05 ottobre 2005
Aggiornamenti e focus
Tempi stretti per l'ictus
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Da tempo si sa che in caso di infarto è fondamentale arrivare al più presto in ospedale, meglio ancora dove esistano strutture cardiologiche adeguate, tanto che si parla di "golden hour" per indicare i primi 60 preziosi minuti entro i quali cure adeguate possono non solo garantire la sopravvivenza ma anche limitare i danni. Ebbene, la stessa regola, mutatis mutandis, vale anche per l'ictus che, per capirsi, altro non è che la versione cerebrale dell'infarto. Questo uno dei temi che sarà al centro del prossimo congresso, il trentaseiesimo, della Società Italiana di Neurologia, che si svolgerà a Cernobbio dall'8 al 12 ottobre. D'altra parte, come spiega il professor Corrado Messina, presidente della SIN, "l'ictus è una malattia estremamente frequente e grave. In Italia è stato calcolato che l'incidenza è pari a 230 casi ogni 100000 abitanti ogni anno". Inoltre, siccome il rischio aumenta con l'età, è evidente che i numeri sono destinati a diventare più grandi.
E' ovvio che si deve puntare alla prevenzione, riducendo i fattori di rischio modificabili come l'ipercolesterolemia, l'ipertensione, il fumo e altri "ma anche l'intervento nella fase acuta deve essere reso più efficace per ridurre sia la mortalità soia le conseguenze invalidanti". Rendere più efficace l'assistenza significa diffondere l'esperienza delle stroke unit, cioè delle strutture specializzate, nelle quali convivono le diverse competenze necessarie ad affrontare adeguatamente le prime fasi dell'ictus. Quindi strutture nelle quali cooperino il neurologo, il neuroradiologo, il neurochirurgo e l'esperto di riabilitazione neurologica, perché il recupero del paziente cominci da subito. Infatti, ha ricordato Messina, oggi ci sono trattamenti medici adeguati come la trombolisi, quando l'ictus è di tipo ischemico, cioè con ostruzione di un'arteria, o il fattore VII ricombinante, quando l'ictus è emorragico. "Ma questi trattamenti" spiega il presidente della SIN "richiedono per esempio che il paziente sia già stato sottoposto a una TAC cerebrale; inoltre l'efficacia è massima se la terapia è somministrata entro due ore dall'esordio" puntualizza Messina. Questo significa che non soltanto devono esistere le stroke unit, ma anche gli operatori dell'emergenza, il 118, devono essere formati a riconoscere l'ictus e a scegliere subito "la strada giusta". Attualmente in Italia le stroke unit già operative sono il 25% di quelle che effettivamente sarebbero necessarie. E ovvio che secondo la SIN si deve puntare ad aumentare le strutture "badando però anche alla loro distribuzione sul territorio. E' inutile che ce ne siano 100 in Lombardia e nessuna in Basilicata, per esempio. Quando un paziente è colpito dall'ictus non può prenotare il ricovero ed essere trattato dopo tre mesi...". Oltretutto, fa notare Messina, non è che disporre di una rete di questo genere aumenterebbe i costi: questi pazienti vengono comunque ammessi in ospedale, comunque ricevono terapeie, quindi le risorse del servizio sanitario vengono comunque sfruttate, solo che ciò avviene in modo poco efficiente, con ricoveri in medicina interna invece che in neurologia, con dispersioni delle competenze e altro. Non si tratta di spendere di più, in sostanza, ma di spendere meglio.
Nella presentazione del congresso sono state riportate anche valutazioni statistiche secondo le quali se tutti colpiti da ictus venissero curati in stroke unit ogni 100 pazienti trattati se ne salverebbero da tre a sei in più, e lo stesso vale per la riduzione dei casi di inabilità grave. E' chiaro che il congresso affronterà anche temi più direttamente scientifici, a proposito di epilessia, di disturbi del sonno e di cefalea, per esempio. Ma è significativo che una delle più antiche società scientifiche italiane ponga l'accento su un aspetto assistenziale e organizzativo. La medicina, non è solo chimica, biologia, genetica: per curare oggi più che mai servono capacità organizzative e capacità di utilizzare razionalmente le risorse, ahinoi, sempre più risicate.
Maurizio Imperiali
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Assistere bene e in fretta
E' ovvio che si deve puntare alla prevenzione, riducendo i fattori di rischio modificabili come l'ipercolesterolemia, l'ipertensione, il fumo e altri "ma anche l'intervento nella fase acuta deve essere reso più efficace per ridurre sia la mortalità soia le conseguenze invalidanti". Rendere più efficace l'assistenza significa diffondere l'esperienza delle stroke unit, cioè delle strutture specializzate, nelle quali convivono le diverse competenze necessarie ad affrontare adeguatamente le prime fasi dell'ictus. Quindi strutture nelle quali cooperino il neurologo, il neuroradiologo, il neurochirurgo e l'esperto di riabilitazione neurologica, perché il recupero del paziente cominci da subito. Infatti, ha ricordato Messina, oggi ci sono trattamenti medici adeguati come la trombolisi, quando l'ictus è di tipo ischemico, cioè con ostruzione di un'arteria, o il fattore VII ricombinante, quando l'ictus è emorragico. "Ma questi trattamenti" spiega il presidente della SIN "richiedono per esempio che il paziente sia già stato sottoposto a una TAC cerebrale; inoltre l'efficacia è massima se la terapia è somministrata entro due ore dall'esordio" puntualizza Messina. Questo significa che non soltanto devono esistere le stroke unit, ma anche gli operatori dell'emergenza, il 118, devono essere formati a riconoscere l'ictus e a scegliere subito "la strada giusta". Attualmente in Italia le stroke unit già operative sono il 25% di quelle che effettivamente sarebbero necessarie. E ovvio che secondo la SIN si deve puntare ad aumentare le strutture "badando però anche alla loro distribuzione sul territorio. E' inutile che ce ne siano 100 in Lombardia e nessuna in Basilicata, per esempio. Quando un paziente è colpito dall'ictus non può prenotare il ricovero ed essere trattato dopo tre mesi...". Oltretutto, fa notare Messina, non è che disporre di una rete di questo genere aumenterebbe i costi: questi pazienti vengono comunque ammessi in ospedale, comunque ricevono terapeie, quindi le risorse del servizio sanitario vengono comunque sfruttate, solo che ciò avviene in modo poco efficiente, con ricoveri in medicina interna invece che in neurologia, con dispersioni delle competenze e altro. Non si tratta di spendere di più, in sostanza, ma di spendere meglio.
Spendere meglio
Nella presentazione del congresso sono state riportate anche valutazioni statistiche secondo le quali se tutti colpiti da ictus venissero curati in stroke unit ogni 100 pazienti trattati se ne salverebbero da tre a sei in più, e lo stesso vale per la riduzione dei casi di inabilità grave. E' chiaro che il congresso affronterà anche temi più direttamente scientifici, a proposito di epilessia, di disturbi del sonno e di cefalea, per esempio. Ma è significativo che una delle più antiche società scientifiche italiane ponga l'accento su un aspetto assistenziale e organizzativo. La medicina, non è solo chimica, biologia, genetica: per curare oggi più che mai servono capacità organizzative e capacità di utilizzare razionalmente le risorse, ahinoi, sempre più risicate.
Maurizio Imperiali
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