Quando 1+1 non fa 2

08 febbraio 2006
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Quando 1+1 non fa 2



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Scegliere la cura migliore è auspicabile in ogni patologia, e la schizofrenia non fa eccezione, anzi, proprio per evitare la progressione della malattia, e proteggere le relazioni sociali e familiari del paziente, sono fondamentali la diagnosi e il trattamento del primo episodio. Il ritardo dell'inizio della terapia con farmaci antipsicotici, per esempio, può far aumentare di molto le probabilità di ricovero ospedaliero nei successivi cinque anni. I farmaci in uso sono arrivati alla seconda generazione, i cosiddetti antipsicotici atipici, che hanno dato risultati soddisfacenti, anche se esiste una popolazione di malati che non risponde nemmeno a questi. Infatti se un 20% raggiunge la totale remissione dei sintomi, in un terzo dei casi i risultati sono clinicamente inadeguati, ma per fortuna non nulli.

Due meglio di uno?


La scarsa risposta è proprio uno dei principali motivi per cui si sceglie di somministrare più di un farmaco. Ma la scelta deve rispettare profili di sicurezza e criteri di costo-efficacia. E su questo fronte si è ancora in fase di verifica. O per meglio dire, di alcuni si conoscono gli effetti collaterali, per esempio la clozapina, un atipico attualmente considerato il più efficace, provoca un effetto sul sangue (agranulocitosi) potenzialmente pericoloso, ma controllabile con monitoraggio frequente ed eventualmente la sospensione della cura. Ma è la combinazione di più farmaci che non è ancora chiaro a cosa porti in termini di efficacia e di effetti collaterali. Una di queste combinazioni è stata testata in più studi con risultati apparentemente contraddittori. Sono stati associati due antipsicotici atipici, la clozapina e il risperidone, che presentano un profilo complementare in quanto migliorano entrambi le capacità cognitive. I pazienti erano una settantina e tutti con risposta debole alla clozapina, ragion per cui, per otto settimane hanno assunto anche dosi di risperidone o un placebo. Per altro si è giocato anche sul dosaggio, aumentando il risperidone di 3 mg al giorno. La valutazione dei pazienti durante la terapia ha portato a constatare che non c'erano grandi differenze (statisticamente significative) in termini di miglioramento dei sintomi (scala PANSS, Positive and negative syndrome scale) tra i due gruppi: i pazienti miglioravano in entrambi i casi.

Per non perdere i vantaggi


L'altro aspetto del profilo di efficacia della terapia combinata erano i possibili benefici sulle capacità cognitive: si attendeva, o per lo meno si ipotizzava, che gli effetti dei due farmaci si sommassero. Ma anche in questo caso non c'erano differenze significative, i miglioramenti dall'inizio della terapia c'erano ma senza grandi divari, anzi si notava che nel gruppo placebo la prestazione era leggermente più soddisfacente. Si direbbe quindi che la strategia di combinazione, con aumento del dosaggio del risperidone, non offre vantaggi o, se ci sono, sono talmente piccoli da non aggiungere valore a una terapia, quella a base clozapina, già di per sé valida. Correndo peraltro il rischio di perdere il vantaggio cognitivo che il risperidone offre se usato da solo, e che in generale è associato ai farmaci antipsicotici atipici. In ogni caso, quando si decide di introdurre un secondo farmaco nella terapia è importante da un lato valutare l'efficacia e dall'altro riconoscere, eventualmente, l'assenza di vantaggi.

Simona Zazzetta



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