18 aprile 2008
Aggiornamenti e focus
Nella vecchia fattoria
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Cani, gatti, coniglietti, pesci rossi e pappagallini, per dirne solo alcuni, sono i co-protagonisti della così detta pet therapy, una forma di terapia complementare, proposta in varie circostanze cliniche, dalla riabilitazione ai trattamenti di fine vita, dai disturbi dell'umore alla depressione.
L'efficacia è stata studiata e documentata dalla metà degli anni '80 e la sperimentazione l'ha portata anche oltre le mura domestiche, nei delfinari, nei maneggi. Da qualche anno anche nelle fattorie, tra polli, galline, maiali, ma con alcuni elementi aggiuntivi come la cura e il contatto con le piante e con gli animali, e il lavoro agricolo vero e proprio.
Non si tratta di una novità così rivoluzionaria, storicamente questo tipo di strutture erano associate a ospedali, ospedali psichiatrici e istituzioni sanitarie. Oggi sono realtà più autonome che coinvolgono giardini pubblici, fattorie urbane, fattorie e orti, sono un fenomeno in crescita in Europa e negli Stati Uniti. Alcune esperienze esistono anche in Italia, dove vengono chiamate fattorie sociali, a indicare una più ampia possibilità di obiettivi, sono circa duemila e ospitano circa diecimila persone con svantaggi di vario genere: da quello fisico, a quello psichico a quello sociale. L'efficacia di questi interventi è supportata, oltre che dal buon senso e dall'esperienza, anche da uno studio norvegese che, applicando il tradizionale protocollo di studio randomizzato e controllato, ha legittimato la terapia assistita dall'animale (Animal-Assisted Therapy - ATT) in un contesto agricolo più complesso. La premessa era che l'effetto combinato di contatto e lavoro con gli animali potesse avere un esiti positivo sui pazienti, in particolare potesse migliorare la capacità di affrontare le situazioni e l'autostima attraverso lavori di routine che includevano il nutrire, mungere e prendersi cura di altri esseri viventi. I ricercatori norvegesi hanno osservato 90 soggetti per 12 settimane, e hanno monitorato i pazienti per sei mesi dopo il termine della terapia, trovando risultati positivi, anche se con alcune sfumature degne di nota sugli obiettivi raggiunti.
I ricercatori volevano verificare gli effetti sulla qualità della vita, sulla capacità di affrontare le situazioni e sulla consapevolezza di sé e delle proprie potenzialità, in pazienti con schizofrenia, disturbi dell'emotività, della personalità e del comportamento, ansia e disturbi da stress. Metà di loro ne soffriva già da cinque anni il 72% era stato ricoverato in strutture psichiatriche per più di tre anni, quasi tutti prendevano farmaci quotidianamente, antipsicotici, antidepressivi, sedativi, stabilizzatori dell'umore. Le terapie standard non sono state sospese durante l'intervento tanto meno nel gruppo controllo. La AAT testata consisteva in visite alla fattoria che duravano tre ore per due volte alla settimana, per lavorare solo con gli animali, ma in base agli interessi e alle possibilità del paziente. Gli effetti sulla consapevolezza delle proprie capacità non si sono manifestati subito, cioè durante lo svolgimento dei lavori ma a distanza di sei mesi, dopo il termine della terapia, e la differenza tra il prima e il dopo è decisamente più marcata rispetto al gruppo controllo. Effetti più immediati sono stati, però, osservati nei soggetti che avevano disturbi dell'emotività, con un incremento molto più marcato della media nel semestre successivo. Gli altri parametri invece non subivano cambiamenti significativi. Nonostante il successo parziale, gli autori hanno evidenziato diverse potenzialità nel metodo di intervento studiato. Per esempio, i pazienti hanno avuto modo di imparare a svolgere nuove mansioni e anche dopo hanno mantenuto questa consapevolezza, e il contesto è stato un importante catalizzatore dello sviluppo positivo del paziente. Il contatto con gli animali si è dimostrato nuovamente efficace nel permettere ai pazienti di sperimentare interazioni gradevoli che li rendevano meno spaventati nell'affrontare nuove situazioni. Il rammarico è che il tempo potrebbe non essere stato sufficiente, e il ritardo con cui sono comparsi i benefici lo dimostra, considerazione che lascia ancora molto margine di intervento, per esempio anche nella formazione di operatori che oltre alle competenze nel lavoro agricolo, siano istruiti su come gestire gli ospiti della fattoria. La strada è aperta e promettente, sarebbe un peccato abbandonarla.
