Screening mentali?

18 gennaio 2008
Aggiornamenti e focus

Screening mentali?



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Trattare al suo nascere una malattia psichiatrica non è semplice, anche se spesso è il modo migliore di trattarla, soprattutto quando si tratta di una condizione che può incidere in maniera pesante sul funzionamento sociale dell'individuo, come nel caso della schizofrenia e delle altre forme di psicosi. Già non è semplice identificare le fasi iniziali, ma anche una volta che questo sia possibile, e venga fatto, si apre il capitolo di quali interventi attuare: la psicoterapia? L'utilizzo degli antipsicotici? Un editoriale degli Archives of General Psychiatry fa presente, per esempio, che il ricorso ai farmaci, in questa fase, andrebbe contro quanto segnalano tutte le linee guida. In effetti è da molto tempo che si cerca di stabilire quale sia il primo momento in cui è possibile determinare che una persona andrà incontro alla psicosi, ma solo agli inizi degli anni novanta del secolo scorso, in Australia, si è riusciti a mettere a punto il concetto di persona a rischio elevato. Quello che ancora manca, però, sono gli studi controllati, cioè quelli in cui si stabilisce un protocollo stringente che indichi quali interventi operare sulle persone coinvolte. In pratica, ancora oggi, posto che si conducano studi sulla possibilità di predire l'arrivo della malattia, il trattamento che si attua di conseguenza in questa fase prodromica è ancora non standardizzato e spesso nemmeno correttamente registrato da chi conduce gli studi.

Manca chi possa fare diagnosi


Un dato apparentemente scollegato, ma importante, è che in realtà secondo l'editoriale citato, negli Stati Uniti si sconta ancora un lungo ritardo tra l'esordio del primo episodio di psicosi conclamata e l'inizio del trattamento o comunque della presa in carico da parte di una struttura. Per la verità anche in Italia le cose non sono radicalmente differenti e, soprattutto nelle strutture pubbliche, le difficoltà sono rilevanti. Un aspetto che è emerso anche in occasione delle molte polemiche sull'introduzione dei trattamenti per l'ADHD, che è certamente ben altro discorso ma che comunque ha sollevato la pratica impossibilità di ottenere consultazioni specialistiche in tempi ragionevoli nel Servizio sanitario. Se questa è la situazione per la neuropsichiatria infantile, per la psichiatria tout court le cose non vanno meglio.

Non creare discriminazioni


Resta poi una questione di fondo e se si vuole filosofica. Cogliere il momento prodromico di una malattia mentale è in effetti distinguere la linea molto sottile che separa la malattia dalla situazione esasperata ma pur sempre nel range della normalità (altro concetto peraltro anch'esso sfuggente). Una volta che si disponesse di uno strumento di valutazione accettato per la sua capacità di previsione a chi andrebbe sottoposto? Gli studi più recenti, nella quasi totalità, hanno coinvolto persone che già erano in cerca di aiuto, ed è un dato universalmente riconosciuto che il più delle volte i casi iniziali sfuggono alla diagnosi. Ma, d'altra parte, è compatibile con le libertà occidentali pensare a una sorta di screening sistematico per malattie di questa natura? E' il caso di ricordare che recentemente la Regione Piemonte ha votato una legge con la quale si proibiscono screening psicologici nelle scuole (la materia del contendere era sempre l'ADHD). E ha fatto bene. Come si legge sugli Archives, molto va ancora fatto per risolvere il problema dei falsi positivi e quello del rischio di creare inutili discriminazioni.



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