05 maggio 2006
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Quando la prevenzione è l'arma più affilata che si possiede, la diagnosi precoce diventa l'elemento fondamentale della strategia per combattere i tumori, in particolare il melanoma. Il grado di malignità della patologia dipende dallo spessore di cute invaso dal melanoma: più è profondo minori sono le probabilità di un esisto positivo. Quando la lesione supera la soglia dell'epidermide (cioè non è più tumore "in situ"), ed entra nel sistema linfatico e genera metastasi, la situazione diventa critica e potenzialmente fatale. Come tutti i tumori, anche il melanoma evolve e si estende nel tempo; va da sé che prima lo si identifica e meno spessore ci sarà da gestire in termini di terapia e di prognosi. Su questo aspetto insistono molto i dermatologi e lo ricordano ogni anno con un appuntamento, lo Skin Cancer Day, a cui anche quest'anno hanno aderito 100 centri dermatologici per effettuare visite gratuite. Tra gli esperti intervenuti per presentare l'iniziativa, Stefania Seidenari, professore ordinario di dermatologia dell'Università di Modena, ha illustrato come si realizza oggi una diagnosi precoce.
La regola essenziale resta il controllo periodico di nevi sospetti o di macchie nate ex novo (le due possibilità di origine del melanoma) ed è il dermatologo che può valutarli. La sua attenzione si focalizza su alcuni parametri che fanno riferimento al paradigma ABCD. Si considera l'asimmetria (A) della forma della lesione e della distribuzione della pigmentazione, poi il bordo (B), di cui si verifica la frastagliatura e la interruzione netta verso la cute circostante. Poi si analizzano i colori (C) lesione, rossa, nera, marrone o blu e infine la presenza di strutture differenti (D) come reticoli, globuli, pigmentazione diffusa, strutture più periferiche. Grazie a questi criteri, lo specialista legge ciò che è scritto sulla pelle e traccia un pattern in base al quale emette la diagnosi. Ma al suo occhio clinico vengono in aiuto tecnologie che permettono di vedere ciò che da solo l'occhio non coglie.
Le funzioni degli strumenti sono l'ingrandimento e la possibilità di vedere con modalità diverse dalla normale visione. L'ingrandimento minino è di 10 volte usando il dermatoscopio, il massimo è 1000 volte con il microscopio confocale; in questo modo i particolari più piccoli diventano evidenti. La dermoscopi, diventando digitale, permette inoltre di acquisire le immagini e di confrontarle nelle visite successive così da poter seguire l'evoluzione nel tempo (e quindi si aggiunge la E all'acronimo del paradigma) della lesione sospetta. Piccole variazioni rispetto al pattern precedente possono indicare una lesione evolutiva anche quando non è ancora maligna. Se alla dermoscopia si associa l'uso dell'epiluminescenza e di luce polarizzata, si possono visualizzare strutture della lesione che si trovano sotto la superficie cutanea non visibili a occhio nudo.Con il microscopio laser confocale ci si avvicina sempre di più a una visione di tipo istologico, cioè tissutale, che di norma si ottiene asportando chirurgicamente un campione di tessuto dalla lesione. Il nuovo metodo invece ingrandisce di 1000 volte, penetrando con la luce laser di qualche centinaio di micron nella cute e acquisendo immagini della struttura cellulare. In questo modo si può distinguere anche la natura della lesione e capire quanto sia atipica la sua struttura istologica.
Cura senza bisturi
Se la lesione ha già assunto caratteristiche da melanoma, la chirurgia è la scelta standard e la precocità della diagnosi ne garantisce una minore invasività. Tuttavia nel trattamento di forme precancerose o di carcinomi cutanei (squamocellulari e basocellulari), se presi in fase iniziale trovano buone opportunità di risoluzione con terapie alternative al bisturi. Le cheratosi attiniche per esempio, forme precancerose provocate dall'esposizione al sole, si possono trattare con diclofenac sodico, un antinfiammatorio con attività antineoplastica. Per i carcinomi basocellulari si adotta l'imiquimob, che esalta la risposta immunitaria. In entrambi i casi ci sono effetti collaterali di tipo irritativo ma la percentuale di successo è del 75%. Recentemente è stata introdotta la terapia fotodinamica per questo tipo di lesioni. Vengono leggermente raschiate (curettage) in modo da facilitare la penetrazione di una sostanza fotosensibilizzante che raggiunge le cellule tumorali. Quando inizia l'irradiazione la sostanza si attiva e permette di ottenere un'azione antineoplastica selettiva sulle cellule cutanee tumorali.
