23 febbraio 2007
Aggiornamenti e focus
Nell'attesa meglio il pesce
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I benefici degli alimenti ittici nella nutrizione umana sono indiscutibili, e anche di recente si è confermato che sono superiori ai potenziali rischi da contaminanti, quale il mercurio, legati a consumi elevati o di predatori quali tonno e spada. A livello prudenziale, in una situazione come la gravidanza è stato comunque suggerito di rimanere entro certi limiti, per esempio una raccomandazione statunitense del 2004 ha consigliato una soglia di 340 grammi di pesce alla settimana. Il cibo marino contiene, però, una fonte preziosa di nutrienti importanti per lo sviluppo cerebrale del feto, in particolare di acidi grassi essenziali come quelli a lunga catena, il docosaesaenoico (DHA) e l'eicosapentaenoico (EPA), i noti omega-3, che devono essere forniti dalla dieta perché la produzione endogena è insufficiente. Per coprire il fabbisogno del nascituro occorre che l'apporto di queste sostanze alla gestante sia adeguato, per il neonato un'importante fonte di rifornimento è poi il latte materno. Un ampio studio osservazionale mette ora in discussione il limite del consumo di pesce in gravidanza, evidenziando che l'apporto di acidi grassi essenziali potrebbe non essere ottimale per lo sviluppo cerebrale del bambino. Sarebbe un'altra conferma della credenza che il pesce faccia bene al cervello.
Gli acidi grassi essenziali sono costituenti lipidici delle membrane cellulari (ricordando che il cervello è fatto in gran parte di lipidi) e hanno altre importanti funzioni nel sistema nervoso centrale. La carenza di queste sostanze si lega ad alterazioni cerebrali e ci sono evidenze che deficit in gravidanza si associano a diversi effetti negativi per le funzioni del cervello del nascituro. Gli autori della ricerca hanno utilizzato lo studio ALSPAC, condotto a Bristol, in Gran Bretagna, per individuare fattori ambientali durante e dopo la gravidanza, come la dieta, che influiscono sulla salute infantile. Si sono considerate 11.875 gestanti alla 32esima settimana che hanno risposto a un questionario sulla loro alimentazione e in dettaglio sui consumi settimanali di alimenti marini, la cui frequenza è stata validata in base a due marker biochimici (DHA nei globuli rossi e mercurio nel cordone ombelicale). Obiettivo è stato accertare, con scale di valutazione, sviluppo cerebrale, livelli cognitivi e comportamentali dei figli tra sei mesi e otto anni d'età, in relazione al consumo settimanale di pesce pari a zero, fino a 340 grammi, maggiore di 340.
Intanto è emerso che il 65% delle partecipanti era rimasto sotto la soglia dei 340 g di pesce alla settimana e il 23% l'aveva superata, quindi c'era anche un 12% che non ne aveva consumato affatto. Fatte le debite correzioni per 28 potenziali fattori confondenti (perinatali, alimentari, sociali, eccetera) è risultato che l'apporto inferiore a 340 era associato a un rischio aumentato per i figli di essere nella fascia con i punteggi inferiori per il quoziente d'intelligenza verbale, in confronto alle donne con apporti più elevati. I consumi di pesce più bassi sono apparsi associati anche con un maggior rischio di livelli subottimali per i comportamenti come emotività e attività, per le capacità motorie, per quelle comunicative e di socializzazione. Quindi abbondare con il pesce in gravidanza non solo non ha avuto effetti negativi per lo sviluppo cerebrale dei figli (vedi neurotossicità da mercurio), ma al contrario ha evidenziato effetti benefici. Una ragione, secondo gli autori, per non considerare adeguato il limite dei 340 grammi settimanali per le gestanti. Benché il mercurio nella catena alimentare marina sia potenzialmente nocivo, il rischio di una perdita di benefici per lo sviluppo cerebrale infantile dovuta allo scarso consumo materno supererebbe infatti quello di quantità minime di contaminante (mentre nel caso preso a esempio, quello di Minamata, c'era stato un fortissimo inquinamento industriale). Anche in gravidanza, insomma, la bilancia pende dalla parte del piatto con il pesce.
Viviana Zanardi
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Fonte di acidi grassi essenziali
Gli acidi grassi essenziali sono costituenti lipidici delle membrane cellulari (ricordando che il cervello è fatto in gran parte di lipidi) e hanno altre importanti funzioni nel sistema nervoso centrale. La carenza di queste sostanze si lega ad alterazioni cerebrali e ci sono evidenze che deficit in gravidanza si associano a diversi effetti negativi per le funzioni del cervello del nascituro. Gli autori della ricerca hanno utilizzato lo studio ALSPAC, condotto a Bristol, in Gran Bretagna, per individuare fattori ambientali durante e dopo la gravidanza, come la dieta, che influiscono sulla salute infantile. Si sono considerate 11.875 gestanti alla 32esima settimana che hanno risposto a un questionario sulla loro alimentazione e in dettaglio sui consumi settimanali di alimenti marini, la cui frequenza è stata validata in base a due marker biochimici (DHA nei globuli rossi e mercurio nel cordone ombelicale). Obiettivo è stato accertare, con scale di valutazione, sviluppo cerebrale, livelli cognitivi e comportamentali dei figli tra sei mesi e otto anni d'età, in relazione al consumo settimanale di pesce pari a zero, fino a 340 grammi, maggiore di 340.
Scarso apporto riduce i benefici
Intanto è emerso che il 65% delle partecipanti era rimasto sotto la soglia dei 340 g di pesce alla settimana e il 23% l'aveva superata, quindi c'era anche un 12% che non ne aveva consumato affatto. Fatte le debite correzioni per 28 potenziali fattori confondenti (perinatali, alimentari, sociali, eccetera) è risultato che l'apporto inferiore a 340 era associato a un rischio aumentato per i figli di essere nella fascia con i punteggi inferiori per il quoziente d'intelligenza verbale, in confronto alle donne con apporti più elevati. I consumi di pesce più bassi sono apparsi associati anche con un maggior rischio di livelli subottimali per i comportamenti come emotività e attività, per le capacità motorie, per quelle comunicative e di socializzazione. Quindi abbondare con il pesce in gravidanza non solo non ha avuto effetti negativi per lo sviluppo cerebrale dei figli (vedi neurotossicità da mercurio), ma al contrario ha evidenziato effetti benefici. Una ragione, secondo gli autori, per non considerare adeguato il limite dei 340 grammi settimanali per le gestanti. Benché il mercurio nella catena alimentare marina sia potenzialmente nocivo, il rischio di una perdita di benefici per lo sviluppo cerebrale infantile dovuta allo scarso consumo materno supererebbe infatti quello di quantità minime di contaminante (mentre nel caso preso a esempio, quello di Minamata, c'era stato un fortissimo inquinamento industriale). Anche in gravidanza, insomma, la bilancia pende dalla parte del piatto con il pesce.
Viviana Zanardi
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