13 settembre 2006
Aggiornamenti e focus, Speciale Depressione
Familiari in prima linea
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Depressione, ansia, relazioni sociali scarse, sentimenti di paura, preoccupazione e colpa, interazioni frustranti con i familiari. Non è il quadro clinico di un paziente di psichiatria ma ciò che accade nei membri di famiglie di pazienti con malattie mentali. Questo accade per vari motivi, innanzitutto perché sono proprio i familiari i dispensatori principali di cure, in secondo luogo perché ciò viene fatto con pochissime o scarse informazioni sulla malattia psichiatrica.
Sanno poco sulle cause che l'hanno provocata e sul trattamento, che magari loro stessi devono dispensare, e non hanno avuto nessun tipo di preparazione sulla gestione dei pazienti e sulle strategie per risolvere i vari problemi che insorgono durante il decorso della malattia. Inoltre, la mancanza di conoscenze pratiche e di un sostegno emotivo, spiegano abbondantemente il malessere emotivo che vivono queste famiglie e le difficoltà dei rapporti con il parente malato.In molti studi è stato dimostrato che quando i familiari non sono in grado di riconoscere in certi comportamenti del malato come l'ostilità, l'apatia e la ritrosia ai rapporti sociali, i sintomi della malattia mentali sono propensi a considerarli aspetti negativi del carattere. Il che contribuisce ad aumentare lo stress psicologico e a esasperare i rapporti con il familiare.Ed è altrettanto provato che un intervento sul fronte psicologico che vada anche a colmare le lacune cognitive dei familiari ha un impatto positivo sulla loro capacità di affrontare la malattia e sulla malattia stessa riducendo la tendenza a ricadute del paziente. Si tratta generalmente di sedute psicoeducative condotte da operatori sanitari dell'ambito della salute mentale, che vanno a completare il quadro terapeutico del paziente. E proprio per il profilo elevato sono costose e lunghe e quindi di difficile accesso e diffusione. L'alternativa sono delle sessioni, con lo stesso obiettivo, ma tenute da membri di famiglie con parenti malati. In America ce ne sono diversi e negli ultimi anni hanno raccolto molti consensi e popolarità, ma poche ricerche sistematiche che ne riconoscessero scientificamente il valore.
Una di queste ha cercato di capire cosa succedeva in circa 450 famiglie che aderivano a uno di questi programmi, chiamato Journey of Hope. In realtà, metà lo ha fatto davvero metà è stata messa in una sorta di lista d'attesa con la promessa di poterlo frequentare al termine dello studio. Il corso durava otto settimane, gli istruttori erano familiari di pazienti adulti con malattie mentali che avevano precedentemente ricevuto una formazione completa ed estesa. I risultati confermavano quanto ci si attendeva, in quanto coloro che avevano seguito il corso avevano meno sintomi depressivi, una maggiore vitalità e un miglioramento del loro benessere emotivo e della relazione con il parente malato. Le differenze con il gruppo controllo erano significative anche a parità di condizioni sociali e demografiche e si mantenevano nel tempo.Il successo di questo tipo di intervento è intuibile e dipende da vari fattori. In primo luogo, condividere con persone che vivono lo stesso tipo di esperienza di gestione di un malato mentale e della sua presa in carico, riduce il senso di colpa, di isolamento e di vergogna. Persone che hanno vissuto le difficoltà in prima persona, riconoscono lo sforzo in coloro che ora lo stanno facendo e, sempre per questo motivo sono modelli credibili di un ruolo. Gli istruttori vengono percepiti come chi ha superato con successo la sfida rappresentata dalla malattia del parente e questo contribuisce ad accrescere il benessere dei partecipanti al corso e la fiducia di poter fare ugualmente. Un altro elemento che rende valido il programma sono i gruppi di discussione durante i quali i partecipanti sono incoraggiati a esprimere i sentimenti negativi che avvertono e a identificare i possibili metodi di auto-cura. Anche in questo caso la condivisione di questi stati d'animo con persone che affrontano lo stesso tipo di difficoltà abbassa la sensazione di impotenza e di sconforto a favore di una maggior fiducia nelle proprie possibilità e capacità.
