01 dicembre 2006
Aggiornamenti e focus
L'infezione cresce
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L’AIDS continua a essere un’emergenza sanitaria globale, il tasso d’infezione non è diminuito nei più avanzati Nord America ed Europa Occidentale ed è anzi in aumento in molti paesi, persino in qualcuno dove si era ridotto. Il bilancio 2006 dell’epidemia non è incoraggiante, pur non essendo tutto negativo. Il nodo resta la prevenzione, che è sicuramente efficace ma laddove non viene sostenuta con programmi adeguati non si fa. Su questi toni il rapporto congiunto UNAIDS-OMS presentato a Ginevra a fine novembre offre un aggiornamento della situazione. A livello globale quasi quaranta milioni di persone, adulti e bambini, sono state colpite dall’HIV, dei quali venticinque nell’Africa sub-Sahariana, nella quale si è registrato anche il 65% dei nuovi casi del 2006. Si infetterebbe con il virus una persona ogni otto secondi, 11 mila al giorno. E’ proprio l’andamento dei nuovi casi l’aspetto più preoccupante: soltanto quest’anno sono stati 4,3 milioni, dei quali 2,8 nella citata area africana, ma con una forte recrudescenza nell’Europa orientale e nell’Asia centrale, dove i tassi sono cresciuti di più del 50% dal 2004 e la velocità di crescita è superiore a quella africana; d’altro canto nello stesso arco di tempo nel resto d’Europa si è avuto un incremento di 40 mila casi (portando oggi i malati a 740 mila). E si conferma che l’infezione è sempre più femminile, dato che colpisce circa 14 donne ogni dieci uomini, in modo più marcato in Africa. Nell’ultimo anno inoltre sono morti per cause legate all’HIV 2,9 milioni di persone.
L’incidenza sembra rimanere stabile dove i programmi per incentivare la prevenzione non vengono sempre mirati sui soggetti a rischio, come nei paesi occidentali più avanzati, o addirittura aumentare quando non vengono attuati per carenza di mezzi e strategie, come nelle nazioni a sviluppo medio o basso: anche dove si è riusciti a ridurre l’infezione l’abbassamento della guardia la fa risalire, caso per esempio dell’Uganda e della Tailandia. Si tratta soprattutto di favorire la prevenzione tra i soggetti più esposti, come i giovani, le donne, i tossicodipendenti, le prostitute e i loro clienti, gli omosessuali, e c’è anche un problema culturale, dato che in molte nazioni (vedi in Africa, anche nel ricco Sudafrica dove l’incremento è continuo) le conoscenze sui rischi da HIV e sulle precauzioni per evitarli sono ancora poco diffuse tra la popolazione, mentre la sorveglianza resta bassa in vaste aree del mondo quali America Latina, Nord Africa e Medio Oriente. Tutto questo senza contare poi il peso dello scarso accesso alle costose terapie che si registra nei paesi più disagiati, cure che in quelli ricchi hanno registrato e registrano continui progressi e hanno consentito di allungare in misura impensabile fino a pochi anni fa la sopravvivenza dei malati, oltre a migliorarne la qualità di vita.
Quanto al nostro paese, prosegue la tendenza alla diminuzione dell'Aids in atto da una decina d'anni, grazie sia alla prevenzione sia alla terapia: basti notare che dai 5.600 casi del 1995 si è passati ai 1.452 del 2005. Dal 1983 a oggi si sono ammalate 140-180mila persone e di queste 110-130 mila sono tuttora vive; circa 25 mila sono i casi di AIDS conclamato. Le nuove infezioni stimate per l'Italia nel 2006 ammontano a 3.500-4.000 (erano 14-18 mila nel 1986), con una distribuzione per vie di trasmissione che vede coinvolti per il 40% i rapporti eterosessuali, per il 35% lo scambio di siringhe infette e per il 20% rapporti omo o bisessuali; il contagio si è spostato nettamente dalla tossicodipendenza al sesso non protetto (per la prima dal 74% del 1985 al 14% del 2004, per il secondo dal 9% al 69%). L'età media alla diagnosi è salita dai 25 anni del 1984 agli oltre 40 di oggi (43 per gli uomini e 39 per le donne) e per il 62% circa avviene in soggetti che non sapevano di essere HIV-positivi, quindi si arriva tardi alla diagnosi e in molti casi c'è una scarsa percezione del rischio infettivo che si corre: fino a dieci anni fa una persona su cinque effettuava in ritardo il test, ora una su due scopre la propria condizione quando è già avanzata. Aumenta la proporzione di donne colpite rispetto agli uomini, inoltre il 20% dei casi nazionali di AIDS si riscontra in extracomunitari, per la metà africani. I dati più tranquillizzanti sono sia quello riguardante i bambini, con un crollo arrivato ormai a tre casi nel 2005, sia quello relativo ai decessi, scesi dai 4.335 del 1994 ai 160 di quest'anno. Nel complesso, insomma, contro l'AIDS bisogna continuare a lottare, senza abbassare la guardia.
