30 marzo 2007
Aggiornamenti e focus, Speciale Mieloma multiplo
Modulando si sopravvive di più
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Si arricchisce lo disponibilità di strumenti terapeutici per intervenire sui pazienti colpiti da mieloma multiplo, una malattia da cui non si guarisce, ma a cui si può sopravvivere. Prolungare la sopravvivenza rappresenta un successo non trascurabile, che si può ottenere con un nuovo farmaco approvato dall'Emea (Agenzia europea per i medicinali), la lenalidomide. L'innovazione si inserisce in un quadro di terapie e procedure efficaci e pur sempre valide, ma in alcuni pazienti, non rispondenti al trattamento o recidivanti, offre vantaggi degni di nota.
Negli anni '90 si osservò un miglioramento della sopravvivenza con l'aumento del dosaggio della chemioterapia, combinata anche con l'autotrapianto di cellule staminali. In questi casi si somministra una dose massiccia di chemioterapici dopo aver prelevato cellule staminali del midollo. La dose ha effetti citotossici delle plasmacellule che vengono poi compensati dalla reinfusione delle staminali che ripopolano il midollo. La sopravvivenza si prolunga fino a 5-6 anni, la remissione dalla malattia è molto rara e spesso si ripresenta dopo un periodo di latenza. Maggiori speranze si investono sul trapianto allogenico in quanto le staminali provengono da un sistema immunitario non compromesso dalla malattia. Con la difficoltà, non trascurabile, di disponibilità di un donatore compatibile. Difficoltà a cui si somma la tollerabilità della procedura su pazienti, la scelta della terapia, infatti, dipende principalmente dall'età del paziente: i pazienti più anziani a fatica tollerano chemioterapie ad alte dosi e il trapianto di cellule staminali.
In alternativa a questo approccio, la ricerca ha sviluppato una classe di farmaci chiamati immunomodulanti (IMiDs), vale a dire che intervengono sul sistema immunitario. Il capostipite, introdotto nel 1999 è la talidomide che si è dimostrata efficace nei pazienti refrattari (o non trattabili) alla chemioterapia. Non è chiaro quale sia il meccanismo d'azione, ma l'effetto è antiproliferativo sulle cellule tumorali attraverso un'azione sul microambiente midollare, cioè sul tessuto osseo.
In questo distretto inibisce la produzione di citochine che inducono infiammazione, diminuisce l'espressione di molecole di adesione e inibisce l'angiogenesi. La terapia con talidomide, somministrata da sola, ottiene una risposta nel 30% dei casi, la combinazione con cortisonici aumenta la percentuale di risposta e la sua durata. Tuttavia la molecola ha effetti teratogeni e neurotossici, si registrarono casi di pazienti trattati comparivano neuropatie. Il nuovo farmaco immunomodulante, la lenalidomide, ha un profilo di sicurezza migliore, privo di impatto sul sistema nervoso, ed è più efficace del suo predecessore.
Meccanismo per sopravvivere
L'approvazione europea della lenalidomide fa seguito a quella già avvenuta negli Stati Uniti, come monoterapia indicata per sindormi mielodisplasiche associate all'anomalia 5q e, in combinazione con desametasone, per il mieloma multiplo, già trattato con altre terapie.
Il meccanismo d'azione della molecola prevede diversi percorsi altamente specifici per la linea cellulare, le palsmacellule, da colpire, motivo per cui risulta meno tossica la terapia. Agisce sull'osso creando un ambiente sfavorevole per le plasmacellule con un'azione anti-angiogenetica e antinfiammatoria che nel complesso determinano l'apoptosi (morte programmata) della cellule tumorali. Gli studi clinici hanno dimostrato che il trattamento con lenalidomide comporta una sopravvivenza mediana di oltre 29 mesi, con un guadagno stimato di 10 mesi rispetto alle terapie convenzionali.
