28 luglio 2006
Aggiornamenti e focus
Più psico che somatico
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Sui disturbi psicosomatici si può ironizzare quanto si vuole, ma restano un fatto con conseguenze importanti, sia sul piano sanitario (costi per trattamenti inefficaci) sia sul piano della salute soggettiva, perché chi ne soffre sta effettivamente male. Da tempo si cerca, soprattutto in ambito angloamericano, di introdurre di routine trattamenti psicoterapeutici per questi pazienti. Si spiegano così, per esempio, anche i molti studi che il British Medical Journal ha pubblicato, per esempio, sull'effetto di psicoterapie sul mal di schiena. Ora arriva una ricerca statunitense che, nei pazienti affetti da somatizzazione, secondo i criteri del manuale diagnostico psichiatrico DSM-IV, ha messo a confronto l'approccio standard del medico di famiglia, sia pure integrato con un consulto psichiatrico e relative raccomandazioni al curante, e un ciclo di 10 sedute di terapia cognitivo-comportamentale, anch'esso preceduto dal consulto psichiatrico.
La psicoterapia aveva alcuni obiettivi ben definiti: ridurre tensione ed eccitazione fisiologica attraverso tecniche di rilassamento, migliorare la regolazione dell'attività aumentando il tempo dedicato ad attività piacevoli e coinvolgenti e all'esercizio, aumentare la consapevolezza delle emozioni e modificare le convinzioni disfunzionali (pensieri negativi), migliorare la comunicazione di emozioni e sentimenti, ridurre l'eventuale rinforzo della percezione di se stessi come malati causato dagli atteggiamenti del partner. Il campione coinvolto nello studio contava circa 80 persone, che sono state valutate a tre, a nove e a 15 mesi dall'inizio dello studio. L'elemento principale di questa valutazione era la gravità della condizione , che veniva misurata con un'apposita scala (Clinical Global Impression Scale for Somatization Disorder) da 0 a 5 punti. Vi erano anche altre "griglie" che misuravano il funzionamento fisico (capacità di fare le scale, camminare su varie distanze...) e anche un diario dei sintomi.
I risultati ottenuti depongono senz'altro per il ricorso alla psicoterapia. A un anno dalla fine del trattamento (cioè 15 mesi dall'inizio della ricerca), i pazienti sottoposti a questo trattamento mostravano un miglioramento di quasi un punto sulla scala di valutazione principale, inoltre più facilmente il medico che li esaminava, e che non sapeva quale terapia avessero seguito, li giudicava decisamente migliorati o molto migliorati. Allo stesso modo migliorava il funzionamento fisico. Oltre a sentirsi meglio, e a dimostrarlo, questi pazienti hanno anche mostrato un minor ricorso al medico e ai servizi sanitari (dalla visita al pronto soccorso al ricovero ospedaliero): insomma, una riduzione anche dei costi. Un altro aspetto importante di questo studio è che il confronto non è avvenuto tra un trattamento inefficace e la psicoterapia, ma tra il miglior trattamento oggi disponibile(il consulto psichiatrico in appoggio al curante), quindi la differenza è di quelle che pesano.
Maurizio Imperiali
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Poche idee, ma chiare
La psicoterapia aveva alcuni obiettivi ben definiti: ridurre tensione ed eccitazione fisiologica attraverso tecniche di rilassamento, migliorare la regolazione dell'attività aumentando il tempo dedicato ad attività piacevoli e coinvolgenti e all'esercizio, aumentare la consapevolezza delle emozioni e modificare le convinzioni disfunzionali (pensieri negativi), migliorare la comunicazione di emozioni e sentimenti, ridurre l'eventuale rinforzo della percezione di se stessi come malati causato dagli atteggiamenti del partner. Il campione coinvolto nello studio contava circa 80 persone, che sono state valutate a tre, a nove e a 15 mesi dall'inizio dello studio. L'elemento principale di questa valutazione era la gravità della condizione , che veniva misurata con un'apposita scala (Clinical Global Impression Scale for Somatization Disorder) da 0 a 5 punti. Vi erano anche altre "griglie" che misuravano il funzionamento fisico (capacità di fare le scale, camminare su varie distanze...) e anche un diario dei sintomi.
Effetti duraturi
I risultati ottenuti depongono senz'altro per il ricorso alla psicoterapia. A un anno dalla fine del trattamento (cioè 15 mesi dall'inizio della ricerca), i pazienti sottoposti a questo trattamento mostravano un miglioramento di quasi un punto sulla scala di valutazione principale, inoltre più facilmente il medico che li esaminava, e che non sapeva quale terapia avessero seguito, li giudicava decisamente migliorati o molto migliorati. Allo stesso modo migliorava il funzionamento fisico. Oltre a sentirsi meglio, e a dimostrarlo, questi pazienti hanno anche mostrato un minor ricorso al medico e ai servizi sanitari (dalla visita al pronto soccorso al ricovero ospedaliero): insomma, una riduzione anche dei costi. Un altro aspetto importante di questo studio è che il confronto non è avvenuto tra un trattamento inefficace e la psicoterapia, ma tra il miglior trattamento oggi disponibile(il consulto psichiatrico in appoggio al curante), quindi la differenza è di quelle che pesano.
Maurizio Imperiali
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