08 settembre 2006
Aggiornamenti e focus
Nuovi rischi nuove chance
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I tumori sono, in vario modo, un problema crescente sia nei paesi ricchi sia in quelli poveri, ma la qualità delle cure è determinante per la sopravvivenza di chi ne è colpito e in questo senso a seconda di dove si vive si beneficia in misura decisamente diversa degli indubbi progressi terapeutici raggiunti. Il dato balza all'occhio tra quelli pubblicati nell'Atlante 2006 sui tumori dall'American Cancer Society (ACS): nel 2002 i malati ancora vivi a cinque anni dalla diagnosi grazie a terapie efficaci erano 12-16,9 ogni mille abitanti nei paesi più sviluppati, scendevano a 4-7,9 in Europa orientale ed ex Urss, Cile, Argentina, Uruguay, calavano ancora a 2-3,9 in Cina, America centro-meridionale e Pakistan e crollavano a meno di 2 in Africa, Medio Oriente, India, Indonesia, Guatemala e Honduras. Secondo l'OMS, le conoscenze e le tecnologie attuali permettono di realizzare la diagnosi precoce ed efficaci strategie terapeutiche in un 30% di tumori in più rispetto ai due terzi che si possono già prevenire.
Il quadro mondiale del 2002 riporta 10,9 milioni di nuovi casi di cancro e 6,7 milioni di morti per la malattia, con proiezioni a 10 milioni di decessi nel 2020 e un peso epidemiologico sempre più spostato verso i paesi in via di sviluppo. Le forme più frequenti sono a carico di polmone, mammella, colon-retto (tutte oltre il milione di casi), stomaco e prostata e quelle maggiormente letali riguardano polmone, stomaco e fegato, che insieme con l'esofago sono le più diffuse nei paesi in via di sviluppo; in quelli più sviluppati il rischio complessivo di ammalarsi di cancro è però maggiore dato che registra circa metà dei nuovi casi pur contando solo il 19% della popolazione mondiale. Prime neoplasie femminili sono quasi ovunque quelle della mammella e della cervice uterina (ma dello stomaco nel Sud-Est asiatico) e prima maschile quella del polmone (ma del fegato o il sarcoma di Kaposi legato all'Aids in molte nazioni africane). La mortalità raggiunge picchi più elevati nelle zone arretrate, ma in pratica, per il bilanciamento di diversi elementi, la probabilità nel corso della vita di morire per tumore non è molto diversa tra le aree povere e quelle ricche. Anche quella di ammalarsi dipende da vari fattori di rischio a loro volta legati ad abitudini di vita, caratteristiche demografiche, socio-economiche, ambientali: tra quelli modificabili i principali sono il fumo; l'alimentazione ricca di grassi animali e povera di vegetali (implicata nel 30% dei tumori nei paesi sviluppati); le infezioni (responsabili del 18% dei casi mondiali) costituite soprattutto da Papillomavirus per la cervice uterina, virus dell'epatite B e C per il fegato, Helicobacter pylori per lo stomaco e HIV nel sarcoma di Kaposi; e poi contaminanti ambientali e alimentari, radiazioni, obesità, alcolismo e altri.
I fattori di rischio non modificabili comprendono l'invecchiamento, caratteristiche genetiche (in causa nel 4% circa del totale), aspetti etnici sia genetici sia legati allo stile di vita, il sesso e per le donne la situazione ormonale e riproduttiva. Il primo spiega in gran parte il crescendo del cancro nei paesi occidentali, dove si vive di più e gli anziani in proporzione aumentano: anche in Italia l'invecchiamento sarebbe la causa principale dell'incremento del numero di tumori negli ultimi decenni, come attesta il rapporto 2005 dell'Istituto Superiore di Sanità, ISS, mentre i tassi standardizzati (casi ogni 100 mila abitanti) negli ultimi dieci anni sono diminuiti, così come quelli della mortalità; le neoplasie più diffuse si confermano quelle della mammella, del polmone, del colon-retto e dello stomaco. Se il dato degli anziani è intuibile, aggravato specie in certi paesi da abitudini nocive come il fumo e la dieta scorretta, meno comprensibile sembra quello che emerge da uno studio europeo relativamente ai bambini: nel nostro continente tra il 1978 e il 1997 i casi pediatrici di tumore standardizzati per età sono cresciuti da 120 per milione di bambini a 140, con un incremento annuo dell'1,1%, in tutte le aree considerate (15 paesi e 80 mila casi) e per la maggior parte delle forme, tranne tumori ossei, epatici e retinoblastoma. Secondo gli autori l'aumento non è spiegabile solo con quello delle diagnosi e delle notifiche dei casi, sarebbero in gioco altri elementi quali cambiamenti nell'esposizione ad agenti oncogeni naturali o artificiali, nelle abitudini di vita, alimentazione e storia riproduttiva materna, fattori perinatali.
