Ciak si cura

12 marzo 2004
Aggiornamenti e focus

Ciak si cura



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Paure infantili? Si consiglia Il re leone. Divorzio? Kramer contro Kramer. Difficoltà a superare il passato? C'é Mystic River. È la nuova frontiera in campo terapeutico: i film non solo come divertimento ma come medicinali da autoprescriversi. Un modo per lenire dolori e curare stati d'animo in voga da un decennio negli Stati Uniti e che ora sta prendendo piede anche in Italia. Da una recente indagine statunitense, infatti, sono sempre più i terapisti che prescrivono film per aiutare i pazienti a esplorare la loro psiche nonché a raggiungere i propri obiettivi e superare ostacoli. Ma come funziona?

Si chiama catarsi


Succede a tutti: guardando un film si è condizionati dalla particolare situazione interiore che ci si trova a vivere, che spinge a percepire ciò che si vede in modo estremamente personale. Non è una scoperta della cinematerapia se si pensa alla definizione di catarsi che Aristotele dava nel 300 a.c.: la purificazione e il sollievo dell'animo esercitati sugli spettatori dalla rappresentazione dell'animo stesso. Un equivoco, inoltre, è subito da fugare. Non si tratta di psicoterapia e non assomiglia neppure lontanamente alla psicoanalisi. Non si tratta, infatti, di curare patologie, bensì di agevolare processi trasformativi, di migliorare la consapevolezza e di aiutare le persone a prendere decisioni importanti. Uno strumento in più per lo psicoterapeuta per aiutare il paziente a superare momenti difficili della vita prendendo consapevolezza delle proprie emozioni e dei propri sentimenti. Si tratta di osservare il film, aiutandosi con la "chiave di lettura" consegnata dagli autori prima della visione, eliminando gli aspetti più specifici della tecnica cinematografica e focalizzandosi solo sulle emozioni scaturite dalla storia. Un esperimento del genere è in corso presso l'Istituto di Neuroscienze di Firenze, dove esiste un programma "cinema therapy" in cui un gruppo di 5, 6 persone vede un film e successivamente ne discute con lo psicologo o lo psichiatra. Si parte dall'identificazione con i personaggi della storia per aumentare la consapevolezza di se stessi. Nella situazione cinematografica i fenomeni dell'identificazione sono molto intensi, poiché lo spettatore si abbandona con tranquillità ai processi psichici che il film innesca. E i pazienti hanno modo di esprimere le proprie emozioni e parlare di sé. Pare che negli Stati Uniti sia molto in voga, per esempio, la serie dell'Ispettore Callaghan, impersonato da Clint Eastwood, per aiutare persone che soffrono di ansia cronica. "I pazienti, infatti, sono molto più ricettivi nel parlare di argomenti in qualche modo esterni, cioè messi in scena dagli interpreti di un film, piuttosto che doversi confrontare con aspetti della propria vita" - sostiene Fuat Ulus, psichiatra americano, autore del volume "Movie Therapy, Moving Therapy". E di cinematerapia non ne esiste una soltanto.

Tanti film per tante terapie


"Non c'è una sola definizione di cinematerapia" secondo Birgit Wolz, psicoterapeuta californiana che ricorre all'aiuto delle pellicole da un decennio e ha dedicato, all'effetto benefico della cinematerapia, un sito ad hoc. Si va dalla popcorn cinematerapia che implica la visione di un film con lo scopo preciso di lasciarsi andare alle emozioni più profonde. Poi esiste quella evocativa, in cui i film servono per imparare qualcosa di più di se stessi. Si tratta di consigliare film che riguardino in modo specifico la propria situazione attuale. Il nuovo film di Tim Burton, Big Fish, per esempio, è utilissimo per rielaborare il rapporto padre-figlio. Quindi esiste la cinematerapia catartica in cui si tratta di ridere o piangere davanti a un film, se fatta seriamente può essere il primo stadio di una psicoterapia. Durante la visione del film la Wulz consiglia di stare seduti molto comodi e annotare tutto quello che piace e quello che non piace di ciò che si vede, con particolare riferimento per i personaggi che si desidererebbe emulare per qualche ragione. Ma esiste anche una terapia filmica in cui tratta, addirittura di diventare regista, fare, cioè, il proprio film o scrivere una sceneggiatura della propria vita, uno strumento particolarmente utile al terapeuta di fronte a casi di depressione o di altre patologie psichiatriche.
Una cosa in conclusione, però, non va dimenticata: la cinematerapia non può essere considerata una terapia a tutti gli effetti ma soltanto un utile supporto per il terapeuta. Quindi meglio non rinunciare alla propria seduta terapeutica per andarsi a vedere un film.

Marco Malagutti



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