Simona Zazzetta
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
L'efficacia è stata studiata e documentata dalla metà degli anni '80 e la sperimentazione l'ha portata anche oltre le mura domestiche, nei delfinari, nei maneggi. Da qualche anno anche nelle fattorie, tra polli, galline, maiali, ma con alcuni elementi aggiuntivi come la cura e il contatto con le piante e con gli animali, e il lavoro agricolo vero e proprio.
Terapie verdi
Non si tratta di una novità così rivoluzionaria, storicamente questo tipo di strutture erano associate a ospedali, ospedali psichiatrici e istituzioni sanitarie. Oggi sono realtà più autonome che coinvolgono giardini pubblici, fattorie urbane, fattorie e orti, sono un fenomeno in crescita in Europa e negli Stati Uniti. Alcune esperienze esistono anche in Italia, dove vengono chiamate fattorie sociali, a indicare una più ampia possibilità di obiettivi, sono circa duemila e ospitano circa diecimila persone con svantaggi di vario genere: da quello fisico, a quello psichico a quello sociale. L'efficacia di questi interventi è supportata, oltre che dal buon senso e dall'esperienza, anche da uno studio norvegese che, applicando il tradizionale protocollo di studio randomizzato e controllato, ha legittimato la terapia assistita dall'animale (Animal-Assisted Therapy - ATT) in un contesto agricolo più complesso. La premessa era che l'effetto combinato di contatto e lavoro con gli animali potesse avere un esiti positivo sui pazienti, in particolare potesse migliorare la capacità di affrontare le situazioni e l'autostima attraverso lavori di routine che includevano il nutrire, mungere e prendersi cura di altri esseri viventi. I ricercatori norvegesi hanno osservato 90 soggetti per 12 settimane, e hanno monitorato i pazienti per sei mesi dopo il termine della terapia, trovando risultati positivi, anche se con alcune sfumature degne di nota sugli obiettivi raggiunti.
Imparare dalla natura
I ricercatori volevano verificare gli effetti sulla qualità della vita, sulla capacità di affrontare le situazioni e sulla consapevolezza di sé e delle proprie potenzialità, in pazienti con schizofrenia, disturbi dell'emotività, della personalità e del comportamento, ansia e disturbi da stress. Metà di loro ne soffriva già da cinque anni il 72% era stato ricoverato in strutture psichiatriche per più di tre anni, quasi tutti prendevano farmaci quotidianamente, antipsicotici, antidepressivi, sedativi, stabilizzatori dell'umore. Le terapie standard non sono state sospese durante l'intervento tanto meno nel gruppo controllo. La AAT testata consisteva in visite alla fattoria che duravano tre ore per due volte alla settimana, per lavorare solo con gli animali, ma in base agli interessi e alle possibilità del paziente. Gli effetti sulla consapevolezza delle proprie capacità non si sono manifestati subito, cioè durante lo svolgimento dei lavori ma a distanza di sei mesi, dopo il termine della terapia, e la differenza tra il prima e il dopo è decisamente più marcata rispetto al gruppo controllo. Effetti più immediati sono stati, però, osservati nei soggetti che avevano disturbi dell'emotività, con un incremento molto più marcato della media nel semestre successivo. Gli altri parametri invece non subivano cambiamenti significativi. Nonostante il successo parziale, gli autori hanno evidenziato diverse potenzialità nel metodo di intervento studiato. Per esempio, i pazienti hanno avuto modo di imparare a svolgere nuove mansioni e anche dopo hanno mantenuto questa consapevolezza, e il contesto è stato un importante catalizzatore dello sviluppo positivo del paziente. Il contatto con gli animali si è dimostrato nuovamente efficace nel permettere ai pazienti di sperimentare interazioni gradevoli che li rendevano meno spaventati nell'affrontare nuove situazioni. Il rammarico è che il tempo potrebbe non essere stato sufficiente, e il ritardo con cui sono comparsi i benefici lo dimostra, considerazione che lascia ancora molto margine di intervento, per esempio anche nella formazione di operatori che oltre alle competenze nel lavoro agricolo, siano istruiti su come gestire gli ospiti della fattoria. La strada è aperta e promettente, sarebbe un peccato abbandonarla.
Simona Zazzetta
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