25 maggio 2015
Interviste
Bambini sovrappeso, ma i genitori non se ne accorgono
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"Ogni scarafaggio è bello - e magro - agli occhi della sua mamma", si potrebbe dire parafrasando l'antico adagio: secondo uno studio appena pubblicato sulla rivista Childhood Obesity, infatti, agli occhi dei genitori ogni bimbo non solo è bello, ma non è quasi mai sovrappeso, e tantomeno obeso, a dispetto delle indicazioni fornite dalla bilancia e dal pediatra. Questo studio conferma infatti su un ampio campione di oltre 3.800 bambini americani di età compresa tra i 2 e i 5 anni, presi in esame con i rispettivi genitori, che la percezione che si tende ad avere dell'immagine corporea dei propri figli è spesso distorta: si tende sempre a pensare che i figli mangino troppo poco, e che abbiano una corporatura e un peso "normali" anche quando sono decisamente sopra la media, e raggiungono livelli di peso associati a maggiori rischi per la salute futura.
Dica33 ne ha parlato con Alfonso Siani, medico e ricercatore all'Istituto di scienza dell'alimentazione del Cnr di Avellino, da anni impegnato nella ricerca sui fattori che contribuiscono all'epidemia di obesità infantile, nell'ambito dei progetti europei Idefics e iFamily, di cui è oggi uno dei coordinatori.
Dottor Siani, questa tendenza a non vedere quando i propri figli sono obesi riguarda anche noi italiani?
«Ahimè sì. Gli studi segnalano in linea di massima che la spinta a far mangiare troppo i bambini è più comune nella fascia di popolazione con un livello socio-educativo più modesto, ma anche che la tendenza è più marcata nelle regioni meridionali. Anche in Europa, il dato su sovrappeso e obesità infantile vede l'Italia messa peggio della media continentale. È un aspetto molto significativo, perché il primo passo per attuare tutte le misure di prevenzione consiste nel rendersi conto fino in fondo della situazione, e dei potenziali rischi cui i bambini vanno incontro».
Quindi questo accade nonostante la protezione offerta dalla dieta mediterranea?
«La dieta mediterranea è stata descritta negli ultimi anni come un toccasana, anche se rispetto al passato molte cose sono cambiate con l'innalzamento del tenore di vita, e delle quantità di cibi e bevande consumate. In generale c'è ancora oggi una scarsa conoscenza in tema di alimentazione».
Questo è un aspetto di cui si occupano i progetti europei cui anche lei lavora...
«Sì. Il primo progetto, chiamato Idefics, era partito nel 2006 in otto paesi europei, in ciascuno dei quali abbiamo seguito per alcuni anni dei gruppi di circa 2.000 bambini di età compresa tra 3 e 8 anni, non solo raccogliendo a intervalli regolari questionari sulle abitudini alimentari e sull'attività fisica dei ragazzi, ma anche visitandoli due volte per raccogliere campioni biologici e misurare alcuni parametri importanti come per esempio la densità ossea e altri associati all'attività fisica. Nel 2012, poi, è partito un progetto di più ampio respiro, il progetto iFamily, che ha esteso l'indagine all'intero nucleo familiare, per provare a valutare anche l'effetto dell'influenza sociale, oltre a cercare di individuare per esempio fattori genetici».
Insomma il progetto iFamily sta usando un approccio nuovo alla lotta contro l'obesità infantile.
«Proprio così. Stiamo affiancando l'osservazione degli stessi bambini - che ora sono cresciuti, e in parte sono entrati nell'adolescenza - ad alcuni interventi con campagne informative sulla sana alimentazione, e ad alcune ricerche con cui speriamo di individuare precocemente - per esempio nelle urine - sostanze associate a un maggior rischio di sviluppare sovrappeso e obesità. In questo senso abbiamo già condotto alcuni studi che hanno fornito risultati interessanti. Lo scopo è quello di verificare se alcuni ragazzi, o alcune famiglie, sono particolarmente a rischio di obesità per ragioni sociali o biologiche, per poter adottare insieme a loro le contromisure più adeguate nel modo più tempestivo».
Nel frattempo, che cosa si può fare?
«Al momento il test diagnostico più semplice e affidabile rimane la bilancia, affiancata da una valutazione complessiva della qualità e quantità di cibi e bevande e dell'attività fisica svolta. A questo si deve affiancare poi un'attenzione particolare all'uso di televisione e computer, e alla qualità e quantità del sonno. È oramai accertato infatti che già a 9 anni i bambini sovrappeso e obesi sono spesso quelli che passano meno ore dormendo, e trascorrono invece più ore davanti a uno schermo, che sia del televisore (soprattutto se ce n'è uno nella loro stanza, facilmente accessibile giorno e notte), del computer o dello smartphone.
Insomma la prevenzione dell'obesità infantile passa attraverso una maggiore igiene del sonno - limitando le ore trascorse davanti a uno schermo, e spegnendo tutto qualche tempo prima che sia ora di andare a dormire - un'attività fisica regolare, al chiuso e all'aria aperta, e un'alimentazione ricca di frutta e verdura, e possibilmente povera di cibi spazzatura e bevande gassate e zuccherate».
Fabio Turone
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