03 ottobre 2007
Aggiornamenti e focus
Cento anni da neuro
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La Società italiana di Neurologia (SIN) si prepara a festeggiare il suo centenario con il XXXVIII Congresso Nazionale, che si terrà a Firenze dal 13 al 17 ottobre, anticipato durante una conferenza stampa a Milano. Tra gli argomenti che stanno vivendo interessanti sviluppi, troviamo una malattia antica come l'epilessia e uno spettro di disturbi, quelli del dolore neuropatico, d'inquadramento più recente.
Le maggiori conoscenze della storia naturale dell'epilessia - ha spiegato il professor Beghi, a capo del Laboratorio di malattie neurologiche dell'Istituto Mario Negri - e la disponibilità di sofisticati strumenti per l'imaging diagnostico, permettono oggi di distinguere tra singole crisi epilettiche ed epilessia, sin dagli esordi. Una singola crisi di tipo epilettico, infatti, può avere origini diverse e, pur rappresentando un fattore di rischio, non implica necessariamente il ripetersi di altre crisi. Il primo passo che compie il neurologo è quello di verificare tramite elettroencefalogramma e, quando possibile, il racconto di un testimone, le caratteristiche dell'episodio. Quando si tratta di una crisi provocata significa che c'è stato un danno neurologico acuto, cioè una causa che va individuata (e qui sono essenziali TAC e Risonanza magnetica) e corretta. Un grave trauma cranico, un'infezione cerebrale, un ictus, alterazioni del metabolismo, possono scatenare una crisi convulsiva ma, superata la fase acuta, non ci sarà epilessia. Diversamente, la comparsa di una crisi spontanea, cioè senza una causa documentabile, rappresenta un campanello d'allarme. In circa una metà di questi casi, infatti, le crisi si ripresenteranno nei due anni seguenti, mentre nell'altra metà il fenomeno resterà isolato. È a questo punto che la valutazione anamnestica e clinica da parte dello specialista si integra con le priorità contingenti del paziente, nella scelta di iniziare o ritardare un trattamento farmacologico. Trattamento che è solo volto al controllo dei sintomi e perciò mirato a garantire salute e tranquillità psicologica al paziente, prima che all'urgenza di porre una diagnosi irrevocabile.
Di tutt'altro genere è il trattamento farmacologico del dolore neuropatico che, pur con l'entrata in commercio di farmaci moderni e specifici, non si caratterizza ancora per una efficacia sufficiente. Il dolore neuropatico rientra nella più ampia famiglia del dolore cronico, quello che, secondario ad altra malattia, finisce per diventare il problema dominante, come ha spiegato Giorgio Cruccu, ordinario di neurologia all'Università La Sapienza di Roma. Secondo le stime più recenti i medicinali, anche quando prescritti adeguatamente, risolvono solo il 30-40% delle sindromi dolorose e questo nonostante i progressi delle neuroscienze abbiano fatto luce su molti dei meccanismi alla base della percezione del dolore. Gli scienziati hanno chiarito come funziona la nocicezione, cioè la percezione di uno stimolo potenzialmente lesivo e la sua trasmissione; tecnicamente una serie di segnali che definiscono l'intensità e la zona di provenienza dello stimolo. Questo sistema si può studiare e colpire selettivamente con i farmaci: ma è solo una parte del problema. Il dolore, infatti, è la l'interpretazione soggettiva, più o meno spiacevole, dello stimolo percepito; quando il dolore cronicizza diventa sofferenza, cioè un male generalizzato, non più solo fisico, che condiziona negativamente tutti gli aspetti della vita del paziente. Il dolore neuropatico è conseguenza di disfunzioni del sistema nocicettivo, provocate da neuropatie periferiche, sclerosi multipla o ictus cerebrale. Gli approcci farmacologici più recenti mirano a interferire virtuosamente con il sistema di trasmissione nervosa e derivano, infatti, da simili approcci ai neurotrasmettitori, un antidepressivo (duloxetina) e un antiepilettico (pregabalin). Sono molecole efficaci e selettive, come molto efficaci continuano a essere i derivati della morfina, ma tra alleviare il dolore e restituire una vita serena c'è ancora un vuoto che la medicina deve colmare, e non è detto che sia una pillola la soluzione.
