Epilessia fotosensibile

20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus

Epilessia fotosensibile



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Mamme, dov'è vostro figlio? Davanti alla tv o a giocare con la Play Station? Oppure è a "smanettare" con il computer? Allora, fate molta attenzione, perché il ragazzo potrebbe essere a rischio di epilessia fotosensibile, una forma di epilessia stimolata dall'esposizione prolungata a monitor e immagini luminose, che colpisce quasi un bambino su cento. I sintomi più tipici sono: fissita' dello sguardo, irrigidimento di un arto, deviazione del capo, allucinazioni, svenimenti improvvisi e convulsioni.
Sino a pochi mesi fa non si conosceva ancora la causa, ma la risposta è arrivata di recente da uno studio condotto da un gruppo di neurologi italiani, pubblicato su Nature Neuroscience (n° 1 marzo 2000). La ricerca ha dimostrato che l'epilessia fotosensibile è scatenata dalla particolare luminosità delle immagini di tv e videogiochi, e il disturbo può rimanere silente anche per anni, sino a quando queste stimolazioni non raggiungono i neuroni dei lobi occipitali, che nei soggetti predisposti alla malattia non "funzionano " correttamente.

I dati della ricerca


La ricerca pubblicata su Nature Neuroscience è stata realizzata presso l'Istituto di Neurofisiologia del Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche) di Pisa, in collaborazione con l'Istituto di neuropsichiatria infantile Stella Maris di Pisa. Gli esperti hanno analizzato 23 ragazzi, di cui undici predisposti all'epilessia fotosensibile, sottoponendoli a stimoli visivi di diversa natura. Per esempio, i soggetti dovevano guardare linee orizzontali visibili ad intermittenza sullo schermo di un pc, con costante variazione del contrasto dello sfondo. I ricercatori, così, hanno potuto studiare le variazioni dell'attività elettrica dell'area visiva primaria, che si trova nella zona occipitale del cervello. In particolare, alcuni elettrodi posti dietro al collo hanno permesso di registrare il cosiddetto Vep (Visually Evoked Potential), ovvero il potenziale elettrico indotto dallo stimolo visivo. Dai risultati dello studio, è emerso che nei pazienti affetti dalla malattia esiste una differenza nell'ampiezza del Vep, rispetto ai pazienti sani. Mentre in questi ultimi, infatti, una volta raggiunto il contrasto bianco-nero, il Vep rimane costante, nei soggetti colpiti dall'epilessia fotosensibile, all'aumentare del contrasto accresce notevolmente anche l'ampiezza del Vep. Ciò sembra causare una sovraeccitazione delle cellule nervose, con scariche simultanee ed eccessive da parte dei neuroni cerebrali, tanto da portare il paziente alla tipica crisi epilettica. In pratica, il disturbo è scatenato dall'assenza del meccanismo di controllo dell'aumento di contrasto (cioè, il sistema di autodifesa agli stimoli troppo intensi non funziona correttamente e porta a risposte incontrollate). Ecco, allora, spiegato perché i videogiochi e la televisione possono essere molto pericolosi per chi soffre di epilessia fotosensibile. Una scena televisiva, infatti, presenta una distribuzione di contrasti in continua mutazione: quando il contrasto e le frequenze temporali sono quelle critiche è possibile che si scateni un attacco.

Quando i primi casi?


Il primo caso italiani di epilessia fotosensibile da videoschermo è stato registrato il 2 aprile del 1993 a Pisa; ad esserne colpito è stato un ragazzino di 11 anni. Il secondo caso (avvenuto il 13 aprile sempre del 1993) è di un ragazzo che aveva giocato troppo con il videogioco del "Wrestling". Un terzo caso fu denunciato nel 1998, quando due bambini ebbero seri malori dopo aver rispettivamente giocato alla Play Station e al Nintendo 64. Già un anno prima, però, in Giappone furono ben 685 i bambini che, dopo aver assistito ad un episodio della popolare serie tv "I Pokèmon", furono vittime di un attacco di epilessia fotosensibile.
Il caso più recente e sconvolgente, però, è senza dubbio quello di Alessandro, un ragazzo di 16 anni, che, giocando eccessivamente al videogame "Street Fighter" (il tipico gioco picchiaduro), ha perso completamente la sua identità, assumendo quella del protagonista del gioco: Ken. Altro caso serio è quello di un ragazza di 13 anni di Genova che, dopo solo mezz'ora di gioco alla Play Station, è caduta in trance. E' d'obbligo però precisare che qui non si tratta di epilessia, ma di altro.

Le regole di prevenzione

I videogiochi, se utilizzati in maniera razionale, possono anche essere benefici: stimolano la manualità, l'inventiva e la sana competizione nei momenti di aggregazione con i coetanei. L'uso eccessivo e incontrollato, al contrario, può causare seri problemi, tra cui l'epilessia fotosensibile. E' fondamentale, quindi, che i genitori insegnino ai bambini a servirsi di tv e videogiochi come un semplice momento di svago e divertimento, al fine di evitare la cosiddetta "sindrome da videogioco". E' la famiglia, perciò, che non deve abbandonare i propri figli davanti alla Play Station o al computer, magari con "l'alibi" che così facendo i ragazzi stanno tranquilli e imparano.
Oltre alla durata dell'uso del videogame, però, è importante tenere a mente altre regole fondamentali per evitare danni alla salute in generale: tenere una buona distanza dal monitor (3 metri circa se si tratta della televisione), se possibile intervenire sulle funzioni del video riducendo il contrasto delle immagini, limitare l'uso se il bambino è indisposto o semplicemente stanco, mantenere nella stanza una buona illuminazione e, naturalmente, assicurarsi che il ragazzo impegnato davanti ad un video (per studio o lavoro) faccia frequenti pause. Insomma, contro la sindrome da videogioco non resta che sottolineare un vecchio detto: il gioco è bello quando dura poco!

Annapaola Medina



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