22 ottobre 2010
Aggiornamenti e focus
Quando leggere costa troppa fatica
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di Elisabetta Lucchesini
La dislessia è un problema che riguarda il 10% dei bambini, più spesso maschi che ne infatti ne sono colpiti 4 volte più delle femmine. Il disturbo diventa evidente quando i piccoli iniziano a frequentare la scuola elementare e sembrano imparare meno dei loro compagni. Non sono bimbi pigri o distratti, ma solo dislessici, soffrono cioè di una difficoltà specifica che riguarda l'automatizzazione della lettura. «La dislessia - spiega Antonella Costantino, neuropsichiatria infantile, direttore Uonpia (Unità Operativa di Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza) Fondazione Irccs Ca' Granda Ospedale Maggiore Policlinico - è un disturbo multifattoriale che riconosce una predisposizione genetica unita a fattori ambientali». Ossia è determinato da alterazioni genetiche, già presenti alla nascita, ma non ancora note. In parte è il risultato di altri fattori legati all'ambiente familiare ed esterno in cui cresce il bambino. «Le cause quindi possono essere diverse e il disturbo può manifestarsi in maniera lieve o più grave, tuttavia - continua la dottoressa Costantino - può sempre essere corretto con l'approccio e gli strumenti adeguati». Quello che è importante capire, infatti, è che la dislessia non è un deficit di per sé, anzi questi bambini sono intelligenti come gli altri. Se però la difficoltà a leggere è marcata e il bambino non viene aiutato a compensarla, allora sì rischia di sviluppare negli anni un deficit di apprendimento, perché proprio attraverso la lettura passano la maggior parte delle nozioni che si apprendono a scuola e nella vita. Un bambino dislessico fatica a leggere un testo scritto, ci mette più tempo ed energie e a volte questo può andare a discapito della comprensione totale di quanto ha letto. Con il risultato che nei casi più difficili tende a rifiutarsi di leggere, specie se a voce alta. Per farsi un'idea concreta basta pensare alle difficoltà che chiunque può avere leggendo un testo in una lingua straniera che conosce poco.
Diagnosi e terapia spettano agli specialisti e, da oggi, anche le istituzioni scolastiche saranno autorizzate a collaborare con maggior solerzia, fornendo gli ausili tecnici necessari, ma già in famiglia si può fare molto. «Leggere a voce alta è una buona abitudine - spiega Antonella Costantino - che ogni genitore dovrebbe dedicare ai propri figli sin dalla più tenera età. Indipendentemente dalla dislessia, infatti, ascoltare qualcuno che legge aiuta il bambino a vivere la lettura come un'attività piacevole». Se poi si scopre che il proprio bambino ha delle difficoltà che rientrano nella sfera della dislessia «la prima cosa da fare è parlarne molto francamente con il piccolo». Poca chiarezza non farebbe altro che ingigantire il problema e le ansie del bambino, con evidenti ricadute sulle sue reali capacità. La dislessia invece può essere corretta, o almeno compensata, con appositi accorgimenti: per esempio iniziare prima con l'ascolto di un testo, o di una lezione, rende poi più facile una successiva lettura in proprio. È importante capire, e far capire al bambino, che gli servono solo metodi diversi perché lui legge in un modo diverso. Lo scopo finale e raggiungibile è la comprensione agevole e in tempi ragionevoli di un testo, cosa che gli consentirà di restare alla pari con i suoi compagni di classe nell'apprendimento scolastico. Naturalmente è facile intuire come i primi anni di scuola elementare siano cruciali: se il disturbo è correttamente gestito in questa fase delicata, il bambino potrà poi seguire qualsiasi iter scolastico e lavorativo, senza doversi sentire isolato.
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La dislessia è un problema che riguarda il 10% dei bambini, più spesso maschi che ne infatti ne sono colpiti 4 volte più delle femmine. Il disturbo diventa evidente quando i piccoli iniziano a frequentare la scuola elementare e sembrano imparare meno dei loro compagni. Non sono bimbi pigri o distratti, ma solo dislessici, soffrono cioè di una difficoltà specifica che riguarda l'automatizzazione della lettura. «La dislessia - spiega Antonella Costantino, neuropsichiatria infantile, direttore Uonpia (Unità Operativa di Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza) Fondazione Irccs Ca' Granda Ospedale Maggiore Policlinico - è un disturbo multifattoriale che riconosce una predisposizione genetica unita a fattori ambientali». Ossia è determinato da alterazioni genetiche, già presenti alla nascita, ma non ancora note. In parte è il risultato di altri fattori legati all'ambiente familiare ed esterno in cui cresce il bambino. «Le cause quindi possono essere diverse e il disturbo può manifestarsi in maniera lieve o più grave, tuttavia - continua la dottoressa Costantino - può sempre essere corretto con l'approccio e gli strumenti adeguati». Quello che è importante capire, infatti, è che la dislessia non è un deficit di per sé, anzi questi bambini sono intelligenti come gli altri. Se però la difficoltà a leggere è marcata e il bambino non viene aiutato a compensarla, allora sì rischia di sviluppare negli anni un deficit di apprendimento, perché proprio attraverso la lettura passano la maggior parte delle nozioni che si apprendono a scuola e nella vita. Un bambino dislessico fatica a leggere un testo scritto, ci mette più tempo ed energie e a volte questo può andare a discapito della comprensione totale di quanto ha letto. Con il risultato che nei casi più difficili tende a rifiutarsi di leggere, specie se a voce alta. Per farsi un'idea concreta basta pensare alle difficoltà che chiunque può avere leggendo un testo in una lingua straniera che conosce poco.
Diagnosi e terapia spettano agli specialisti e, da oggi, anche le istituzioni scolastiche saranno autorizzate a collaborare con maggior solerzia, fornendo gli ausili tecnici necessari, ma già in famiglia si può fare molto. «Leggere a voce alta è una buona abitudine - spiega Antonella Costantino - che ogni genitore dovrebbe dedicare ai propri figli sin dalla più tenera età. Indipendentemente dalla dislessia, infatti, ascoltare qualcuno che legge aiuta il bambino a vivere la lettura come un'attività piacevole». Se poi si scopre che il proprio bambino ha delle difficoltà che rientrano nella sfera della dislessia «la prima cosa da fare è parlarne molto francamente con il piccolo». Poca chiarezza non farebbe altro che ingigantire il problema e le ansie del bambino, con evidenti ricadute sulle sue reali capacità. La dislessia invece può essere corretta, o almeno compensata, con appositi accorgimenti: per esempio iniziare prima con l'ascolto di un testo, o di una lezione, rende poi più facile una successiva lettura in proprio. È importante capire, e far capire al bambino, che gli servono solo metodi diversi perché lui legge in un modo diverso. Lo scopo finale e raggiungibile è la comprensione agevole e in tempi ragionevoli di un testo, cosa che gli consentirà di restare alla pari con i suoi compagni di classe nell'apprendimento scolastico. Naturalmente è facile intuire come i primi anni di scuola elementare siano cruciali: se il disturbo è correttamente gestito in questa fase delicata, il bambino potrà poi seguire qualsiasi iter scolastico e lavorativo, senza doversi sentire isolato.
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