Caccia ai geni

24 aprile 2008
Aggiornamenti e focus

Caccia ai geni



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Nella malattia di Parkinson s'indaga attivamente sui coinvolgimenti genetici nelle forme ereditarie, e in parte in quelle sporadiche, con il fine ultimo di trovare nuove chiavi di diagnosi e di trattamento precoce. Il primo obiettivo è chiarire i meccanismi eziopatogenetici della malattia ancora ignoti, e le ultime ricerche genetiche sono proficue. Come quella su GIGYF2 che regola il fattore di crescita IGF1, di cui si parla in un altro pezzo, e corrisponderebbe al gene PARK11: o un'altra appena pubblicata su PLoS nella quale c'entrano i geni mutati PARK-1 e PARK-7 che causano forme ereditarie della malattia; sarebbero almeno 13 questi geni legati al Parkinson sui quali si sta studiando, di recente si è individuata anche una mutazione di PARK8.

In gioco tre fattori connessi


Il Parkinson, come noto, è una malattia neurodegenerativa multifattoriale e colpisce il 3% circa degli ultra 65enni; si sono individuati alcuni geni causali legati a rare forme ereditarie ma sembra abbiano scarse interazioni funzionali, va perciò definito se le proteine alterate prodotte portano alla stessa patogenesi. Nello studio su PLoS gli autori, dell'Istituto Mario Negri e Policlinico di Milano e dell'Università di Padova hanno preso in considerazione due di questi geni mutati, coinvolti in forme familiari a esordio precoce. PARK-1 codifica per l'alfa-sinucleina (alfa-syn), una proteina dalla funzione non nota che è però presente nei corpi di Lewy, inclusioni della substantia nigra che sono un contrassegno del Parkinson; PARK-7 o DJ-I codifica per una proteina non funzionale. Un'ipotesi è che alfa-syn tenda ad aggregarsi e diventare in tal modo tossica, come suggeriscono modelli transgenici ed evidenze nella malattia familiare, un'altra invece che l'aggregazione di alfa-syn contrasti la sua funzione neuroprotettiva relativa tra l'altro all'omeostasi della dopamina. Le alterazioni DJ-I, che sono più frequenti delle mutazioni alfa-syn, ma non si sono potute dimostrare fattori predisponesti nelle forma sporadiche, interferirebbero con la funzione antiossidante, con la fisiologia dei mitocondri e con l'omeostasi della dopamina. Interazioni tra alfa-syn e DJ-I suggeriscono che la seconda possa prevenire la tossicità della prima attraverso l'induzione di un altro gene, HSP70.

Possibili bersagli terapeutici


E qui siamo al senso della ricerca: esplorare le interrelazioni tra alfa-syn, DJ-I e HSP70. Per far questo si è realizzato un modello di stress ossidativo usando una linea cellulare del neuroblastoma umano, con alterazioni indotte delle concentrazioni di alfa-syn e DJ-I. La sintesi dei risultati, senza entrare in dettagli da addetti ai lavori, è la conferma dell'aggregazione di alfa-syn alterato che innesca la neurotossicità e dell'azione neuroprotettiva nei confronti dello stress ossidativo; si conferma anche che DJ-I aumenta l'espressione di HSP70, mentre se DJ-I viene reso silente questo rende le cellule-campione del neuroblastoma più suscettibili allo stimolo ossidativo, espressione di alfa-syn neurotossica e aggregata. In altre parole l'inattivazione di DJ-I può promuovere l'aggregazione alfa-syn e la relativa neurotossicità, e HSP70 è coinvolto nella risposta antiossidante e nella regolazione della formazione delle fibrille di alfa-syn. Cioè alfa-syn è un importante elemento neuroprotettivo il cui deficit dovuto all'aggregazione può quindi concorrere nell' insorgenza del Parkinson. Molto resta da definire sul ruolo di questi e probabilmente di altri fattori implicati nel network neuroprotettivo cerebrale. L'accumularsi di evidenze come queste suggerisce però che fattori quali DJ-I e HSP70, per il loro coinvolgimento nell'azione di contrasto dello stress ossidativo potrebbero diventare futuri bersagli terapeutici.

Elettra Vecchia



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