Simona Zazzetta
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L'ABC per iniziare
La regola essenziale resta il controllo periodico di nevi sospetti o di macchie nate ex novo (le due possibilità di origine del melanoma) ed è il dermatologo che può valutarli. La sua attenzione si focalizza su alcuni parametri che fanno riferimento al paradigma ABCD. Si considera l'asimmetria (A) della forma della lesione e della distribuzione della pigmentazione, poi il bordo (B), di cui si verifica la frastagliatura e la interruzione netta verso la cute circostante. Poi si analizzano i colori (C) lesione, rossa, nera, marrone o blu e infine la presenza di strutture differenti (D) come reticoli, globuli, pigmentazione diffusa, strutture più periferiche. Grazie a questi criteri, lo specialista legge ciò che è scritto sulla pelle e traccia un pattern in base al quale emette la diagnosi. Ma al suo occhio clinico vengono in aiuto tecnologie che permettono di vedere ciò che da solo l'occhio non coglie.
Dentro la lesione
Le funzioni degli strumenti sono l'ingrandimento e la possibilità di vedere con modalità diverse dalla normale visione. L'ingrandimento minino è di 10 volte usando il dermatoscopio, il massimo è 1000 volte con il microscopio confocale; in questo modo i particolari più piccoli diventano evidenti. La dermoscopi, diventando digitale, permette inoltre di acquisire le immagini e di confrontarle nelle visite successive così da poter seguire l'evoluzione nel tempo (e quindi si aggiunge la E all'acronimo del paradigma) della lesione sospetta. Piccole variazioni rispetto al pattern precedente possono indicare una lesione evolutiva anche quando non è ancora maligna. Se alla dermoscopia si associa l'uso dell'epiluminescenza e di luce polarizzata, si possono visualizzare strutture della lesione che si trovano sotto la superficie cutanea non visibili a occhio nudo.Con il microscopio laser confocale ci si avvicina sempre di più a una visione di tipo istologico, cioè tissutale, che di norma si ottiene asportando chirurgicamente un campione di tessuto dalla lesione. Il nuovo metodo invece ingrandisce di 1000 volte, penetrando con la luce laser di qualche centinaio di micron nella cute e acquisendo immagini della struttura cellulare. In questo modo si può distinguere anche la natura della lesione e capire quanto sia atipica la sua struttura istologica.
Cura senza bisturi
Se la lesione ha già assunto caratteristiche da melanoma, la chirurgia è la scelta standard e la precocità della diagnosi ne garantisce una minore invasività. Tuttavia nel trattamento di forme precancerose o di carcinomi cutanei (squamocellulari e basocellulari), se presi in fase iniziale trovano buone opportunità di risoluzione con terapie alternative al bisturi. Le cheratosi attiniche per esempio, forme precancerose provocate dall'esposizione al sole, si possono trattare con diclofenac sodico, un antinfiammatorio con attività antineoplastica. Per i carcinomi basocellulari si adotta l'imiquimob, che esalta la risposta immunitaria. In entrambi i casi ci sono effetti collaterali di tipo irritativo ma la percentuale di successo è del 75%. Recentemente è stata introdotta la terapia fotodinamica per questo tipo di lesioni. Vengono leggermente raschiate (curettage) in modo da facilitare la penetrazione di una sostanza fotosensibilizzante che raggiunge le cellule tumorali. Quando inizia l'irradiazione la sostanza si attiva e permette di ottenere un'azione antineoplastica selettiva sulle cellule cutanee tumorali.
Simona Zazzetta
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