Elettra Vecchia
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Risale se si abbassa la guardia
L’incidenza sembra rimanere stabile dove i programmi per incentivare la prevenzione non vengono sempre mirati sui soggetti a rischio, come nei paesi occidentali più avanzati, o addirittura aumentare quando non vengono attuati per carenza di mezzi e strategie, come nelle nazioni a sviluppo medio o basso: anche dove si è riusciti a ridurre l’infezione l’abbassamento della guardia la fa risalire, caso per esempio dell’Uganda e della Tailandia. Si tratta soprattutto di favorire la prevenzione tra i soggetti più esposti, come i giovani, le donne, i tossicodipendenti, le prostitute e i loro clienti, gli omosessuali, e c’è anche un problema culturale, dato che in molte nazioni (vedi in Africa, anche nel ricco Sudafrica dove l’incremento è continuo) le conoscenze sui rischi da HIV e sulle precauzioni per evitarli sono ancora poco diffuse tra la popolazione, mentre la sorveglianza resta bassa in vaste aree del mondo quali America Latina, Nord Africa e Medio Oriente. Tutto questo senza contare poi il peso dello scarso accesso alle costose terapie che si registra nei paesi più disagiati, cure che in quelli ricchi hanno registrato e registrano continui progressi e hanno consentito di allungare in misura impensabile fino a pochi anni fa la sopravvivenza dei malati, oltre a migliorarne la qualità di vita.
In Italia diagnosi tardive
Quanto al nostro paese, prosegue la tendenza alla diminuzione dell'Aids in atto da una decina d'anni, grazie sia alla prevenzione sia alla terapia: basti notare che dai 5.600 casi del 1995 si è passati ai 1.452 del 2005. Dal 1983 a oggi si sono ammalate 140-180mila persone e di queste 110-130 mila sono tuttora vive; circa 25 mila sono i casi di AIDS conclamato. Le nuove infezioni stimate per l'Italia nel 2006 ammontano a 3.500-4.000 (erano 14-18 mila nel 1986), con una distribuzione per vie di trasmissione che vede coinvolti per il 40% i rapporti eterosessuali, per il 35% lo scambio di siringhe infette e per il 20% rapporti omo o bisessuali; il contagio si è spostato nettamente dalla tossicodipendenza al sesso non protetto (per la prima dal 74% del 1985 al 14% del 2004, per il secondo dal 9% al 69%). L'età media alla diagnosi è salita dai 25 anni del 1984 agli oltre 40 di oggi (43 per gli uomini e 39 per le donne) e per il 62% circa avviene in soggetti che non sapevano di essere HIV-positivi, quindi si arriva tardi alla diagnosi e in molti casi c'è una scarsa percezione del rischio infettivo che si corre: fino a dieci anni fa una persona su cinque effettuava in ritardo il test, ora una su due scopre la propria condizione quando è già avanzata. Aumenta la proporzione di donne colpite rispetto agli uomini, inoltre il 20% dei casi nazionali di AIDS si riscontra in extracomunitari, per la metà africani. I dati più tranquillizzanti sono sia quello riguardante i bambini, con un crollo arrivato ormai a tre casi nel 2005, sia quello relativo ai decessi, scesi dai 4.335 del 1994 ai 160 di quest'anno. Nel complesso, insomma, contro l'AIDS bisogna continuare a lottare, senza abbassare la guardia.
Elettra Vecchia
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