17 ottobre 2007
Aggiornamenti e focus
Tempestività con i TIA
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Eventi instabili, trattabili e negletti: così titola significativamente il commento sul Lancet a due lavori scientifici che mostrano l'efficacia di strategie di riconoscimento e trattamento precoce dei TIA, ossia gli attacchi ischemici transitori. Al fine di prevenire lo sviluppo peggiore, appunto l'ictus ischemico che è di gran lunga prevalente rispetto all'emorragico e altre forme. Infatti per quest'ultimo il rischio è superiore al 10% nel primo anno e consistente nei primi cinque anni per chi ha subito attacchi transitori, mentre ci sono evidenze che ha avuto dei TIA o degli ictus minori il 30-40% di chi ha presentato in seguito un ictus ischemico. Ecco perché è importante individuare rapidamente i TIA e, ora viene suggerito, intervenire presto: d'altra parte la tempestività è la chiave dell'azione contro l'ictus, come insegnano le campagne di prevenzione quando sottolineano che in casi sospetti bisogna subito rivolgersi al Pronto Soccorso; gli stessi trattamenti trombolitici in fase acuta, dopo il preciso inquadramento diagnostico, hanno poche ore di finestra ideale per avere maggiori chance di successo.
Nell'EXPRESS study, acronimo che indica ricorso precoce alle strategie esistenti per lo stroke (ictus in inglese), si sono confrontati l'approccio tradizionale di rimandare in media di tre giorni la valutazione clinica e di venti il trattamento (fase 1) e quello più rapido di eseguire tutto in un solo giorno (fase 2), in pazienti colpiti da TIA o ictus, metà in una fase e metà nell'altra. La terapia si basava su antitrombotici, su antipertensivi e ipocolesterolemizzanti nei soggetti ad alto rischio in cui erano indicati, se necessario su anticoagulanti e endoarterectomia (intervento per carotidi stenotiche, molto ristrette): trattamenti i primi che si è dimostrato potrebbero ridurre notevolmente il rischio di stroke nei soggetti ad alto rischio, sottolinea il commento, infatti pressione e colesterolo alti, con diabete e stili di vita sbagliati, sono fattori predisponenti modificabili. Sul totale di 1278 pazienti reclutati nell'ambito dell'Oxford Vascular Study, per quelli non ospedalizzati entrati nell'analisi finale è risultato un rischio di ictus ricorrente a 90 giorni pari al 10,3% per la fase 1 contro il 2,1% per la fase 2, vale a dire una diminuzione di circa l'80%: una percentuale che applicata alla popolazione britannica significherebbe la prevenzione di quasi 10mila ictus all'anno.
Anche nel secondo studio, francese, denominato SOS-TIA, si è seguito un metodo simile relativamente a 1085 persone con sospetti attacchi ischemici transitori; il nome del trial si riferisce a un programma d'indagine strumentale neurologica e cardiovascolare eseguita entro 4 ore dall'ammissione. Per i pazienti con diagnosi confermata, tutti sottoposti a profilassi anti-stroke (alcuni trattati con rivascolarizzazione e altri con anticoagulanti), si è evidenziata a 90 giorni un tasso di ictus dell'1,24% contro quello atteso del 5,96%, cioè di nuovo una riduzione del rischio di ricorrenza di TIA circa dell'80%. E c'è un altro vantaggio: grazie alla tempestività garantita dalle strutture dedicate che li avevano presi in carico, i soggetti con diagnosi negativa di TIA sono tornati a casa lo stesso giorno, in quanto non a rischio di ictus, evitando esami e terapie costosi e rischi inutili.
Alla luce di questi risultati, concludono i commentatori, si conferma che la chiave per diminuire il rischio di ictus precoce dopo TIA o stroke minore sia la rapidità diagnostica e terapeutica consentita in particolare da strutture dedicate. Occorre una rinnovata attenzione all'urgenza dell'azione con questi pazienti, pari a quella riservata ai coronaropatici, per impedire che da una condizione non disabilitante passino a una che lo è, l'ictus. Ma anche il paziente, va aggiunto deve fare la sua parte. Prima di tutto con la prevenzione, evitando diete sbagliate, sedentarietà, fumo e sottoponendosi a controlli e cure per la correlata ipertensione, dislipidemie, diabete, obesità. Poi rivolgendosi subito al medico in caso di segni sospetti di TIA, che si differenziano dall'ictus perché durano meno di 24 ore, nella maggioranza dei casi da pochi minuti a un'ora: i più frequenti, a insorgenza improvvisa, sono paresi in un lato o un solo arto, perdita della parola o della vista da un occhio, sdoppiamento delle immagini, cedimento delle gambe, vertigini, nausea, cefalea, amnesia; nell'ictus ci sono anche manifestazioni più gravi.
