20 marzo 2009
Aggiornamenti e focus
Al test si arriva tardi
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Un tavolo di confronto aperto tra comunità scientifica nazionale, legislatori e associazioni di pazienti per capire meglio l'HIV e le sue conseguenze, dando risposte e soluzioni concrete alla salute dei pazienti e alla loro qualità di vita. Questi gli obiettivi dell'HIV Summit Italia 2009, che si svolto a Roma lo scorso 19 marzo. L'evento è stato organizzato da un comitato promotore costituito da Giampiero Carosi, Direttore Istituto di Malattie Infettive e Tropicali dell'Università degli Studi di Brescia e Presidente SIMaST, Rosaria Iardino, Presidente Associazione NPS ITALIA Onlus Network Persone Sieropositive e da Stefano Vella, Direttore Dipartimento del Farmaco dell'Istituto Superiore di Sanità.
"Le diagnosi di infezione sono in costante aumento - ha spiegato Carosi - sono in aumento per diverse cause: in primo luogo la disinformazione della popolazione generale, per effetto della quale si confondono la riduzione dei nuovi casi di AIDS con il pieno controllo della situazione. E questo, nella realtà, si traduce nel ridotto utilizzo del test HIV, sia per il timore di sottoporvisi (sono note le valenze sociali negative insite nella diagnosi di infezione), che per la scarsa attenzione del personale sanitario ai sintomi iniziali dell'infezione, spesso a causa di un approccio pregiudiziale. A ciò deve aggiungersi la difficoltà di definire oggi precise "popolazioni a rischio" di infezione, come invece accadeva quando l'infezione era soprattutto di pertinenza dei tossicodipendenti, e quindi di inquadrare gli obiettivi "mirati" di necessarie campagne informative. Conseguenza di ciò è la minore attenzione che la persona inconsapevole di essere infetta pone nel non trasmettere l'HIV. Anche l'incremento degli immigrati, spesso provenienti da Paesi pesantemente colpiti dall'epidemia, può giocare un ruolo rilevante, soprattutto per un più difficoltoso accesso al test e alle cure (irregolari e clandestini), per il portato culturale esistente in molte popolazioni straniere e per una particolare sensibilità allo stigma dell'infezione, spesso interpretata come causa inevitabile di morte"
"Il ritardo nell'esecuzione del test non è solo un fenomeno italiano - precisa Stefano Vella - ma è comune a diversi paesi europei. Quali siano le cause del ritardo diagnostico non è noto, ma esistono certamente dei fattori di tipo demografico, comportamentale e psico-sociale, alcuni dei quali sono stati identificati. Ad esempio, chi vive al sud o nelle isole ha una maggiore probabilità di arrivare tardi al test rispetto a chi vive al nord, mentre gli stranieri sono in assoluto coloro che hanno il rischio maggiore di arrivare tardi al test. Maggiore è la probabilità di test ritardato nei maschi e, soprattutto, nei non tossicodipendenti. Ciò ha sicuramente a che fare con una bassa, ed erronea, percezione del rischio. Il ritardo nell'accesso al test rappresenta un indicatore importante di quello che definiamo il fenomeno del sommerso. Anche se non sono disponibili stime accurate, si ritiene che le persone sieropositive in Italia siano circa 120.000. Pertanto, sarebbero diverse decine di migliaia le persone che non sanno di essere sieropositive. Queste, oltre a rappresentare una fonte inconsapevole di rischio per gli altri hanno una elevata probabilità di entrare tardi in terapia, spesso in uno stadio avanzato di immunosoppressione". Lo stesso giorno della conferenza stampa di presentazione del Summit, però, è arrivata la notizia dell'approvazione di una mozione che obbliga il Governo a discutere entro sei mesi per presentare una nuova serie di linee guida per la diagnosi precoce dell'Hiv e l'accesso più facile al test". Lo ha annunciato Rosaria Iardino, presidente del network "Persone sieropositive" che ha partecipato alla mattinata in rappresentanza delle associazioni dei pazienti.
Gianluca Casponi
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Il pieno controllo è ancora lontano
"Le diagnosi di infezione sono in costante aumento - ha spiegato Carosi - sono in aumento per diverse cause: in primo luogo la disinformazione della popolazione generale, per effetto della quale si confondono la riduzione dei nuovi casi di AIDS con il pieno controllo della situazione. E questo, nella realtà, si traduce nel ridotto utilizzo del test HIV, sia per il timore di sottoporvisi (sono note le valenze sociali negative insite nella diagnosi di infezione), che per la scarsa attenzione del personale sanitario ai sintomi iniziali dell'infezione, spesso a causa di un approccio pregiudiziale. A ciò deve aggiungersi la difficoltà di definire oggi precise "popolazioni a rischio" di infezione, come invece accadeva quando l'infezione era soprattutto di pertinenza dei tossicodipendenti, e quindi di inquadrare gli obiettivi "mirati" di necessarie campagne informative. Conseguenza di ciò è la minore attenzione che la persona inconsapevole di essere infetta pone nel non trasmettere l'HIV. Anche l'incremento degli immigrati, spesso provenienti da Paesi pesantemente colpiti dall'epidemia, può giocare un ruolo rilevante, soprattutto per un più difficoltoso accesso al test e alle cure (irregolari e clandestini), per il portato culturale esistente in molte popolazioni straniere e per una particolare sensibilità allo stigma dell'infezione, spesso interpretata come causa inevitabile di morte"
Il test spesso arriva tardi
"Il ritardo nell'esecuzione del test non è solo un fenomeno italiano - precisa Stefano Vella - ma è comune a diversi paesi europei. Quali siano le cause del ritardo diagnostico non è noto, ma esistono certamente dei fattori di tipo demografico, comportamentale e psico-sociale, alcuni dei quali sono stati identificati. Ad esempio, chi vive al sud o nelle isole ha una maggiore probabilità di arrivare tardi al test rispetto a chi vive al nord, mentre gli stranieri sono in assoluto coloro che hanno il rischio maggiore di arrivare tardi al test. Maggiore è la probabilità di test ritardato nei maschi e, soprattutto, nei non tossicodipendenti. Ciò ha sicuramente a che fare con una bassa, ed erronea, percezione del rischio. Il ritardo nell'accesso al test rappresenta un indicatore importante di quello che definiamo il fenomeno del sommerso. Anche se non sono disponibili stime accurate, si ritiene che le persone sieropositive in Italia siano circa 120.000. Pertanto, sarebbero diverse decine di migliaia le persone che non sanno di essere sieropositive. Queste, oltre a rappresentare una fonte inconsapevole di rischio per gli altri hanno una elevata probabilità di entrare tardi in terapia, spesso in uno stadio avanzato di immunosoppressione". Lo stesso giorno della conferenza stampa di presentazione del Summit, però, è arrivata la notizia dell'approvazione di una mozione che obbliga il Governo a discutere entro sei mesi per presentare una nuova serie di linee guida per la diagnosi precoce dell'Hiv e l'accesso più facile al test". Lo ha annunciato Rosaria Iardino, presidente del network "Persone sieropositive" che ha partecipato alla mattinata in rappresentanza delle associazioni dei pazienti.
Gianluca Casponi
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