Elettra Vecchia
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In testa polmone, mammella, colon-retto
Il quadro mondiale del 2002 riporta 10,9 milioni di nuovi casi di cancro e 6,7 milioni di morti per la malattia, con proiezioni a 10 milioni di decessi nel 2020 e un peso epidemiologico sempre più spostato verso i paesi in via di sviluppo. Le forme più frequenti sono a carico di polmone, mammella, colon-retto (tutte oltre il milione di casi), stomaco e prostata e quelle maggiormente letali riguardano polmone, stomaco e fegato, che insieme con l'esofago sono le più diffuse nei paesi in via di sviluppo; in quelli più sviluppati il rischio complessivo di ammalarsi di cancro è però maggiore dato che registra circa metà dei nuovi casi pur contando solo il 19% della popolazione mondiale. Prime neoplasie femminili sono quasi ovunque quelle della mammella e della cervice uterina (ma dello stomaco nel Sud-Est asiatico) e prima maschile quella del polmone (ma del fegato o il sarcoma di Kaposi legato all'Aids in molte nazioni africane). La mortalità raggiunge picchi più elevati nelle zone arretrate, ma in pratica, per il bilanciamento di diversi elementi, la probabilità nel corso della vita di morire per tumore non è molto diversa tra le aree povere e quelle ricche. Anche quella di ammalarsi dipende da vari fattori di rischio a loro volta legati ad abitudini di vita, caratteristiche demografiche, socio-economiche, ambientali: tra quelli modificabili i principali sono il fumo; l'alimentazione ricca di grassi animali e povera di vegetali (implicata nel 30% dei tumori nei paesi sviluppati); le infezioni (responsabili del 18% dei casi mondiali) costituite soprattutto da Papillomavirus per la cervice uterina, virus dell'epatite B e C per il fegato, Helicobacter pylori per lo stomaco e HIV nel sarcoma di Kaposi; e poi contaminanti ambientali e alimentari, radiazioni, obesità, alcolismo e altri.
Invecchiamento in causa nei paesi avanzati
I fattori di rischio non modificabili comprendono l'invecchiamento, caratteristiche genetiche (in causa nel 4% circa del totale), aspetti etnici sia genetici sia legati allo stile di vita, il sesso e per le donne la situazione ormonale e riproduttiva. Il primo spiega in gran parte il crescendo del cancro nei paesi occidentali, dove si vive di più e gli anziani in proporzione aumentano: anche in Italia l'invecchiamento sarebbe la causa principale dell'incremento del numero di tumori negli ultimi decenni, come attesta il rapporto 2005 dell'Istituto Superiore di Sanità, ISS, mentre i tassi standardizzati (casi ogni 100 mila abitanti) negli ultimi dieci anni sono diminuiti, così come quelli della mortalità; le neoplasie più diffuse si confermano quelle della mammella, del polmone, del colon-retto e dello stomaco. Se il dato degli anziani è intuibile, aggravato specie in certi paesi da abitudini nocive come il fumo e la dieta scorretta, meno comprensibile sembra quello che emerge da uno studio europeo relativamente ai bambini: nel nostro continente tra il 1978 e il 1997 i casi pediatrici di tumore standardizzati per età sono cresciuti da 120 per milione di bambini a 140, con un incremento annuo dell'1,1%, in tutte le aree considerate (15 paesi e 80 mila casi) e per la maggior parte delle forme, tranne tumori ossei, epatici e retinoblastoma. Secondo gli autori l'aumento non è spiegabile solo con quello delle diagnosi e delle notifiche dei casi, sarebbero in gioco altri elementi quali cambiamenti nell'esposizione ad agenti oncogeni naturali o artificiali, nelle abitudini di vita, alimentazione e storia riproduttiva materna, fattori perinatali.
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