07 luglio 2006
Aggiornamenti e focus
L'omocisteina cala ma non aiuta il cervello
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Nonostante la nebulosa di incertezze che ancora circondano le conoscenze sul morbo di Alzheimer e sulle demenze in generale, alcuni punti fermi sono stati tracciati. Anche se ancora non rappresentano una vera e propria strategia terapeutica risolutiva.
Uno degli aspetti della malattia che ha rapito l’attenzione degli esperti sono i livelli di certi nutrienti nel sangue dei pazienti. Sono molti gli studi che hanno segnalato che soggetti con Alzheimer, sospetto o accertato, presentano livelli di omocisteina più alti rispetto a coetanei sani. In altri lavori si dimostrava che c’erano maggiori probabilità di sviluppare la malattia nell’arco di otto anni quando le concentrazioni superavano le 14 micromoli per litro, rispetto a chi aveva livelli inferiori. Anche nello studio di Framingham, isolato un campione di circa mille persone anziane, veniva riportato un rischio doppio di ammalarsi se le concentrazioni superavano il suddetto limite.
L’ipotesi della relazione tra omocisteina e demenza risale al 1998 quando in pazienti con diagnosi istologica di morbo di Alzheimer, vennero riscontrati livelli dell’amminoacido totale effettivamente più alti della norma. Anche le evidenze radiologiche di lesioni della materia bianca, di infarto cerebrale silente e di atrofia della corteccia cerebrale e dell’ippocampo erano positivamente associate a elevate concentrazioni di omocisteina nonché a danni cognitivi.
In questo contesto si inserisce un altro elemento da valutare: esiste una correlazione inversa tra le concentrazioni dell’amminoacido e le concentrazioni di vitamina B12 e di folati. La concomitanza di queste circostanze rende difficile isolare i singoli effetti di ogni nutriente, ma è anche vero che è stato osservato che il deficit delle due vitamine porta al danno cognitivo. Tuttavia, tra i risultati dello studio di Framingham, emergeva anche la conclusione che la concentrazione sanguigna di omocisteina è fattore di rischio forte e indipendente per demenza e morbo di Alzheimer.
La possibilità di abbassare il livello di omocisteina con la supplementazione di folati, con o senza vitamine B, è un’opportunità reale e dimostrata. In più occasioni si è pensato di intervenire in questo modo nella prevenzione di insorgenza della demenza. Ma per ora non è stato possibile dimostrarlo in modo definitivo in quanto i risultati continuano a essere contraddittori. Per esempio, in due studi randomizzati, e contro placebo della durata di quattro mesi non sono stati registrati effetti benefici nei punteggi di valutazione della prestazione cognitiva di soggetti a elevato rischio di demenza o in comunità residenziali di persone anziane. Sospettato di essere di troppo breve durata, è stato allestito un altro lavoro, recentemente pubblicato da New England Journal of Medicine, durato due anni condotto sempre su persone di almeno 65 anni, sane ma con livelli di omocisteina al limite: 13 micromoli per litro. Il trattamento di supplementazione con folati e vitamina B12 confrontata contro placebo, abbassava, come atteso, i livelli della sostanza, ma non modificava i risultati dei test cognitivi che restavano pressoché uguali tra i due gruppi. Lo studio non aveva la pretesa di chiarire se la riduzione dell’omocisteina riduce il rischio di demenza, esclude l’ipotesi che questa condizione migliori le capacità cognitive nelle persone anziane sane. Resta da capire che succede se le persone hanno già segni di demenza o di sospetto morbo di Alzheimer.
Simona Zazzetta
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Uno degli aspetti della malattia che ha rapito l’attenzione degli esperti sono i livelli di certi nutrienti nel sangue dei pazienti. Sono molti gli studi che hanno segnalato che soggetti con Alzheimer, sospetto o accertato, presentano livelli di omocisteina più alti rispetto a coetanei sani. In altri lavori si dimostrava che c’erano maggiori probabilità di sviluppare la malattia nell’arco di otto anni quando le concentrazioni superavano le 14 micromoli per litro, rispetto a chi aveva livelli inferiori. Anche nello studio di Framingham, isolato un campione di circa mille persone anziane, veniva riportato un rischio doppio di ammalarsi se le concentrazioni superavano il suddetto limite.
Ipotesi omocisteina
L’ipotesi della relazione tra omocisteina e demenza risale al 1998 quando in pazienti con diagnosi istologica di morbo di Alzheimer, vennero riscontrati livelli dell’amminoacido totale effettivamente più alti della norma. Anche le evidenze radiologiche di lesioni della materia bianca, di infarto cerebrale silente e di atrofia della corteccia cerebrale e dell’ippocampo erano positivamente associate a elevate concentrazioni di omocisteina nonché a danni cognitivi.
In questo contesto si inserisce un altro elemento da valutare: esiste una correlazione inversa tra le concentrazioni dell’amminoacido e le concentrazioni di vitamina B12 e di folati. La concomitanza di queste circostanze rende difficile isolare i singoli effetti di ogni nutriente, ma è anche vero che è stato osservato che il deficit delle due vitamine porta al danno cognitivo. Tuttavia, tra i risultati dello studio di Framingham, emergeva anche la conclusione che la concentrazione sanguigna di omocisteina è fattore di rischio forte e indipendente per demenza e morbo di Alzheimer.
Il cervello sano non migliora
La possibilità di abbassare il livello di omocisteina con la supplementazione di folati, con o senza vitamine B, è un’opportunità reale e dimostrata. In più occasioni si è pensato di intervenire in questo modo nella prevenzione di insorgenza della demenza. Ma per ora non è stato possibile dimostrarlo in modo definitivo in quanto i risultati continuano a essere contraddittori. Per esempio, in due studi randomizzati, e contro placebo della durata di quattro mesi non sono stati registrati effetti benefici nei punteggi di valutazione della prestazione cognitiva di soggetti a elevato rischio di demenza o in comunità residenziali di persone anziane. Sospettato di essere di troppo breve durata, è stato allestito un altro lavoro, recentemente pubblicato da New England Journal of Medicine, durato due anni condotto sempre su persone di almeno 65 anni, sane ma con livelli di omocisteina al limite: 13 micromoli per litro. Il trattamento di supplementazione con folati e vitamina B12 confrontata contro placebo, abbassava, come atteso, i livelli della sostanza, ma non modificava i risultati dei test cognitivi che restavano pressoché uguali tra i due gruppi. Lo studio non aveva la pretesa di chiarire se la riduzione dell’omocisteina riduce il rischio di demenza, esclude l’ipotesi che questa condizione migliori le capacità cognitive nelle persone anziane sane. Resta da capire che succede se le persone hanno già segni di demenza o di sospetto morbo di Alzheimer.
Simona Zazzetta
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