Avarizia/regali terapeutici

20 giugno 2008
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Avarizia/regali terapeutici



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Perché si dice che donare è meglio che ricevere?
Donare implica offrire un dono non solo all'altro, ma anche a se stessi. Permette di consolidare un legame, di fare in modo che il ricevente diventi dipendente da noi. Inoltre, rafforza il nostro senso di competenza, la nostra autostima e la fiducia in noi stessi.

Un regalo non è uno scambio


Il gesto del donare necessità di libertà e di assenza di garanzia di restituzione futura.
In questo senso, la logica del dono si pone al di là della logica economica e dello scambio finalizzato al guadagno ed alla restituzione.
Essa implica uno scambio che va ben oltre il mero valore economico del bene regalato.
Donare rappresenta un modo per manifestare il nostro affetto. Per questo, quando una persona che ci è particolarmente cara ci regala qualcosa che non rispecchia i nostri gusti, o che non è della nostra taglia rimaniamo così delusi. Si tratta di una modo indiretto per farci capire che quella persona a cui tenevamo tanto non ci conosce così approfonditamente come pensavamo e che non c'è stato alcun tentativo da parte sua di conoscerci meglio.
In sintesi, il dono è una forma di comunicazione carica di un forte valore emotivo, che raggiunge il suo apice, in particolare, in occasione delle festività. Ad esempio, nel periodo natalizio, noi proiettiamo nei regali molte aspettative ed idealizzazioni che, la maggior parte delle volte, verranno quasi inevitabilmente deluse, in quanto eccessive. Da una parte, noi vorremmo che le festività ed i regali stessi compensassero ciò che non riusciamo ad ottenere nel resto dell'anno. Noi pensiamo che il nostro partner, ad esempio, sappia esattamente cosa desideriamo e ce lo regali: se questo non avviene, ci sentiamo molto frustrati. Dall'altra parte, se ci capita di ricevere un dono con un valore eccessivo rispetto alle nostre aspettative, finiamo col sentirci imbarazzati, ma soprattutto dubbiosi circa il reale messaggio veicolato dal dono. Esso potrebbe essere un sostituto dell'affetto di chi ce lo offre.

Il dono deve saper stupire, pur tenendo in debita considerazione i gusti del ricevente.
Il dono parla di noi stessi e dei sentimenti che proviamo per la persona a cui è rivolto.

Nel donare esistono delle regole più o meno implicite da rispettare.
Ad esempio, si dovrebbe evitare di rivelare il giorno del proprio compleanno, per non indurre un senso di 'obbligo' in chi ci sta ascoltando.
Il valore economico del dono non dovrebbe essere superiore o inferiore a quelli fatti in precedenza, per non mettere in imbarazzo chi lo riceve.
Spesso, inoltre, si è soliti utilizzare delle espressioni apparentemente ipocrite, come la risposta 'Non è nulla!', quando si pensa al contrario, di fronte all'apprezzamento accorato del ricevente.

Donare si apprende fin da bambini, quando i genitori, per primi, accettano i doni dei figli. Questo consente loro di vivere un senso di competenza e la possibilità di sentirsi valorizzati.
Se questo non accade, i ragazzi svilupperanno un vissuto di inutilità, unito alla convinzione di non avere niente di importante e di significativo da dare. Essi si sentiranno inadeguati e rassegnati e non riusciranno a rendersi conto che anche loro possono donare e, quindi, influenzare in senso positivo gli altri.

Chi non è in grado di donare: L'avaro


Un tipico esempio di persona che non è in grado di donare è l'avaro.
L'avaro ha come unico fine nella sua vita l'accumulo di denaro. Il denaro da mezzo diventa fine ed al suo confronto niente altro è importante.
Il denaro per l'avaro rappresenta se stesso ed il suo potere. Per lui vale l'equazione: "Ho, quindi sono". Il denaro che lui si impegna ad accumulare lungo tutto il corso della sua vita, però, è destinato a non essere mai speso. Esso rappresenta, paradossalmente, un potere che lui non può esercitare, in quanto verrebbe meno proprio nel momento in cui tentasse di esercitarlo, cioè nel caso in cui spendesse il suo denaro. Si tratta, quindi, di un potere destinato a non essere mai esercitato.

L'avaro sa di avere tale potere e questo gli è sufficiente.
Tutti gli altri valori della vita sono di nessun conto per lui, così come tutto ciò che non può essere monetizzato.
Il suo unico fine nella vita consiste nell'accumulo di denaro, cioè di una sorta di potere che non viene esercitato nel presente, ma rimandato in un futuro non meglio definito, che, comunque, non si realizzerà mai, pena la perdita di tale potere.
Questo è il metodo che lui utilizza per neutralizzare il suo timore del futuro e della morte.
Eppure, sembra quasi non rendersi conto che queste sue continue mortificazioni che si impone per non spendere il denaro, non fanno altro se non anticipare l'esperienza della morte. E' noto, infatti, che non si muore una sola volta, ma più volte nella nostra esistenza quotidiana, cioè tutte le volte in cui un nostro desiderio non viene appagato e, quindi, mortificato.

Oltre al timore per il futuro e ad una sorta di immobilismo nel presente, l'avaro ha paura delle relazioni sociali, in quanto le avverte come delle minacce al suo potere, cioè il denaro. L'avaro non ha avuto modo di imparare a donare nell'infanzia e considera il denaro, tra le altre cose, un sostituto dell'affetto e della sicurezza che non ha ricevuto in passato.

Non solo donare presenta determinate difficoltà, ma anche ricevere. Inoltre, così come si può imparare a donare, si può anche imparare a ricevere. Vediamo come.

Ma anche saper ricevere non è facile

Apparentemente non esiste niente di più semplice ed immediato che ricevere un dono. Eppure, esistono delle persone che non sono capaci di ricevere e dire "Grazie!".

Come abbiamo affermato in precedenza, fare un dono fa sì che il ricevente diventi dipendente dal donatore. Il dono può consentire di creare o di rafforzare un legame tra le due persone coinvolte nello scambio, in cui colui che riceve si trova in una condizione di presunta sottomissione. Essere dipendenti, inoltre, implica anche un senso di vulnerabilità.

Non tutti sono in grado di tollerare tale condizione.

Disporsi a ricevere un dono, inoltre, significa prepararsi a ringraziare e ad esprimere gratitudine e riconoscenza. Secondo Piaget, già questi da soli possono essere considerati una forma di restituzione. Saper accettare un dono e mostrare gratitudine rappresentano di per sé un dono che il ricevente fa al donatore. Ecco perché si dice che donare è un dono per l'altro, ma anche e in primo luogo per se stessi.
Disporsi a ricevere un dono, quindi, dà modo a chi ce lo fa di comunicare con noi, di esprimere il suo affetto nei nostri confronti e di legarci a lui.

D'altra parte, noi dobbiamo fare i conti con le nostre aspettative ed idealizzazioni che, a volte, possono essere eccessive. Ridimensionare le nostre attese, accettare che anche le persone a noi più care possono sbagliare o non rispettare pienamente i nostri gusti, ci rende più disponibili ad una comunicazione profonda e suggestiva di cui il dono rappresenta un'espressione.

Anna Fata
Psicologo



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