03 ottobre 2008
Aggiornamenti e focus
Se l'ictus è femminile
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L'ictus o stroke è un evento cerebrale che, come il suo corrispettivo cardiaco infarto miocardico, colpisce anche il genere femminile e in misura crescente: una consapevolezza ancora non abbastanza acquisita e comunque meno che per l'infarto. Anche le donne dovrebbero quindi tenere presenti i fattori di rischio noti e modificabili, dal primo cioè l'ipertensione ad altri come la fibrillazione atriale, e conoscere i segni sospetti che richiedono di rivolgersi immediatamente ai soccorsi. Ci sono anzi delle specificità che aggravano ulteriormente il peso dell'evento per le donne rispetto agli uomini, ampiamente legate all'aspettativa di vita più lunga e al rischio di ictus più elevato nell'età avanzata. L'epidemiologia, gli aspetti diagnostici e terapeutici, quelli sociali e assistenziali dello stroke al femminile sono ricapitolati da una ricerca sul Lancet. E i dati che ne escono dovrebbero preoccupare e stimolare a fare di più, dalla prevenzione, alla medicina, all'assistenza, come si rileva anche nell'editoriale. Negli Stati Uniti per esempio si registra un eccesso di morti per ictus nelle donne pari quasi al 67%.
Considerando il quinquennio tra il 1999 e il 2004, si è visto che fino a circa 45 anni d'età il tasso di mortalità per stroke nel sesso femminile era simile che in quello maschile, nella fascia 45-74 il rischio era più basso mentre oltre quest'età era più alto. Il numero di morti in eccesso risulta dalla mortalità maggiore nelle donne anziane e dalla loro rappresentazione sproporzionata nella popolazione. L'incidenza segue un andamento simile alla mortalità, con un incremento circa del 50% dopo i 74 anni: i tassi età-specifici sono più alti negli uomini ma per l'aspettativa di vita più lunga nelle donne queste hanno complessivamente un numero di eventi maggiore. Non solo, le sopravvissute avrebbero anche minori probabilità di recupero e una peggiore qualità di vita. Sono aspetti aggravati dal fatto che le anziane più facilmente vivono da sole e sono socialmente più isolate, e che si legano anche al ritardo nel cercare soccorso dopo l'attacco e nel ricevere tempestivamente la diagnosi e la terapia. L'impatto è dunque notevole e destinato a peggiorare: basti ricordare che la proiezione per gli USA è di un raddoppio di ictus femminili per il 2050. Ci sono poi altre complicazioni relative al riconoscimento e al trattamento: che devono essere rapidi, c'è una finestra limitata a tre ore dall'evento per garantire che la terapia sia salvavita. Nonostante la maggior parte degli eventi che colpiscono le donne si presentino con sintomi tipici dello stroke, gli studi indicano che esse hanno una maggiore probabilità degli uomini di presentare sintomi atipici, come dolore o cambiamenti nei livelli di coscienza, o altri sintomi non specifici. Quanto alla terapia, quella trombolitica che va somministrata appunto nelle primissime ore (nell'ictus ischemico, quello maggioritario), sembra che le donne ne usufruiscano di meno, in parte per il ritardo di soccorso e diagnosi, ma anche per discordanze degli studi sulle risposte terapeutiche.
Anche sugli interventi di carattere preventivo ci sono differenze per sesso, per esempio alcuni studi depongono per un minore beneficio nelle donne dell'endoarterectomia carotidea in caso di stenosi asintomatica (per ostruzione), e gli antiaggreganti, soprattutto acido acetilsalicilico, sembrano più efficaci per prevenire il primo ictus nelle donne che negli uomini mentre non ci sarebbe differenza nella prevenzione dei successivi. Il fatto è che in questo campo gli studi fino agli anni recenti hanno considerato la popolazione maschile o il confronto tra i sessi solo come obiettivo secondario, o ancora soggetti sotto le fasce d'età in cui si verifica l'eccesso di stroke femminili. L'auspicio è quindi che gli studi futuri siano disegnati in modo da poter valutare realmente le differenze nelle risposte femminili e maschili ai trattamenti, nonché i fattori che influenzano la vulnerabilità all'ictus, in particolare riguardo ai fattori predisponenti: tutto questo occorre per impostare strategie su misura per i due sessi (vale anche per la disabilità e il recupero post-ictus). Per esempio le donne colpite da stroke avrebbero una più alta prevalenza di ipertensione, fibrillazione atriale, disabilità pre-ictale rispetto agli uomini e più bassa invece di coronaropatia o patologia vascolare periferica e di fumo o consumo di alcol; ci sono poi aspetti ormonali e possibili marker genetici o infiammatori. Al tempo stesso ci vorrebbero campagne informative per aumentare tra la popolazione femminile la conoscenza dei fattori di rischio noti e le capacità di riconoscimento dei sintomi, e per ridurre le cause di ritardo nell'accesso ai soccorsi, nella diagnosi e nel trattamento.
