20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus
La recidiva si può fermare
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Restano ancora parecchi lati oscuri su una malattia come la sclerosi multipla per la quale non esiste ancora una cura risolutiva. Tuttavia la ricerca scientifica prosegue e apre ogni volta delle finestre che mettono in luce nuovi aspetti, utili sia per comprenderne la patogenesi sia per approntare possibili terapie. E' ormai appurata la natura autoimmune della malattia, che si sviluppa, in soggetti geneticamente suscettibili, attraverso processi di infiammazione, demielinizzazione e neurodegenerazione. Nel circolo sanguigno di questi pazienti sono presenti anticorpi contro antigeni localizzati sulla guaina mielinica (che riveste i nervi su tutta la loro lunghezza) così che vengono danneggiate le fibre nervose e compromessa la loro funzionalità. Tali anticorpi possono superare la barriera ematoencefalica, compromessa dalla risposta infiammatoria in atto, e avere accesso al sistema nervoso centrale dove aggrediscono per lo più i nervi ottici, la sostanza bianca vicina ai ventricoli cerebrali, al tronco cerebrale, al cervelletto e alla sostanza bianca del midollo spinale.
L'evoluzione della malattia può prendere due direzioni, una è la forma recidivante che però può trasformarsi nell'altra che è quella cronica e progressiva, forse quella più grave, perché è responsabile della disabilità del paziente. Infatti, parte della strategia terapeutica è focalizzata a prevenire le lesioni demielinizzanti acute e la cronicizzazione, ed è rivolta ai pazienti recidivanti. Uno dei farmaci in studio negli ultimi anni è il natalizumab (vedi gli articoli precedenti); su sperimentazione e impiego della molecola ci sono state delle controversie perché vennero rilevati tre casi di leucoencefalopatia progressiva multifocale riconducibili al farmaco, che venne ritirato dal mercato.
Il natalizumab è un immunomodulatore che blocca l'adesione dei linfociti T alle cellule endoteliali dei vasi sanguigni riducendo il processo infiammatorio tipico della sclerosi multipla.
Tuttavia, essendo promettenti le prove di efficacia, la ricerca ha proseguito il suo corso sulla molecola e un tris di studi, pubblicati nello stesso numero del New England Journal of Medicine, ha portato alla luce interessanti risultati su un monitoraggio di due anni del campione.
I pazienti in studio erano affetti da sclerosi multipla recidivante e in uno di questi lavori, il SENTINEL, facevano già uso di interferone beta (una delle terapie attualmente disponibili e in uso). L'aggiunta del natalizumab è stata testata, contro placebo, in un campione di 1171 soggetti e ha ottenuto una riduzione del tasso annuale di recidive da 0,75 a 0,34 (55% in meno) e un abbassamento del rischio relativo di progressione della malattia del 24% anche se poi la progressione della disabilità subiva una riduzione moderata: dal 29% con il solo interferone al 23% con la combinazione.
L'altro lavoro sulla molecola, lo studio AFFIRM, ha valutato l'efficacia del farmaco contro placebo in quasi mille soggetti, sempre nell'arco di due anni. Anche in questo caso i risultati erano favorevoli: riduzione del tasso annuale di ricaduta da 0,75 a 0,24 (68% in meno), riduzione della probabilità di progressione della malattia dal 29% al 17%, riduzione dell'83% del numero di lesioni cerebrali nuove o in espansione (verificate con risonanza magnetica).
Entrambi gli studi non hanno rilevato casi di encefalopatia, nell'arco dei due anni, dopo una somministrazione del natalizumab durata tra 8 e 30 mesi.
L'eventuale comparsa di casi del genere è stata l'oggetto di studio del terzo lavoro che ha analizzato 11 pubblicazioni che, nel complesso, coinvolgevano più di tre mila soggetti curati con natalizumab per sclerosi multipla, morbo di Crohn e artrite reumatoide (indicazioni terapeutiche previste per il farmaco). Non sono stati registrati nuovi casi ed è stata confermata una prevalenza di un caso ogni mille pazienti, tuttavia il trattamento è durato circa 18 mesi, e oltre questo periodo gli autori non si esprimono in merito alla sicurezza della terapia.