Simona Zazzetta
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Sostegno emotivo
Sanno poco sulle cause che l'hanno provocata e sul trattamento, che magari loro stessi devono dispensare, e non hanno avuto nessun tipo di preparazione sulla gestione dei pazienti e sulle strategie per risolvere i vari problemi che insorgono durante il decorso della malattia. Inoltre, la mancanza di conoscenze pratiche e di un sostegno emotivo, spiegano abbondantemente il malessere emotivo che vivono queste famiglie e le difficoltà dei rapporti con il parente malato.In molti studi è stato dimostrato che quando i familiari non sono in grado di riconoscere in certi comportamenti del malato come l'ostilità, l'apatia e la ritrosia ai rapporti sociali, i sintomi della malattia mentali sono propensi a considerarli aspetti negativi del carattere. Il che contribuisce ad aumentare lo stress psicologico e a esasperare i rapporti con il familiare.Ed è altrettanto provato che un intervento sul fronte psicologico che vada anche a colmare le lacune cognitive dei familiari ha un impatto positivo sulla loro capacità di affrontare la malattia e sulla malattia stessa riducendo la tendenza a ricadute del paziente. Si tratta generalmente di sedute psicoeducative condotte da operatori sanitari dell'ambito della salute mentale, che vanno a completare il quadro terapeutico del paziente. E proprio per il profilo elevato sono costose e lunghe e quindi di difficile accesso e diffusione. L'alternativa sono delle sessioni, con lo stesso obiettivo, ma tenute da membri di famiglie con parenti malati. In America ce ne sono diversi e negli ultimi anni hanno raccolto molti consensi e popolarità, ma poche ricerche sistematiche che ne riconoscessero scientificamente il valore.
La condivisione alleggerisce
Una di queste ha cercato di capire cosa succedeva in circa 450 famiglie che aderivano a uno di questi programmi, chiamato Journey of Hope. In realtà, metà lo ha fatto davvero metà è stata messa in una sorta di lista d'attesa con la promessa di poterlo frequentare al termine dello studio. Il corso durava otto settimane, gli istruttori erano familiari di pazienti adulti con malattie mentali che avevano precedentemente ricevuto una formazione completa ed estesa. I risultati confermavano quanto ci si attendeva, in quanto coloro che avevano seguito il corso avevano meno sintomi depressivi, una maggiore vitalità e un miglioramento del loro benessere emotivo e della relazione con il parente malato. Le differenze con il gruppo controllo erano significative anche a parità di condizioni sociali e demografiche e si mantenevano nel tempo.Il successo di questo tipo di intervento è intuibile e dipende da vari fattori. In primo luogo, condividere con persone che vivono lo stesso tipo di esperienza di gestione di un malato mentale e della sua presa in carico, riduce il senso di colpa, di isolamento e di vergogna. Persone che hanno vissuto le difficoltà in prima persona, riconoscono lo sforzo in coloro che ora lo stanno facendo e, sempre per questo motivo sono modelli credibili di un ruolo. Gli istruttori vengono percepiti come chi ha superato con successo la sfida rappresentata dalla malattia del parente e questo contribuisce ad accrescere il benessere dei partecipanti al corso e la fiducia di poter fare ugualmente. Un altro elemento che rende valido il programma sono i gruppi di discussione durante i quali i partecipanti sono incoraggiati a esprimere i sentimenti negativi che avvertono e a identificare i possibili metodi di auto-cura. Anche in questo caso la condivisione di questi stati d'animo con persone che affrontano lo stesso tipo di difficoltà abbassa la sensazione di impotenza e di sconforto a favore di una maggior fiducia nelle proprie possibilità e capacità.
Simona Zazzetta
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