25 luglio 2008
Aggiornamenti e focus
Segni di identità
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Inizialmente ornavano bicipiti, avambracci e toraci di marinai e soldati, a ricordare imprese, donne e valori; nel tempo, poi, i tatuaggi si sono trasformati prima in un segno distintivo originale, trasversale ai generi e alle età, e infine in una moda, fino a diventare quasi un accessorio di tendenza. E se la moda è generalmente appannaggio di un mondo al femminile, anche questa non sfugge alla regola: tra il 45 e il 65% della popolazione tatuata sono donne. E la tendenza è in aumento dal momento che, solo in Texas, ci sono più di 1300 studi di tatuatori e l'incidenza nella fascia di età tra i 18 e i 30 anni passerà dal 25% al 40% entro pochi anni.
Ma a questa tendenza se ne aggiunge un'altra uguale e contraria. Infatti, se togliersi un accessorio di moda come un bracciale, una borsa o una cintura è cosa molto semplice, per togliersi un tatuaggio bisogna ricorrere a uno specialista e i dermatologi documentano un crescente volume di richieste di rimozione o comunque di insoddisfazione della presenza di un segno indelebile sulla pelle. A fronte di una maggioranza di tatuati soddisfatti (83%), esiste una prevalenza del 20% circa di non più convinti della scelta e un 6% che sta già pensando a come rimuovere il tatuaggio. Nel 1996 è stata condotta una vera e propria indagine scientifica su un centinaio di soggetti, per studiare le motivazioni che spingevano a voler cancellare il segno, inizialmente voluto per gioco, senso di appartenenza a un gruppo, segno di unicità. E se in età giovanile avevano scelto di farlo con aspettative rispetto alla propria identità, la decisione di rimuoverlo è allo stesso modo motivata da una rottura con il passato e da un desiderio di miglioramento della propria identità. Qualcosa di simile è stato riscontrato anche in un altro studio su circa 70 persone, e in entrambi i gruppi erano passati almeno 14 anni tra la realizzazione del tatuaggio e la sua rimozione.
Per comprendere meglio l'evoluzione di questa tendenza, i dati del 1996 sono stati confrontati con quelli raccolti nel 2006 su un campione di circa 200 persone. Innanzitutto, i tatuaggi erano almeno due, mentre 10 anni prima in genere se ne contavano uno o al massimo due, erano stati realizzati tra i 16 e i 23 anni, quindi un po' dopo rispetto alla fascia di età 12-19 segnalata nel 1996, ma a differenza di prima la decisione di rimuoverlo maturava prima, intorno ai 30 anni, anziché 33, quindi dopo circa 10 anni. Inoltre, era anche aumentata la percentuale di donne che aveva scelto di farsi tatuare zone esposte del corpo dall'82% all'88%. Ancora una volta la scelta di farsi tatuare era spinta per più del 40% dei casi dal desiderio di sentirsi unici, ma nel tempo la sensazione di unicità ha perso lustro e significato spingendo le persone a cercare un modo per cancellare il tatuaggio. Anche un nuovo lavoro o una nuova carriera rappresentavano una motivazione alla rimozione, soprattutto se in ambienti in cui un tatuaggio poteva rappresentare un comportamento apertamente negativo, che avrebbe potuto togliere credibilità, competenza e compromettere i rapporti sociali nel luogo di lavoro. Il campione di donne con tatuaggio, inoltre, oltre a presentare una maggiore percentuale di richieste di rimozione nel 2006, manifestava disagio e imbarazzo per eventuali commenti che si sarebbero potuti sollevare, per problemi incontrati con l'abbigliamento e anche per un bisogno di unicità non più soddisfatto da un segno distintivo sul corpo. La contraddizione a distanza di un decennio era abbastanza evidente: il tatuaggio fatto per rendersi unici, in una fase di formazione dell'identità, nel tempo diventava un peso per la propria identità che rischiava di essere schiacciata dalle reazioni che tale segno avrebbe potuto suscitare in chi lo vedeva.
Simona Zazzetta
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Cancellare il passato
Ma a questa tendenza se ne aggiunge un'altra uguale e contraria. Infatti, se togliersi un accessorio di moda come un bracciale, una borsa o una cintura è cosa molto semplice, per togliersi un tatuaggio bisogna ricorrere a uno specialista e i dermatologi documentano un crescente volume di richieste di rimozione o comunque di insoddisfazione della presenza di un segno indelebile sulla pelle. A fronte di una maggioranza di tatuati soddisfatti (83%), esiste una prevalenza del 20% circa di non più convinti della scelta e un 6% che sta già pensando a come rimuovere il tatuaggio. Nel 1996 è stata condotta una vera e propria indagine scientifica su un centinaio di soggetti, per studiare le motivazioni che spingevano a voler cancellare il segno, inizialmente voluto per gioco, senso di appartenenza a un gruppo, segno di unicità. E se in età giovanile avevano scelto di farlo con aspettative rispetto alla propria identità, la decisione di rimuoverlo è allo stesso modo motivata da una rottura con il passato e da un desiderio di miglioramento della propria identità. Qualcosa di simile è stato riscontrato anche in un altro studio su circa 70 persone, e in entrambi i gruppi erano passati almeno 14 anni tra la realizzazione del tatuaggio e la sua rimozione.
Tatuaggi scomodi
Per comprendere meglio l'evoluzione di questa tendenza, i dati del 1996 sono stati confrontati con quelli raccolti nel 2006 su un campione di circa 200 persone. Innanzitutto, i tatuaggi erano almeno due, mentre 10 anni prima in genere se ne contavano uno o al massimo due, erano stati realizzati tra i 16 e i 23 anni, quindi un po' dopo rispetto alla fascia di età 12-19 segnalata nel 1996, ma a differenza di prima la decisione di rimuoverlo maturava prima, intorno ai 30 anni, anziché 33, quindi dopo circa 10 anni. Inoltre, era anche aumentata la percentuale di donne che aveva scelto di farsi tatuare zone esposte del corpo dall'82% all'88%. Ancora una volta la scelta di farsi tatuare era spinta per più del 40% dei casi dal desiderio di sentirsi unici, ma nel tempo la sensazione di unicità ha perso lustro e significato spingendo le persone a cercare un modo per cancellare il tatuaggio. Anche un nuovo lavoro o una nuova carriera rappresentavano una motivazione alla rimozione, soprattutto se in ambienti in cui un tatuaggio poteva rappresentare un comportamento apertamente negativo, che avrebbe potuto togliere credibilità, competenza e compromettere i rapporti sociali nel luogo di lavoro. Il campione di donne con tatuaggio, inoltre, oltre a presentare una maggiore percentuale di richieste di rimozione nel 2006, manifestava disagio e imbarazzo per eventuali commenti che si sarebbero potuti sollevare, per problemi incontrati con l'abbigliamento e anche per un bisogno di unicità non più soddisfatto da un segno distintivo sul corpo. La contraddizione a distanza di un decennio era abbastanza evidente: il tatuaggio fatto per rendersi unici, in una fase di formazione dell'identità, nel tempo diventava un peso per la propria identità che rischiava di essere schiacciata dalle reazioni che tale segno avrebbe potuto suscitare in chi lo vedeva.
Simona Zazzetta
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