10 settembre 2004
Aggiornamenti e focus
Crisi tra i banchi
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Ricominciare la scuola significa anche non ricominciare, ma cominciare ex novo. E' quello che capita agli studenti che passano dalle elementari alle medie e dalle medie alle superiori. La transizione non è priva di incognite e, molto spesso, comporta cambiamenti che i genitori devono essere pronti ad affrontare.
Secondo quanto pubblicato dall'American Psychological Association è piuttosto frequente che nel passaggio da un grado all'altro di istruzione si verifichi un calo del rendimento e che, sorprendentemente, siano proprio i bambini che avevano il profitto migliore a peggiorare le prestazioni. Il fenomeno in genere è dovuto a diversi fattori. Il primo riguarda la scuola stessa. Intanto aumenta il numero degli insegnanti e a volte anche quello dei compagni.
Ma è soprattutto l'orientamento del lavoro che cambia: nella scuola elementare si bada a sviluppare soprattutto l'aspetto cognitivo, si impara a capire, si acquisiscono nozioni e ci si impadronisce di tecniche di immediata applicazione (far di conto per esempio). Nella scuola media, invece, l'accento si sposta sulle nozioni e la capacità di risolvere problemi concreti passa in secondo piano; infine, diviene più forte la pressione sulla valutazione, sui risultati e si crea un clima più competitivo.
D'altra parte, anche per il piccolo studente è un momento di transizione. Innanzitutto comincia la fase della pubertà e aumentano sia la coscienza di sé sia il senso critico. Anche le capacità cognitive aumentano, proprio quando nella scuola trovano, come si è detto, una minore espressione. Tutto questo porta a un minore interesse per la scuola, che diminuisce anche perché non è più l'unico ambiente esterno alla famiglia con cui il giovane si confronta.
Non tutti i bambini ovviamente reagiscono allo stesso modo, e sono state individuate, per così dire, due grandi categorie. La prima è quella di chi ritiene che la sua intelligenza e abilità siano date una volta per tutte, cioè che sia impossibile migliorare o peggiorare; la seconda comprende chi invece ritiene che l'intelligenza e l'abilità si accrescano con l'esercizio e l'applicazione. In parole povere, i primi dicono: non posso farcela (o, al contrario, figurarsi se non ce la faccio), i secondi dicono: se insisto ci arrivo. E' chiaro che con la prima prospettiva il bambino si impegnerà soltanto in compiti che ha già provato di saper affrontare, mentre con la seconda sarà più aperto a nuove situazioni. Se poi il bambino che si ritiene bravo o poco abile "una volta per tutte" andrà incontro a insuccessi si produrrà un'ulteriore demotivazione e, in pratica, un circolo vizioso che si autoalimenta. Inevitabilmente, se alle elementari era effettivamente bravo, l'effetto dell'insuccesso sarà ancora più forte.
Al contrario, chi ritiene che capacità e intelligenza si costruiscano giorno per giorno sarà pronto ad accettare compiti che hanno il carattere della sfida. E' evidente che con queste premesse è più difficile che il rendimento cali.
Che cosa deve fare il genitore?
In questi casi, più che gli interventi coercitivi conta la rassicurazione, ma sui principi generali. Per esempio, insistere sul fatto che l'errore e il fallimento fanno parte del processo di apprendimento e che si può imparare soltanto così. Di conseguenza, non è il caso di richiudersi in ciò che si sa già, ma è bene accettare compiti sempre nuovi. Infine, fare presente che il livello delle prestazioni può essere aumentato attraverso l'applicazione e l'esercizio. Senza però cadere nell'eccesso di quelle che David Lazarus ha chiamato le idee tossiche, cioè in grado di danneggiare per sempre una persona se diventano convinzioni irremovibili. In questo caso l'idea tossica è che divertirsi, rilassarsi eccetera non servano a nulla. Al contrario, solo con la giusta quota di svago è possibile rendere effettivamente al massimo.
Maurizio Imperiali
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...e inoltre su Dica33:
Un calo fisiologico
Secondo quanto pubblicato dall'American Psychological Association è piuttosto frequente che nel passaggio da un grado all'altro di istruzione si verifichi un calo del rendimento e che, sorprendentemente, siano proprio i bambini che avevano il profitto migliore a peggiorare le prestazioni. Il fenomeno in genere è dovuto a diversi fattori. Il primo riguarda la scuola stessa. Intanto aumenta il numero degli insegnanti e a volte anche quello dei compagni.
Ma è soprattutto l'orientamento del lavoro che cambia: nella scuola elementare si bada a sviluppare soprattutto l'aspetto cognitivo, si impara a capire, si acquisiscono nozioni e ci si impadronisce di tecniche di immediata applicazione (far di conto per esempio). Nella scuola media, invece, l'accento si sposta sulle nozioni e la capacità di risolvere problemi concreti passa in secondo piano; infine, diviene più forte la pressione sulla valutazione, sui risultati e si crea un clima più competitivo.
D'altra parte, anche per il piccolo studente è un momento di transizione. Innanzitutto comincia la fase della pubertà e aumentano sia la coscienza di sé sia il senso critico. Anche le capacità cognitive aumentano, proprio quando nella scuola trovano, come si è detto, una minore espressione. Tutto questo porta a un minore interesse per la scuola, che diminuisce anche perché non è più l'unico ambiente esterno alla famiglia con cui il giovane si confronta.
Due atteggiamenti diversi
Non tutti i bambini ovviamente reagiscono allo stesso modo, e sono state individuate, per così dire, due grandi categorie. La prima è quella di chi ritiene che la sua intelligenza e abilità siano date una volta per tutte, cioè che sia impossibile migliorare o peggiorare; la seconda comprende chi invece ritiene che l'intelligenza e l'abilità si accrescano con l'esercizio e l'applicazione. In parole povere, i primi dicono: non posso farcela (o, al contrario, figurarsi se non ce la faccio), i secondi dicono: se insisto ci arrivo. E' chiaro che con la prima prospettiva il bambino si impegnerà soltanto in compiti che ha già provato di saper affrontare, mentre con la seconda sarà più aperto a nuove situazioni. Se poi il bambino che si ritiene bravo o poco abile "una volta per tutte" andrà incontro a insuccessi si produrrà un'ulteriore demotivazione e, in pratica, un circolo vizioso che si autoalimenta. Inevitabilmente, se alle elementari era effettivamente bravo, l'effetto dell'insuccesso sarà ancora più forte.
Al contrario, chi ritiene che capacità e intelligenza si costruiscano giorno per giorno sarà pronto ad accettare compiti che hanno il carattere della sfida. E' evidente che con queste premesse è più difficile che il rendimento cali.
Che cosa deve fare il genitore?
In questi casi, più che gli interventi coercitivi conta la rassicurazione, ma sui principi generali. Per esempio, insistere sul fatto che l'errore e il fallimento fanno parte del processo di apprendimento e che si può imparare soltanto così. Di conseguenza, non è il caso di richiudersi in ciò che si sa già, ma è bene accettare compiti sempre nuovi. Infine, fare presente che il livello delle prestazioni può essere aumentato attraverso l'applicazione e l'esercizio. Senza però cadere nell'eccesso di quelle che David Lazarus ha chiamato le idee tossiche, cioè in grado di danneggiare per sempre una persona se diventano convinzioni irremovibili. In questo caso l'idea tossica è che divertirsi, rilassarsi eccetera non servano a nulla. Al contrario, solo con la giusta quota di svago è possibile rendere effettivamente al massimo.
Maurizio Imperiali
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