Strategie dopo l'ictus

28 maggio 2008
Aggiornamenti e focus

Strategie dopo l'ictus



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L'ictus cerebrale resta ai vertici delle emergenze sanitarie, seconda causa mondiale di morte dopo le malattie coronariche e terza nei paesi industrializzati dopo coronaropatie e cancro. E il carico è enorme anche in termini di disabilità, per la quale in Europa, dove si conta un milione di nuovi casi all'anno, è la prima causa, oltre che tra le prime per uso di risorse assistenziali. Una realtà in futuro peggioramento con l'invecchiamento della popolazione e che ha fatto da sfondo alla 17esima European Stroke Conference, a Nizza. Edizione che ha testimoniato anche una nuova attenzione al problema: si è infatti annunciata un'iniziativa, l'European Stroke Network, con partecipazione di 30 partner istituzionali di 19 paesi, un doppio progetto volto a potenziare la ricerca (21 milioni di finanziamento) e a favorire il recupero post-ictus. Tra l'altro è appena terminato l'aggiornamento 2008 delle Linee guida di gestione e trattamento curato dall'European Stroke Organization, con partecipazione di autori italiani.

Come prevenire la recidiva


Tra i temi di punta sul piano scientifico le possibilità di prevenzione del secondo ictus, per il quale è a forte rischio chi ne ha già subito uno e con conseguenze peggiori, o l'opportunità della mobilizzazione precoce dopo l'attacco. Si sono illustrati i risultati dello studio PRoFESS, che sta per regime di prevenzione per evitare il secondo stroke, il più ampio nel suo genere, condotto su oltre 20 mila soggetti colpiti da ictus ischemico recente arruolati in 695 centri di 35 paesi. I partecipanti sono stati assegnati in modo randomizzato a due diversi approcci di terapia antiaggregante, cioè dipiridamolo a rilascio prolungato (ER-DP) più acido acetilsalicilico (ASA), oppure clopidogrel, un confronto tra due strategie collaudate alle quali si ricorre per ridurre appunto la probabilità di trombi e conseguenti nuovi ictus. La combinazione di dipiridamolo più ASA nella prevenzione secondaria si era già mostrata in due studi migliore rispetto a solo ASA. La valutazione in un periodo medio d'osservazione di due anni e mezzo ha mostrato tassi di prima recidiva simili per i due trattamenti, e analoghi sono risultati anche quelli rispetto a esiti secondari dello stroke, infarto miocardico o morte per causa vascolare. Il rapporto beneficio-rischio espresso dalla combinazione di recidiva di stroke ed eventuale emorragia non è apparso significativamente diverso, né lo erano gli esiti di tipo funzionale tre mesi dopo l'ictus.

Studio anche su riduzione pressoria


Gli stessi soggetti sono stati sottoposti in simultanea per la durata media di due anni e mezzo all'assegnazione randomizzazione all'antipertensivo telmisartan o a un placebo; l'ipertensione è notoriamente il principale fattore di rischio modificabile per l'ictus e le recidive di ictus. Si è visto che nei primi sei mesi d'osservazione non si otteneva con il farmaco una riduzione significativa degli episodi o di altri eventi maggiori rispetto al placebo; tuttavia oltre i sei mesi il numero degli attacchi era inferiore. Per gli autori occorrono comunque studi con riduzioni pressorie maggiori e più prolungate per stabilire l'efficacia clinica nei pazienti post-stroke. Infine, con i diversi approcci antiaggreganti come con quello antipertensivo non sono risultate differenze nella proporzione di pazienti con peggioramento cognitivo e si è concluso che le proprietà neuroprotettive evidenziate con queste molecole in modelli animali di stroke non sono estrapolabili all'uomo.

Mobilizzazione per riabilitare

Una questione importante e dibattuta è poi quella della sicurezza e praticabilità della mobilizzazione molto precoce (VEM) per la riabilitazione dopo l'ictus. I risultati preliminari dello studio AVERT (Very Early Rehabilitation Trial) relativo in totale a 2104 pazienti coinvolti in 30 centri nel mondo, forse il più ampio trial condotto sulla riabilitazione post-stroke, depongono in senso positivo. I partecipanti avevano dai 18 anni in su, conferma di stroke ed erano giunti in ospedale entro 24 ore dall'inizio dei sintomi; il 10% circa aveva ricevuto il trombolitico tPA, attivatore tissutale del plasminogeno: il gruppo di trattamento era costituito da soggetti sottoposti a VEM nelle prime 24 ore dall'esordio. I risultati relativi ai primi 170 soggetti mostrano, a tre mesi, che nei trattati la mortalità è stata abbastanza bassa, il 5,8% e solo in persone oltre i 65 anni, così come è stato contenuto il tasso di effetti indesiderati severi, quali peggioramento dell'ictus, embolia polmonare o infarto miocardico.

Elettra Vecchia



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