09 settembre 2005
Aggiornamenti e focus
Sbatti il mostro...
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Con l'affermarsi delle cure psichiatriche territoriali, del ricorso alle comunità aperte e, in breve, con la chiusura dei manicomi, si è andata a più riprese levando la voce di popolo (raramente voce di Dio) dell'aumento dei reati i delitti commessi da questi "matti in libertà". Si potrebbe opporre che, giornali alla mano, non sembra che nelle pagine della "nera" siano aumentati i protagonisti che un tempo sarebbero stati ospedalizzati o che dall'ospedale sono proprio usciti in seguito all'applicazione della legge 180. Ma il bello della scienza, che a molti non piace forse proprio per questo, è che le affermazioni vanno provate con dati numerici alla mano. E a questo aveva provveduto uno studio australiano già nel 2000. Anche in quel paese, la progressiva chiusura dei reparti psichiatrici di lunga degenza e il ricorso alle comunità terapeutiche aveva sollevato analoghe paure, e analoghe campagne mediatiche. I ricercatori hanno allora concentrato l'attenzione sui pazienti più a rischio di commettere crimini, vale a dire gli schizofrenici. Per condurre il confronto hanno considerato i reati commessi da un gruppo di pazienti curati prima della chiusura dei manicomi, quindi ricoverati, con un gruppo che dopo la prima diagnosi in ricovero è passato alla cura sul territorio. Nel primo caso, quindi, si trattava di persone curate nel 1975 (anno dell'equivalente australiano della legge Basaglia) e nel secondo di persone trattate a partire dal 1985. Per entrambi i gruppi si è valutato il numero e la natura dei reati commessi paragonandolo poi al numero e alla natura dei reati commessi da un gruppo di cittadini "normali" paragonabili per età, caratteristiche demografiche e luogo di residenza. I reati venivano suddivisi in reati contro la proprietà, crimini violenti, crimini correlati al consumo di droga, violenze sessuali e reati diversi.
Effettivamente, l'analisi ha dimostrato che in entrambi i periodi, i reati commessi dagli schizofrenici erano più numerosi rispetto a quelli commessi dal gruppo di controllo, fatta eccezione per i crimini a sfondo sessuale, sostanzialmente equivalenti. In generale, la possibilità di delinquere era 3,3 volte superiore tra gli schizofrenici. Fin qui nulla di sorprendente, visto che la presenza di una malattia psichiatrica importante non può essere priva di effetti sul comportamento, e va sottolineato che comunque si è trattato in maggioranza di reati diversi da quelli violenti, che hanno coinvolto solo 3-4% dei pazienti. Il punto, però, era stabilire se col cambiare della modalità di cura cambiava anche il numero dei reati commessi. Anche in questo caso la risposta è affermativa, sono stati commessi più reati. Ma, attenzione, il dato deve essere correlato all'andamento della criminalità nel complesso della società. E' vero, i reati commessi da schizofrenici aumentavano, ma nella stessa misura in cui sono aumentati nella società. Se la società diventa più violenta sarebbe strano che questa tendenza ignorasse proprio chi ha una malattia che provoca comportamenti devianti.
Ma c'è anche un altro aspetto sottolineato dagli autori dello studio. Il numero dei reati commessi dai malati cui era stato diagnosticato anche l'uso di droga era eccezionalmente più alto rispetto a quello dei reati commessi dai pazienti non dediti alla droga. E il numero di pazienti dediti alla droga, tra il 1975 e il 1985 era aumentato moltissimo. Quindi per vedere un notevole aumento della criminosità, alla malattia deve affiancarsi la tossicomania, flagello che, ancora una volta, riguarda tutti. Insomma, se si guardano i dati nel loro complesso, non c'è nessuna responsabilità del modello di cura nella propensione ai reati degli schizofrenici, l'andamento è lo stesso della popolazione generale. E poi, ed è un argomento forte, il 65% dei pazienti maschi e il 55% delle pazienti hanno commesso il loro primo reato prima che venisse posta la diagnosi. Questo vuol dire che, manicomio o comunità, quei reati sarebbero comunque stati commessi. Insomma si fa in fretta a parlare, e a fare titoli. Raccogliere i dati richiede più tempo, e fatica, ma di solito è più utile.
Maurizio Imperiali
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Convinzioni errate
Effettivamente, l'analisi ha dimostrato che in entrambi i periodi, i reati commessi dagli schizofrenici erano più numerosi rispetto a quelli commessi dal gruppo di controllo, fatta eccezione per i crimini a sfondo sessuale, sostanzialmente equivalenti. In generale, la possibilità di delinquere era 3,3 volte superiore tra gli schizofrenici. Fin qui nulla di sorprendente, visto che la presenza di una malattia psichiatrica importante non può essere priva di effetti sul comportamento, e va sottolineato che comunque si è trattato in maggioranza di reati diversi da quelli violenti, che hanno coinvolto solo 3-4% dei pazienti. Il punto, però, era stabilire se col cambiare della modalità di cura cambiava anche il numero dei reati commessi. Anche in questo caso la risposta è affermativa, sono stati commessi più reati. Ma, attenzione, il dato deve essere correlato all'andamento della criminalità nel complesso della società. E' vero, i reati commessi da schizofrenici aumentavano, ma nella stessa misura in cui sono aumentati nella società. Se la società diventa più violenta sarebbe strano che questa tendenza ignorasse proprio chi ha una malattia che provoca comportamenti devianti.
Se cambia la società
Ma c'è anche un altro aspetto sottolineato dagli autori dello studio. Il numero dei reati commessi dai malati cui era stato diagnosticato anche l'uso di droga era eccezionalmente più alto rispetto a quello dei reati commessi dai pazienti non dediti alla droga. E il numero di pazienti dediti alla droga, tra il 1975 e il 1985 era aumentato moltissimo. Quindi per vedere un notevole aumento della criminosità, alla malattia deve affiancarsi la tossicomania, flagello che, ancora una volta, riguarda tutti. Insomma, se si guardano i dati nel loro complesso, non c'è nessuna responsabilità del modello di cura nella propensione ai reati degli schizofrenici, l'andamento è lo stesso della popolazione generale. E poi, ed è un argomento forte, il 65% dei pazienti maschi e il 55% delle pazienti hanno commesso il loro primo reato prima che venisse posta la diagnosi. Questo vuol dire che, manicomio o comunità, quei reati sarebbero comunque stati commessi. Insomma si fa in fretta a parlare, e a fare titoli. Raccogliere i dati richiede più tempo, e fatica, ma di solito è più utile.
Maurizio Imperiali
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