'acqua, in realtà, non elimina il dolore, ma crea una condizione di rilassamento fisico, mentale ed emotivo che ne riduce la percezione. Le stesse pazienti dello studio hanno riportato di aver avuto la sensazione di essere più libere nei movimenti e di aver avvertito una maggior riservatezza durante tutto il tempo. La sensazione di leggerezza e di sollievo data dall'immersione nel liquido tiepido rilassa i muscoli e riduce l'effetto gravitazionale facilitando i movimenti verso posizioni più comode o favorenti la discesa del bambino, circostanze, insomma che non possono che rendere più piacevole l'esperienza.
Si direbbe quindi che l'acqua sia la soluzione migliore per partorire, ma non è così per tutte in quanto esistono casi in cui il metodo è sconsigliato. Innanzitutto non è indicato quando il parto è prematuro o post maturo (oltre la 42esima settimana), quando sussistono malattie e c'è necessità di un intenso monitoraggio del bambino e quando la madre soffre di pre-eclampsia. Il parto in acqua per quanto abbia tutte le caratteristiche per essere un'esperienza più che naturale per la mamma e il bambino, in realtà resta ancora una procedura meno diffusa rispetto al parto tradizionale, ragion per cui viene indicata solo in assenza di sospette complicanze, anche se lo studio anglosassone lascia ben sperare anche per questi casi.

Simona Zazzetta



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