Elettra Vecchia
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...e inoltre su Dica33:
Probabilità diminuita dell'80%
Nell'EXPRESS study, acronimo che indica ricorso precoce alle strategie esistenti per lo stroke (ictus in inglese), si sono confrontati l'approccio tradizionale di rimandare in media di tre giorni la valutazione clinica e di venti il trattamento (fase 1) e quello più rapido di eseguire tutto in un solo giorno (fase 2), in pazienti colpiti da TIA o ictus, metà in una fase e metà nell'altra. La terapia si basava su antitrombotici, su antipertensivi e ipocolesterolemizzanti nei soggetti ad alto rischio in cui erano indicati, se necessario su anticoagulanti e endoarterectomia (intervento per carotidi stenotiche, molto ristrette): trattamenti i primi che si è dimostrato potrebbero ridurre notevolmente il rischio di stroke nei soggetti ad alto rischio, sottolinea il commento, infatti pressione e colesterolo alti, con diabete e stili di vita sbagliati, sono fattori predisponenti modificabili. Sul totale di 1278 pazienti reclutati nell'ambito dell'Oxford Vascular Study, per quelli non ospedalizzati entrati nell'analisi finale è risultato un rischio di ictus ricorrente a 90 giorni pari al 10,3% per la fase 1 contro il 2,1% per la fase 2, vale a dire una diminuzione di circa l'80%: una percentuale che applicata alla popolazione britannica significherebbe la prevenzione di quasi 10mila ictus all'anno.
Anche nel secondo studio, francese, denominato SOS-TIA, si è seguito un metodo simile relativamente a 1085 persone con sospetti attacchi ischemici transitori; il nome del trial si riferisce a un programma d'indagine strumentale neurologica e cardiovascolare eseguita entro 4 ore dall'ammissione. Per i pazienti con diagnosi confermata, tutti sottoposti a profilassi anti-stroke (alcuni trattati con rivascolarizzazione e altri con anticoagulanti), si è evidenziata a 90 giorni un tasso di ictus dell'1,24% contro quello atteso del 5,96%, cioè di nuovo una riduzione del rischio di ricorrenza di TIA circa dell'80%. E c'è un altro vantaggio: grazie alla tempestività garantita dalle strutture dedicate che li avevano presi in carico, i soggetti con diagnosi negativa di TIA sono tornati a casa lo stesso giorno, in quanto non a rischio di ictus, evitando esami e terapie costosi e rischi inutili.
Non aspettare in caso di sospetto
Alla luce di questi risultati, concludono i commentatori, si conferma che la chiave per diminuire il rischio di ictus precoce dopo TIA o stroke minore sia la rapidità diagnostica e terapeutica consentita in particolare da strutture dedicate. Occorre una rinnovata attenzione all'urgenza dell'azione con questi pazienti, pari a quella riservata ai coronaropatici, per impedire che da una condizione non disabilitante passino a una che lo è, l'ictus. Ma anche il paziente, va aggiunto deve fare la sua parte. Prima di tutto con la prevenzione, evitando diete sbagliate, sedentarietà, fumo e sottoponendosi a controlli e cure per la correlata ipertensione, dislipidemie, diabete, obesità. Poi rivolgendosi subito al medico in caso di segni sospetti di TIA, che si differenziano dall'ictus perché durano meno di 24 ore, nella maggioranza dei casi da pochi minuti a un'ora: i più frequenti, a insorgenza improvvisa, sono paresi in un lato o un solo arto, perdita della parola o della vista da un occhio, sdoppiamento delle immagini, cedimento delle gambe, vertigini, nausea, cefalea, amnesia; nell'ictus ci sono anche manifestazioni più gravi.
Elettra Vecchia
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