Un'assistenza modellata

28 febbraio 2003
Aggiornamenti e focus

Un'assistenza modellata



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Il fatto di rappresentare una delle tre maggiori cause di morte e una delle principali cause di disabilità a lungo termine, rende l'ictus e la sua terapia una delle principali sfide cui la medicina contemporanea deve far fronte. Non bastasse l'elevata incidenza, infatti, anche gli esiti invalidanti dell'ictus rappresentano una drammatica realtà: non solo disturbi della funzione motoria o sensoriale, ma anche deficit delle funzioni neuropsicologiche, demenza e, ancora, riduzione della capacità produttiva ma anche ripercussioni sulle dinamiche familiari e relazionali. I passi avanti fatti in ambito terapeutico negli ultimi trent'anni sono comunque considerevoli e una svolta fondamentale è stata rappresentata sicuramente dall'avvento della tomografia assiale computerizzata (TAC), grazie alla quale è diventato possibile distinguere la lesione ischemica da quella emorragica e accantonare così l'uso indiscriminato delle terapie anticoagulanti e trombolitiche, efficaci nelle terapie cardiovascolari. Un'altra svolta, poi, è stata determinata dall'avvento delle unità speciali strutturate come le unità coronariche, le cosiddette stroke unit, dove il paziente viene assistito in modo intensivo e specifico, che stanno offrendo i primi risultati.

Di corsa alla stroke unit


Andare velocemente al Pronto Soccorso o in un Ospedale con una TAC è il primo passo. In questo modo si può capire subito se il problema neurologico è dovuto a una emorragia o ad una arteria che non porta più il sangue e iniziare la terapia adeguata. La terapia dell'ictus acuto è rivolta a ottenere i seguenti risultati: riduzione dello stato di edema cerebrale e limitazione del danno conseguente all'ischemia. L'edema è un aumento del volume della massa presente all'interno della scatola cranica conseguente al rigonfiamento delle cellule nervose (edema citotossico) e all'aumento dei liquidi tra le cellule nervose (edema vasogenico). In entrambi i casi si tratta di una lesione che determina uno stato di sofferenza cerebrale. I principali farmaci in grado di ridurre l'edema, gli antiedemigeni, sono glicerolo, mannitolo e cortisonici. L'ischemia è, invece, sostanzialmente, il risultato dello sbilanciamento tra le esigenze metaboliche del tessuto cerebrale e la capacità della circolazione di farvi fronte attraverso un adeguato flusso ematico. Le possibilità di intervento consistono così o nella riduzione delle esigenze metaboliche del tessuto (ipotermia, barbiturici ecc.) o nel tentativo di migliorare o ripristinare il flusso ematico, per esempio con il ricorso ad un innalzamento della pressione arteriosa.

Trombolisi pericolose


Un altra possibilità, in casi particolari quali gli ictus ischemici, è la trombolisi, riduzione del trombo che ha provocato l'ischemia, con farmaci tipo streptochinasi e urochinasi, anche se i risultati non hanno dato ancora gli esiti sperati. Una terapia, quella trombolitica, da effettuare con molta cautela in quanto una eventuale rivascolarizzazione di una parte di tessuto nervoso che ha subito una ischemia può trasformare l'ictus ischemico in emorragico. L'ultimo bersaglio di un intervento acuto è rappresentato dalla protezione del neurone da effettuarsi per esempio con calcio antagonisti come la nimodipina. Intervenire sull'ictus in fase acuta richiede una complessa organizzazione: trasporto precoce all'ospedale, servizio di guardia neurologica, ambiente adeguato per il controllo e l'assistenza dei pazienti. La "stroke unit" rappresenta in questo senso la struttura ideale e importanti studi di metanalisi hanno dimostrato la superiorità dell'assistenza in tali strutture, rispetto a quella di reparti non dedicati, con una riduzione del 18% della mortalità, del 29% del dato combinato morte/dipendenza e del 25% del dato combinato morte/necessità di istituzionalizzazione.

L'intervento più acuto? Prevenire

Le terapie acute dell'ictus hanno sì visto progressi significativi durante gli ultimi anni ma restano ancora di limitata applicazione. Diventa così prioritaria la prevenzione, anche di eventuali recidive. I principi sono simili a quelli dell'infarto cardiaco: eliminazione del fumo, controllo dell'ipertensione, diagnosi e controllo di un eventuale diabete, controllo dell'obesità e della lipidemia, diagnosi di aritmie cardiache. Una prevenzione che può essere supportata dal ricorso a farmaci antiaggreganti e anticoagulanti (aspirina ed eparina p.e.), il cui uso, per evitare emorragie spontanee, va limitato alla presenza di fattori di rischio cardiovascolari o alla presenza di patologia arteriosclerotica o cardiaca. Analogo il discorso per quanto riguarda le recidive, va detto, infatti, che il rischio che si presenti un secondo ictus risulta del 15% nell'arco di due anni successivi.

Riabilitare il corpo e la mente

Numerosi studi hanno valorizzato il ruolo della riabilitazione motoria già nelle fasi precoci del decorso post-ictus. Esiste una progressione degli esercizi riabilitativi che inizia con sedute di terapia al tappeto seguite da esercizi mirati a riacquistare la posizione retta con appoggio e successivamente senza appoggio. Seguono esercizi di deambulazione assistita mediante protesi sempre meno ingombranti. La fisioterapia è inoltre diretta a prevenire l'irrigidimento permanente delle articolazioni, che può risultare dall'irrigidimento muscolare (spasticità) che spesso si sviluppa dopo paralisi estese. Perciò si può anche fare ricorso a farmaci spasmolitici come baclofene, clonazepam e dantrolene. Quanto ai deficit cognitivi i più frequenti sono rappresentati dai disturbi di linguaggio e dai disturbi di emi-inattenzione o neglect, per i quali risulta difficile prestare attenzione a ciò che capita nello spazio alla sinistra del paziente. La riabilitazione procede per sedute con un terapista specializzato che durano un'ora e hanno cadenza bi-tri settimanale. Risultati incoraggianti stanno venendo anche dall'applicazione dell'informatica alla riabilitazione cognitiva. Un ulteriore aspetto importante è che dopo un ictus cerebrale si può instaurare una maggiore labilità psichica con alterazioni del comportamento o tendenze depressive che devono essere trattate a seconda della situazione individuale, ricorrendo alla psicoterapia e alla terapia farmacologica.

Marco Malagutti



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