Per la commercializzazione e l'uso clinico bisognerà attendere l'accordo sul prezzo tra l'azienda che detiene il brevetto, Celgene, e l'Agenzia italiana del farmaco. L'azienda sta studiando un accordo con Gimema (Gruppo italiano malattie ematologiche dell'adulto) per anticipare i tempi e affrontare i costi alti per introdurre il farmaco nella pratica clinica e renderlo disponibile nelle strutture ospedaliere nell'ambito di uno studio osservazionale.
Simona Zazzetta
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Chemio e trapianti
Negli anni '90 si osservò un miglioramento della sopravvivenza con l'aumento del dosaggio della chemioterapia, combinata anche con l'autotrapianto di cellule staminali. In questi casi si somministra una dose massiccia di chemioterapici dopo aver prelevato cellule staminali del midollo. La dose ha effetti citotossici delle plasmacellule che vengono poi compensati dalla reinfusione delle staminali che ripopolano il midollo. La sopravvivenza si prolunga fino a 5-6 anni, la remissione dalla malattia è molto rara e spesso si ripresenta dopo un periodo di latenza. Maggiori speranze si investono sul trapianto allogenico in quanto le staminali provengono da un sistema immunitario non compromesso dalla malattia. Con la difficoltà, non trascurabile, di disponibilità di un donatore compatibile. Difficoltà a cui si somma la tollerabilità della procedura su pazienti, la scelta della terapia, infatti, dipende principalmente dall'età del paziente: i pazienti più anziani a fatica tollerano chemioterapie ad alte dosi e il trapianto di cellule staminali.
Immunomodulanti in azione
In alternativa a questo approccio, la ricerca ha sviluppato una classe di farmaci chiamati immunomodulanti (IMiDs), vale a dire che intervengono sul sistema immunitario. Il capostipite, introdotto nel 1999 è la talidomide che si è dimostrata efficace nei pazienti refrattari (o non trattabili) alla chemioterapia. Non è chiaro quale sia il meccanismo d'azione, ma l'effetto è antiproliferativo sulle cellule tumorali attraverso un'azione sul microambiente midollare, cioè sul tessuto osseo.
In questo distretto inibisce la produzione di citochine che inducono infiammazione, diminuisce l'espressione di molecole di adesione e inibisce l'angiogenesi. La terapia con talidomide, somministrata da sola, ottiene una risposta nel 30% dei casi, la combinazione con cortisonici aumenta la percentuale di risposta e la sua durata. Tuttavia la molecola ha effetti teratogeni e neurotossici, si registrarono casi di pazienti trattati comparivano neuropatie. Il nuovo farmaco immunomodulante, la lenalidomide, ha un profilo di sicurezza migliore, privo di impatto sul sistema nervoso, ed è più efficace del suo predecessore.
Meccanismo per sopravvivere
L'approvazione europea della lenalidomide fa seguito a quella già avvenuta negli Stati Uniti, come monoterapia indicata per sindormi mielodisplasiche associate all'anomalia 5q e, in combinazione con desametasone, per il mieloma multiplo, già trattato con altre terapie.
Il meccanismo d'azione della molecola prevede diversi percorsi altamente specifici per la linea cellulare, le palsmacellule, da colpire, motivo per cui risulta meno tossica la terapia. Agisce sull'osso creando un ambiente sfavorevole per le plasmacellule con un'azione anti-angiogenetica e antinfiammatoria che nel complesso determinano l'apoptosi (morte programmata) della cellule tumorali. Gli studi clinici hanno dimostrato che il trattamento con lenalidomide comporta una sopravvivenza mediana di oltre 29 mesi, con un guadagno stimato di 10 mesi rispetto alle terapie convenzionali.
Per la commercializzazione e l'uso clinico bisognerà attendere l'accordo sul prezzo tra l'azienda che detiene il brevetto, Celgene, e l'Agenzia italiana del farmaco. L'azienda sta studiando un accordo con Gimema (Gruppo italiano malattie ematologiche dell'adulto) per anticipare i tempi e affrontare i costi alti per introdurre il farmaco nella pratica clinica e renderlo disponibile nelle strutture ospedaliere nell'ambito di uno studio osservazionale.
Simona Zazzetta
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