Le evidenze favorevoli all'uso di natalizumab nei pazienti colpiti da sclerosi multipla sono forti e significative, inoltre il farmaco incontra anche criteri di convenienza per il paziente che lo può assumere in un'unica dose mensile per via endovenosa, piuttosto che ricorrere all'auto-somministrazione settimanale prevista per l'interferone. Nell'ottica di evitare effetti collaterali gravi sarebbe interessante, e utile, avere un metodo per identificare i pazienti a rischio, cosa che ci si attende da ulteriori studi.
Simona Zazzetta
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...e inoltre su Dica33:
Ricadute e cronicizzazione
L'evoluzione della malattia può prendere due direzioni, una è la forma recidivante che però può trasformarsi nell'altra che è quella cronica e progressiva, forse quella più grave, perché è responsabile della disabilità del paziente. Infatti, parte della strategia terapeutica è focalizzata a prevenire le lesioni demielinizzanti acute e la cronicizzazione, ed è rivolta ai pazienti recidivanti. Uno dei farmaci in studio negli ultimi anni è il natalizumab (vedi gli articoli precedenti); su sperimentazione e impiego della molecola ci sono state delle controversie perché vennero rilevati tre casi di leucoencefalopatia progressiva multifocale riconducibili al farmaco, che venne ritirato dal mercato.
Il natalizumab è un immunomodulatore che blocca l'adesione dei linfociti T alle cellule endoteliali dei vasi sanguigni riducendo il processo infiammatorio tipico della sclerosi multipla.
Promesse mantenute
Tuttavia, essendo promettenti le prove di efficacia, la ricerca ha proseguito il suo corso sulla molecola e un tris di studi, pubblicati nello stesso numero del New England Journal of Medicine, ha portato alla luce interessanti risultati su un monitoraggio di due anni del campione.
I pazienti in studio erano affetti da sclerosi multipla recidivante e in uno di questi lavori, il SENTINEL, facevano già uso di interferone beta (una delle terapie attualmente disponibili e in uso). L'aggiunta del natalizumab è stata testata, contro placebo, in un campione di 1171 soggetti e ha ottenuto una riduzione del tasso annuale di recidive da 0,75 a 0,34 (55% in meno) e un abbassamento del rischio relativo di progressione della malattia del 24% anche se poi la progressione della disabilità subiva una riduzione moderata: dal 29% con il solo interferone al 23% con la combinazione.
L'altro lavoro sulla molecola, lo studio AFFIRM, ha valutato l'efficacia del farmaco contro placebo in quasi mille soggetti, sempre nell'arco di due anni. Anche in questo caso i risultati erano favorevoli: riduzione del tasso annuale di ricaduta da 0,75 a 0,24 (68% in meno), riduzione della probabilità di progressione della malattia dal 29% al 17%, riduzione dell'83% del numero di lesioni cerebrali nuove o in espansione (verificate con risonanza magnetica).
Entrambi gli studi non hanno rilevato casi di encefalopatia, nell'arco dei due anni, dopo una somministrazione del natalizumab durata tra 8 e 30 mesi.
L'eventuale comparsa di casi del genere è stata l'oggetto di studio del terzo lavoro che ha analizzato 11 pubblicazioni che, nel complesso, coinvolgevano più di tre mila soggetti curati con natalizumab per sclerosi multipla, morbo di Crohn e artrite reumatoide (indicazioni terapeutiche previste per il farmaco). Non sono stati registrati nuovi casi ed è stata confermata una prevalenza di un caso ogni mille pazienti, tuttavia il trattamento è durato circa 18 mesi, e oltre questo periodo gli autori non si esprimono in merito alla sicurezza della terapia.
Le evidenze favorevoli all'uso di natalizumab nei pazienti colpiti da sclerosi multipla sono forti e significative, inoltre il farmaco incontra anche criteri di convenienza per il paziente che lo può assumere in un'unica dose mensile per via endovenosa, piuttosto che ricorrere all'auto-somministrazione settimanale prevista per l'interferone. Nell'ottica di evitare effetti collaterali gravi sarebbe interessante, e utile, avere un metodo per identificare i pazienti a rischio, cosa che ci si attende da ulteriori studi.
Simona Zazzetta
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