L'antidoto al bullismo

14 giugno 2006
Aggiornamenti e focus

L'antidoto al bullismo



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Gli episodi si susseguono sempre più numerosi e le cronache dei giornali lo confermano. L'ultima in ordine di tempo riguarda il 13enne di Vicenza, vittima dei compagni di classe che arrivano a picchiarlo perché non veste griffato. Il fenomeno si chiama bullismo e, secondo una recente denuncia di Telefono Azzurro, riguarda più ragazzi di quanto si possa pensare. Sembra, infatti, che questo fenomeno di prevaricazione e disagio tocchi, seppur con ruoli diversi, fino a un bambino su tre. Il problema riguarda in particolare bambini e adolescenti nelle fasce di età comprese tra i 7-8 anni e i 14-16 anni, ossia scuole elementari e gli anni a cavallo tra le scuole medie inferiori e superiori. Vista la crescente rilevanza del fenomeno, gli esperti in problematiche dell'infanzia e dell'adolescenza se ne stanno occupando sempre più diffusamente, sia per definirne le caratteristiche distintive sia per mettere a punto strategie di intervento idonee a prevenirlo e contrastarlo. In queste ultime rientra uno studio olandese, pubblicato sugli Archives of Pediatric and Adolescent Medicine, che riporta i favorevoli risultati di un programma scolastico antibullismo. Ma procedendo con ordine è bene prima definire il problema.

Il fenomeno


Per cominciare va chiarito che il bullismo non è un fenomeno fisiologicamente connesso alla crescita e non serve a rinforzare il carattere della vittima, ma crea solo disagio e sofferenza sia in chi lo subisce che in chi lo esercita. Il bullismo, infatti, come ha spiegato telefono Azzurro, si differenzia dalle semplici liti tra giovani poiché manca la caratteristica di alternanza tra i ruoli: chi offende e chi subisce sono sempre le stesse persone. Un comportamento da bullo è un tipo di azione che mira deliberatamente a fare del male o a danneggiare, spesso è persistente e quasi sempre c'è una grave difficoltà per la vittima a difendersi. A seconda che gli episodi di prepotenza si manifestino con modalità più o meno esplicite ed evidenti, si individuano il bullismo diretto (più frequente tra maschi), caratterizzato da comportamenti aggressivi e prepotenti visibili e il bullismo indiretto, un disturbo comportamentale meno evidente, e quindi più difficile da individuare, poiché gioca più sul piano psicologico (tipologia di prevaricazione più tipicamente femminile). Oltre alle due figure del bullo e della vittima, gli spettatori, sia sostenitori dell'uno che dell'altro ma anche maggioranza silenziosa, giocano un ruolo fondamentale. Poiché circa l'85% degli episodi di bullismo avviene in presenza del gruppo dei pari, proprio la maggioranza silenziosa costituisce una risorsa di grandissimo valore sulla quale fare leva per ridurre la portata del fenomeno. Ma come ridurlo?

Lo studio


Se ne è occupato lo studio olandese comparso sugli Archives of Internal Medicine, che ha evidenziato nelle sue premesse come le politiche antibullismo sperimentate nelle scuole di molti paesi europei abbiamo dato buoni frutti. Il primo tentativo si è svolto in Norvegia: in assoluto il mondo anglosassone e in particolare la Scandinavia è quello che ha più sviscerato il problema. I risultati a oggi mostrano come si siano ridotti i comportamenti bulli nelle realtà che hanno sperimentato politiche ad hoc e di conseguenza i tentativi si sono estesi ad altri stati. L'obiettivo dello studio olandese è proprio quello di verificarne gli effetti sia sul fenomeno sia sugli esiti per la salute. Per farlo hanno confrontato le scuole che hanno adottato queste politiche e quelle che non l'hanno fatto. Hanno partecipato allo studio 13816 bambini di età compresa tra 9 e 12 anni, dei quali è stato valutato attraverso un questionario il comportamento "bullo", la depressione, problemi psicosomatici, comportamenti teppistici e soddisfazione dalla vita scolastica. Il tutto in tre momenti successivi. I risultati? Il bullismo è diminuito del 25% nel gruppo d'intervento confrontato col gruppo controllo. Non solo. I risultati parlano di una diminuzione nei punteggi sia di vittimizzazione sia di comportamenti aggressivi. Lo stesso vale per gli esiti sulla salute, con minori episodi di depressione. Il risultato è chiaro, concludono gli autori. Una politica preventiva adottata nelle scuole riduce considerevolmente i comportamenti aggressivi tra i bambini e sarebbe necessario protrarli ogni anno. Il punto è sempre quello: la scuola non si deve limitare a insegnare matematica, italiano e inglese ma l'educazione in senso più ampio. Ci riuscirà?

Marco Malagutti



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