Vecchi da morire?

15 dicembre 2006
Aggiornamenti e focus

Vecchi da morire?



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Sembra che i disturbi dell'umore riguardino soltanto giovani donne o adolescenti incompresi, e su quest'ultimo aspetto pesa come un macigno la ricerca di nuovi mercati per farmaci a corto di fiato. In realtà i disturbi dell'umore, e soprattutto le loro peggiori conseguenze, sono un fatto che riguarda molto da vicino la terza età. Lo ricorda il convegno, in svolgimento a Brescia, intitolato "La depressione nell'anziano. Il confine labile tra disagio e malattia" , organizzato dal Gruppo di ricerca geriatrica, presieduto da Marco Trabucchi, già presidente della Società Italiana di geriatria e gerontologia.

Un dato che cresce inevitabilmente


Il convegno parte da una constatazione piuttosto semplice. Secondo i dati più recenti dell'Istituto centrale di statistica italiano (ISTAT), nel 2002 sono morte 472.200 persone di età uguale o superiore ai 65 anni, che rappresentano come è logico l'84,26% del totale dei decessi totali; di queste morti 1.397, pari allo 0,3% del totale, vanno attribuite a suicidio o a gesti di autolesionismo. Potrebbe non essere un dato sconvolgente, ma lo diventa se si tiene presente che rappresenta il 34% del totale delle morti per suicidio o autolesionismo. Non a caso. Dunque, negli anziani il numero di suicidi è più alto rispetto a quello di qualunque altra fascia d'età. Nel maggio 2001 è stato pubblicato dall'Office of General Surgeon degli Stati Uniti il documento National Strategy for Suicide Prevention che dichiarava che il suicidio era un rilevante problema di salute pubblica che richiedeva specifici programmi di intervento. Nello stesso documento si affermava che tra gli obiettivi del programma la riduzione del suicidio tra gli anziani era una delle priorità. Gli anziani, infatti, non solo presentano percentuali superiori di suicidio rispetto ai più giovani, ma rappresentano anche il segmento di popolazione che cresce più rapidamente e, in generale, queste caratteristiche sono le stesse a livello mondiale. Poiché il numero di persone che entreranno nella fascia d'età a maggior rischio sta aumentando, gli studiosi prevedono che in termini assoluti il numero di anziani che tenterà il suicidio sia destinato a crescere.

Un mosaico di fattori


Naturalmente la depressione non è la sola determinante del suicidio, nell'anziano come nelle fasce d'età più giovani. Nella terza età, il sesso maschile, la razza bianca e la mancanza del coniuge sono tutti elementi associati ad un aumento del rischio di suicidio; a questi si aggiungono gli eventi stressanti, in particolare il lutto o i conflitti familiari, così come la malattia fisica; però così come la loro influenza può essere in parte mitigata dal sostegno sociale, viene esacerbata dai disturbi depressivi. La depressione, anche in assenza di malattia, è una potente determinante del rischio di suicidio tra gli anziani.
"Un aspetto significativo del dibattito contemporaneo è l'attenzione verso un approccio integrato ai problemi della persona affetta da depressione" spiega il professor Trabucchi. "Abbiamo sempre sostenuto che queste vanno assistite avendo attenzione a tutti gli aspetti della loro vita sia dal punto di vista delle cause della malattia stessa sia per le possibilità di organizzare una cura realmente efficace e duratura. Ma solo recentemente questo indirizzo culturale di fondo si è concretizzato in atti dei quali si è dimostrata la reale superiorità rispetto a quelli tradizionali". Non è irrilevante che questo intrecciarsi si sia reso più chiaro proprio nel momento di presentazione sul mercato di nuovi farmaci; lo sviluppo dell'area è fatto di molti componenti, tra le quali la biologia ha certamente rilievo, anche se non è l'unico.
Questi studi si sono sviluppati in un tempo nel quale la medicina insiste nel delineare un ruolo del medico che recuperi le "vecchie" funzioni di rapporto con il paziente, sia sul piano del dialogo sia su quello del contatto fisico attraverso il quale si esplica la visita medica. La delega alla tecnologia ha infatti portato ad una crisi della tecnologia stessa, perché ne ha limitato le potenzialità di efficacia. Ciò vale anche per i farmaci: potenziano la loro azione se prescritti nell'ambito di interventi coordinati che vedono una forte attenzione da parte dei medici e degli altri operatori e l'esplicazione di atti di assistenza psicologica e sociale. Trattare la depressione è più che prescrivere l'antidepressivo più adatto. Il calore e il supporto offerto dal rapporto con il proprio medico è di per se una forma di psicoterapia, criticamente importante per il risultato di tutti i trattamenti.

Gianluca Casponi



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