28 aprile 2006
Aggiornamenti e focus
Mano pesante sulla pelle?
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La cheratosi attinica, al di là del nome un po' oscuro, è in realtà una delle lesioni cutanee più diffuse. I "soliti" dati statunitensi indicano che nel solo biennio 1993-1994 la cheratosi attinica è stata la ragione di oltre 7 milioni di visite ambulatoriali e, davvero, non c'è male. Questa patologia è dovuta essenzialmente all'esposizione continuata alla luce ultravioletta, cioè al sole, e in sostanza è sostenuta da una intensa reazione infiammatoria locale. Se ne conoscono differenti forme, per esempio seborroica, lichenoide ma, soprattutto, iperplastica, cioè con proliferazione, che può ricordare la presentazione del basalioma o del carcinoma a cellule squamose, due forme tumorali della cute anch'esse abbastanza diffuse. Peraltro, anche la stessa cheratosi attinica viene considerata una lesione precancerosa, sulla quale è bene intervenire, senza allarmarsi, ma anche senza perdere tempo.
Grazie anche alla sensibilizzazione del pubblico sui pericoli dei tumori cutanei, il numero delle persone che ricorre ai controlli periodici, o si rivolge al medico quando osserva qualcosa di sospetto, sta aumentando. E la scelta ideale è quella del dermatologo, come conferma un recente studio (sempre statunitense) che ha messo a confronto l'approccio alla lesione da parte di due diversi specialisti che peraltro si occupano entrambi della pelle: dermatologo e chirurgo plastico. La ricerca ha messo a confronto il comportamento in fase diagnostica. Come per tutte le lesioni, infatti, quando il quadro lascia qualche dubbio si procede alla biopsia e all'esame istopatologico. Però, per fare una biopsia esistono diverse metodiche: si può asportare uno strato della lesione, si può prelevare un campione di tessuto con un ago e, infine, si può procedere a un escissione, cioè all'asportazione completa della lesione, con un margine più o meno ampio. Quest'ultima tecnica è quella irrinunciabile quando si ha a che fare con lesioni maligne come il melanoma, ma è ritenuta eccessiva in caso di lesioni come la cheratosi. I ricercatori hanno dunque radunato tutti i referti istopatologici di lesioni classificate come cheratosi attinica, controllando quale tipo di biopsia era stata effettuata, quale sospetto diagnostico era stato riportato nella richiesta e solo dopo controllando se il medico era un dermatologo o un chirurgo plastico. Il campione non era enorme, 405 biopsie analizzate, 7 chirurghi plastici e 26 dermatologi, quindi è uno studio pilota, ma significativo in quanto tale. Allora, analizzando i dati, si è visto che nel 50% dei casi i chirurghi sono ricorsi alla biopsia più invasiva, mentre il dermatologo l'ha condotta soltanto nell'1,4% dei casi. Il prelievo di uno strato della lesione, cioè la forma più indicata, è stato effettuato dal chirurgo soltanto nel 32% dei casi, mentre i dermatologi hanno scelto questa soluzione in poco meno del 90% dei casi. Quanto all'indicazione del sospetto diagnostico, secondo gli autori dello studio, i chirurghi spesso si rifanno a definizioni generiche, tipo "lesione", oppure indicano la necessità "di escludere un carcinoma a cellule squamose".
Insomma, c'è meno dimestichezza con queste situazioni ma, in compenso c'è molta più sicurezza nel procedere ad asportazioni radicali. E' in parte anche una questione di "ferri del mestiere" nel senso che il chirurgo plastico ricorre più frequentemente al bisturi, mentre il dermatologo è più abituato a contemplare anche soluzioni quali la dermoabrasione, la criochirurgia e altre. Poteva anche essere che in effetti al chirurgo arrivassero lesioni mediamente più gravi, tuttavia, solo il 25% delle cheratosi attiniche trattate col bisturi dai chirurghi era del tipo proliferativo, cioè quello, come detto, più simile a un tumore invasivo. Inoltre, molte delle escissioni sono state effettuate nell'area centrale del volto, quindi con un impatto estetico più forte. Ci si potrebbe anche chiedere che cosa cambia se poi magari si deve comunque procedere con un'asportazione. Il fatto è che per le cheratosi attiniche, soprattutto del tipo seborroico, sono possibili anche terapie più gentili, che a volte non comportano nemmeno successivi interventi riparatori. In alcuni casi, poi, è anche possibile la terapia medica con antinfiammatori. Insomma se correttamente ci si rivolge al medico per una chiazza sulla pelle che "non ci piace", meglio seguire l'iter classico e puntare sul dermatologo.