Elisabetta Lucchesini
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Dall'epilessia...
Le maggiori conoscenze della storia naturale dell'epilessia - ha spiegato il professor Beghi, a capo del Laboratorio di malattie neurologiche dell'Istituto Mario Negri - e la disponibilità di sofisticati strumenti per l'imaging diagnostico, permettono oggi di distinguere tra singole crisi epilettiche ed epilessia, sin dagli esordi. Una singola crisi di tipo epilettico, infatti, può avere origini diverse e, pur rappresentando un fattore di rischio, non implica necessariamente il ripetersi di altre crisi. Il primo passo che compie il neurologo è quello di verificare tramite elettroencefalogramma e, quando possibile, il racconto di un testimone, le caratteristiche dell'episodio. Quando si tratta di una crisi provocata significa che c'è stato un danno neurologico acuto, cioè una causa che va individuata (e qui sono essenziali TAC e Risonanza magnetica) e corretta. Un grave trauma cranico, un'infezione cerebrale, un ictus, alterazioni del metabolismo, possono scatenare una crisi convulsiva ma, superata la fase acuta, non ci sarà epilessia. Diversamente, la comparsa di una crisi spontanea, cioè senza una causa documentabile, rappresenta un campanello d'allarme. In circa una metà di questi casi, infatti, le crisi si ripresenteranno nei due anni seguenti, mentre nell'altra metà il fenomeno resterà isolato. È a questo punto che la valutazione anamnestica e clinica da parte dello specialista si integra con le priorità contingenti del paziente, nella scelta di iniziare o ritardare un trattamento farmacologico. Trattamento che è solo volto al controllo dei sintomi e perciò mirato a garantire salute e tranquillità psicologica al paziente, prima che all'urgenza di porre una diagnosi irrevocabile.
...al dolore neuropatico
Di tutt'altro genere è il trattamento farmacologico del dolore neuropatico che, pur con l'entrata in commercio di farmaci moderni e specifici, non si caratterizza ancora per una efficacia sufficiente. Il dolore neuropatico rientra nella più ampia famiglia del dolore cronico, quello che, secondario ad altra malattia, finisce per diventare il problema dominante, come ha spiegato Giorgio Cruccu, ordinario di neurologia all'Università La Sapienza di Roma. Secondo le stime più recenti i medicinali, anche quando prescritti adeguatamente, risolvono solo il 30-40% delle sindromi dolorose e questo nonostante i progressi delle neuroscienze abbiano fatto luce su molti dei meccanismi alla base della percezione del dolore. Gli scienziati hanno chiarito come funziona la nocicezione, cioè la percezione di uno stimolo potenzialmente lesivo e la sua trasmissione; tecnicamente una serie di segnali che definiscono l'intensità e la zona di provenienza dello stimolo. Questo sistema si può studiare e colpire selettivamente con i farmaci: ma è solo una parte del problema. Il dolore, infatti, è la l'interpretazione soggettiva, più o meno spiacevole, dello stimolo percepito; quando il dolore cronicizza diventa sofferenza, cioè un male generalizzato, non più solo fisico, che condiziona negativamente tutti gli aspetti della vita del paziente. Il dolore neuropatico è conseguenza di disfunzioni del sistema nocicettivo, provocate da neuropatie periferiche, sclerosi multipla o ictus cerebrale. Gli approcci farmacologici più recenti mirano a interferire virtuosamente con il sistema di trasmissione nervosa e derivano, infatti, da simili approcci ai neurotrasmettitori, un antidepressivo (duloxetina) e un antiepilettico (pregabalin). Sono molecole efficaci e selettive, come molto efficaci continuano a essere i derivati della morfina, ma tra alleviare il dolore e restituire una vita serena c'è ancora un vuoto che la medicina deve colmare, e non è detto che sia una pillola la soluzione.
Elisabetta Lucchesini
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