30 giugno 2006
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Parole per dormire
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L'insonnia è una condizione che colpisce tra il 9 e il 15% della popolazione adulta e le conseguenze sulla qualità della vita sono notevoli: dalle tensioni in famiglia alla difficoltà di relazioni sociali, dai problemi di concentrazione all'assenteismo o alla produttività sul lavoro. Sono questi i dati emersi dal congresso annuale dell'American Psychiatric Association. In più, hanno detto gli psichiatri convenuti in Canada, l'insonnia non è solo il frutto di condizioni patologiche già diagnosticate, come la depressione, lo stress o le malattie cardiovascolari in costante aumento. Può, invece, essa stessa rappresentare un campanello d'allarme di disordini psichiatrici che andrebbero curati tempestivamente. E in Italia le cose non vanno molto meglio considerato che da un recente incontro milanese è emerso come il problema affligga circa 12 milioni di persone. E la mancanza di riposo si fa sentire anche sulla salute fisica e psichica, con il 67% degli insonni con problemi cardiovascolari e il 70% con ansia e depressione. E i rimedi? Nonostante i numeri e gli effetti su corpo e mente indichino che il problema merita attenzione, secondo gli esperti oggi l'insonnia è trattata poco e male: in pochi, infatti, seguono una terapia e a peggiorare la situazione c'è la diffusa tendenza alle cure fai da te. Sulla stessa lunghezza d'onda uno studio di Jama ha messo a confronto la terapia cognitivo-comportamentale con i farmaci non benzodiazepinici. La ricerca dà ragione al sostegno psicologico.
Il problema, ribadiscono gli autori norvegesi su Jama, è molto diffuso, se si pensa che una percentuale di over 55 tra il 9% e il 55% ne soffre. E i costi sono alti anche dal punto di vista economico, visto che i costi medici diretti si aggirano sui 13,9 miliardi di dollari annuali. Eppure nonostante queste premesse l'85% dei pazienti rimane senza trattamento; due insonni su tre non conoscono le opzioni terapeutiche a disposizione e uno su cinque ricorre a cure fai da te con prodotti da banco e persino all'alcol. Ma come si è svolto lo studio? Il trial, condotto tra il gennaio 2004 e il dicembre 2005, ha confrontato l'efficacia clinica a lungo termine della terapia cognitivo-comportamentale con quella di un medicinale non benzodiazepinico come lo zopiclone. Lo studio ha coinvolto 46 adulti (di cui 22 donne, età media 60,8 anni) con insonnia cronica primaria, cioè non causata da altra malattia. I partecipanti sono stati randomizzati fra terapia comportamentale, zopiclone (7,5 milligrammi a notte) e placebo. Ogni trattamento è durato 6 settimane, poi prolungati a 6 mesi per i gruppi sottoposti alle due terapie. I risultati? I pazienti assegnati alla terapia comportamentale hanno mostrato un miglioramento superiore sia a quelli che avevano assunto placebo sia a quelli trattati con il farmaco. Parlando di numeri il tempo totale di veglia si è ridotto del 52% nel gruppo in terapia psichiatrica, contro una diminuzione del 4% nel gruppo placebo e una del 16% nel gruppo zopiclone.Il tempo complessivo del sonno risulta simile nei tre gruppi, ma i pazienti in terapia comportamentale hanno, dall'esame polisonnografico, una qualità di riposo sicuramente superiore. Nonostante alcuni limiti dello studio, come per esempio il fatto di considerare solo pazienti con insonnia primaria o di considerare pazienti con una qualità del sonno media discreta, i risultati bastano a considerare la terapia cognitivo-comportamentale come efficace nel tempo, mentre quella farmacologica addirittura dà risultati non troppo diversi da quelli registrati con placebo. I farmaci ipnotici, concludono i ricercatori, in virtù dei risultati di questo studio, devono essere prescritti solo nei casi di insonnia acuta. Per il resto occorre potenziare altri interventi di supporto ai pazienti. Per prima ovviamente la terapia cognitivo-comportamentale.
Marco Malagutti
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Lo studio
Il problema, ribadiscono gli autori norvegesi su Jama, è molto diffuso, se si pensa che una percentuale di over 55 tra il 9% e il 55% ne soffre. E i costi sono alti anche dal punto di vista economico, visto che i costi medici diretti si aggirano sui 13,9 miliardi di dollari annuali. Eppure nonostante queste premesse l'85% dei pazienti rimane senza trattamento; due insonni su tre non conoscono le opzioni terapeutiche a disposizione e uno su cinque ricorre a cure fai da te con prodotti da banco e persino all'alcol. Ma come si è svolto lo studio? Il trial, condotto tra il gennaio 2004 e il dicembre 2005, ha confrontato l'efficacia clinica a lungo termine della terapia cognitivo-comportamentale con quella di un medicinale non benzodiazepinico come lo zopiclone. Lo studio ha coinvolto 46 adulti (di cui 22 donne, età media 60,8 anni) con insonnia cronica primaria, cioè non causata da altra malattia. I partecipanti sono stati randomizzati fra terapia comportamentale, zopiclone (7,5 milligrammi a notte) e placebo. Ogni trattamento è durato 6 settimane, poi prolungati a 6 mesi per i gruppi sottoposti alle due terapie. I risultati? I pazienti assegnati alla terapia comportamentale hanno mostrato un miglioramento superiore sia a quelli che avevano assunto placebo sia a quelli trattati con il farmaco. Parlando di numeri il tempo totale di veglia si è ridotto del 52% nel gruppo in terapia psichiatrica, contro una diminuzione del 4% nel gruppo placebo e una del 16% nel gruppo zopiclone.Il tempo complessivo del sonno risulta simile nei tre gruppi, ma i pazienti in terapia comportamentale hanno, dall'esame polisonnografico, una qualità di riposo sicuramente superiore. Nonostante alcuni limiti dello studio, come per esempio il fatto di considerare solo pazienti con insonnia primaria o di considerare pazienti con una qualità del sonno media discreta, i risultati bastano a considerare la terapia cognitivo-comportamentale come efficace nel tempo, mentre quella farmacologica addirittura dà risultati non troppo diversi da quelli registrati con placebo. I farmaci ipnotici, concludono i ricercatori, in virtù dei risultati di questo studio, devono essere prescritti solo nei casi di insonnia acuta. Per il resto occorre potenziare altri interventi di supporto ai pazienti. Per prima ovviamente la terapia cognitivo-comportamentale.
Marco Malagutti
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