Maurizio Imperiali
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...e inoltre su Dica33:
Controlli più frequenti
Grazie anche alla sensibilizzazione del pubblico sui pericoli dei tumori cutanei, il numero delle persone che ricorre ai controlli periodici, o si rivolge al medico quando osserva qualcosa di sospetto, sta aumentando. E la scelta ideale è quella del dermatologo, come conferma un recente studio (sempre statunitense) che ha messo a confronto l'approccio alla lesione da parte di due diversi specialisti che peraltro si occupano entrambi della pelle: dermatologo e chirurgo plastico. La ricerca ha messo a confronto il comportamento in fase diagnostica. Come per tutte le lesioni, infatti, quando il quadro lascia qualche dubbio si procede alla biopsia e all'esame istopatologico. Però, per fare una biopsia esistono diverse metodiche: si può asportare uno strato della lesione, si può prelevare un campione di tessuto con un ago e, infine, si può procedere a un escissione, cioè all'asportazione completa della lesione, con un margine più o meno ampio. Quest'ultima tecnica è quella irrinunciabile quando si ha a che fare con lesioni maligne come il melanoma, ma è ritenuta eccessiva in caso di lesioni come la cheratosi. I ricercatori hanno dunque radunato tutti i referti istopatologici di lesioni classificate come cheratosi attinica, controllando quale tipo di biopsia era stata effettuata, quale sospetto diagnostico era stato riportato nella richiesta e solo dopo controllando se il medico era un dermatologo o un chirurgo plastico. Il campione non era enorme, 405 biopsie analizzate, 7 chirurghi plastici e 26 dermatologi, quindi è uno studio pilota, ma significativo in quanto tale. Allora, analizzando i dati, si è visto che nel 50% dei casi i chirurghi sono ricorsi alla biopsia più invasiva, mentre il dermatologo l'ha condotta soltanto nell'1,4% dei casi. Il prelievo di uno strato della lesione, cioè la forma più indicata, è stato effettuato dal chirurgo soltanto nel 32% dei casi, mentre i dermatologi hanno scelto questa soluzione in poco meno del 90% dei casi. Quanto all'indicazione del sospetto diagnostico, secondo gli autori dello studio, i chirurghi spesso si rifanno a definizioni generiche, tipo "lesione", oppure indicano la necessità "di escludere un carcinoma a cellule squamose".
A ciascuno la sua specialità
Insomma, c'è meno dimestichezza con queste situazioni ma, in compenso c'è molta più sicurezza nel procedere ad asportazioni radicali. E' in parte anche una questione di "ferri del mestiere" nel senso che il chirurgo plastico ricorre più frequentemente al bisturi, mentre il dermatologo è più abituato a contemplare anche soluzioni quali la dermoabrasione, la criochirurgia e altre. Poteva anche essere che in effetti al chirurgo arrivassero lesioni mediamente più gravi, tuttavia, solo il 25% delle cheratosi attiniche trattate col bisturi dai chirurghi era del tipo proliferativo, cioè quello, come detto, più simile a un tumore invasivo. Inoltre, molte delle escissioni sono state effettuate nell'area centrale del volto, quindi con un impatto estetico più forte. Ci si potrebbe anche chiedere che cosa cambia se poi magari si deve comunque procedere con un'asportazione. Il fatto è che per le cheratosi attiniche, soprattutto del tipo seborroico, sono possibili anche terapie più gentili, che a volte non comportano nemmeno successivi interventi riparatori. In alcuni casi, poi, è anche possibile la terapia medica con antinfiammatori. Insomma se correttamente ci si rivolge al medico per una chiazza sulla pelle che "non ci piace", meglio seguire l'iter classico e puntare sul dermatologo.
Maurizio Imperiali
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