Elettra Vecchia
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Anziane colpite e diagnosticate tardi
Considerando il quinquennio tra il 1999 e il 2004, si è visto che fino a circa 45 anni d'età il tasso di mortalità per stroke nel sesso femminile era simile che in quello maschile, nella fascia 45-74 il rischio era più basso mentre oltre quest'età era più alto. Il numero di morti in eccesso risulta dalla mortalità maggiore nelle donne anziane e dalla loro rappresentazione sproporzionata nella popolazione. L'incidenza segue un andamento simile alla mortalità, con un incremento circa del 50% dopo i 74 anni: i tassi età-specifici sono più alti negli uomini ma per l'aspettativa di vita più lunga nelle donne queste hanno complessivamente un numero di eventi maggiore. Non solo, le sopravvissute avrebbero anche minori probabilità di recupero e una peggiore qualità di vita. Sono aspetti aggravati dal fatto che le anziane più facilmente vivono da sole e sono socialmente più isolate, e che si legano anche al ritardo nel cercare soccorso dopo l'attacco e nel ricevere tempestivamente la diagnosi e la terapia. L'impatto è dunque notevole e destinato a peggiorare: basti ricordare che la proiezione per gli USA è di un raddoppio di ictus femminili per il 2050. Ci sono poi altre complicazioni relative al riconoscimento e al trattamento: che devono essere rapidi, c'è una finestra limitata a tre ore dall'evento per garantire che la terapia sia salvavita. Nonostante la maggior parte degli eventi che colpiscono le donne si presentino con sintomi tipici dello stroke, gli studi indicano che esse hanno una maggiore probabilità degli uomini di presentare sintomi atipici, come dolore o cambiamenti nei livelli di coscienza, o altri sintomi non specifici. Quanto alla terapia, quella trombolitica che va somministrata appunto nelle primissime ore (nell'ictus ischemico, quello maggioritario), sembra che le donne ne usufruiscano di meno, in parte per il ritardo di soccorso e diagnosi, ma anche per discordanze degli studi sulle risposte terapeutiche.
Differenze di fattori predisponenti
Anche sugli interventi di carattere preventivo ci sono differenze per sesso, per esempio alcuni studi depongono per un minore beneficio nelle donne dell'endoarterectomia carotidea in caso di stenosi asintomatica (per ostruzione), e gli antiaggreganti, soprattutto acido acetilsalicilico, sembrano più efficaci per prevenire il primo ictus nelle donne che negli uomini mentre non ci sarebbe differenza nella prevenzione dei successivi. Il fatto è che in questo campo gli studi fino agli anni recenti hanno considerato la popolazione maschile o il confronto tra i sessi solo come obiettivo secondario, o ancora soggetti sotto le fasce d'età in cui si verifica l'eccesso di stroke femminili. L'auspicio è quindi che gli studi futuri siano disegnati in modo da poter valutare realmente le differenze nelle risposte femminili e maschili ai trattamenti, nonché i fattori che influenzano la vulnerabilità all'ictus, in particolare riguardo ai fattori predisponenti: tutto questo occorre per impostare strategie su misura per i due sessi (vale anche per la disabilità e il recupero post-ictus). Per esempio le donne colpite da stroke avrebbero una più alta prevalenza di ipertensione, fibrillazione atriale, disabilità pre-ictale rispetto agli uomini e più bassa invece di coronaropatia o patologia vascolare periferica e di fumo o consumo di alcol; ci sono poi aspetti ormonali e possibili marker genetici o infiammatori. Al tempo stesso ci vorrebbero campagne informative per aumentare tra la popolazione femminile la conoscenza dei fattori di rischio noti e le capacità di riconoscimento dei sintomi, e per ridurre le cause di ritardo nell'accesso ai soccorsi, nella diagnosi e nel trattamento.
Elettra Vecchia
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