10 settembre 2004
Aggiornamenti e focus
Piccoli bulli crescono
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"Uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni....l'azione del bullo nei confronti della vittima è compiuta in modo intenzionale e ripetuto". Questa la definizione di bullismo di Dan Olweus, professore di psicologia all'Università di Bergen (Norvegia), il primo studioso, agli inizi degli anni 70, a essersi occupato in modo sistematico del fenomeno. I primi episodi e le prime campagne sull'argomento si sono sviluppate proprio in Norvegia, poi la ricerca si è sviluppata dai paesi Scandinavi, nel Regno Unito, in Giappone, in Olanda, in Canada, negli Stati Uniti e di recente anche in Italia, dove il fenomeno è tutt'altro che da sottovalutare. I dati forniti al Congresso Italiano della Sip (Società Italiana di Pediatria), a questo proposito, vedono una leadership, poco onorevole per la verità, dell'Italia in materia di bullismo in Europa. A ulteriore conferma del primato l'indagine condotta dall'ASL Città di Milano all'interno del progetto "Stop al bullismo", del Servizio famiglia, infanzia e terza età, da cui emerge come tra i bimbi milanesi dilaghi questo comportamento.
I numeri sono inequivocabili. Un bimbo su due alle elementari è vittima di prepotenze fisiche o psicologiche da parte dei compagni, mentre alle medie uno su tre. Il fenomeno riguarda, tra vittime e carnefici, il 64% degli alunni delle elementari e il 50% di quelli delle medie. Tre le forme di bullismo evidenziate dalla ricerca: fisico, preferito dai maschi, psicologico-verbale, più adottato dalle femmine, e indiretto, ugualmente diffuso tra i due sessi. Le vittime dei bulli hanno vita difficile, possono sentirsi oltraggiate, possono provare il desiderio di non andare a scuola. Nel corso del tempo è probabile che perdano sicurezza e autostima, rimproverandosi di attirare le prepotenze dei loro compagni. Un disagio che può influire sulla loro concentrazione e sul loro apprendimento. Alcuni bambini possono presentare sintomi da stress: mal di stomaco e mal di testa, incubi o attacchi d'ansia. Altri si sottrarranno al ruolo di vittima designata dei bulli non andando a scuola. Altri ancora possono persino sviluppare il timore di lasciare la sicurezza della propria casa. La scuola, evidentemente, rappresenta terreno fertile per questo tipo di fenomeno. Ma perché si verifica?
Un esperto come Gustavo Pietropolli Charmet, psicologo che si occupa di problemi degli adolescenti, attribuisce alla famiglia gran parte della responsabilità. "I genitori sono sempre più occupati dal lavoro. E la famiglia è sempre meno presente in qualche caso non c'è affatto. Può succedere, così, che i bambini se ne costruiscano una tutta loro a scuola o in strada, una famiglia sociale che, lentamente, prende il posto di quella naturale". Un passaggio che si verifica già alle elementari e che in qualche modo è incoraggiato dagli stessi genitori. Quando la leadership di questa famiglia sociale è nelle mani di bambini che vogliono affermare con forza il proprio potere nel gruppo e la propria identità si ha il bullismo. E la vittima designata è, infatti, non a caso, il tipico figlio di mamma, quello cioè accuratamente pettinato, vestito, viziato e coccolato, privo dei segni distintivi del gruppo e carico di quelli della famiglia. Ma si può fare qualcosa?
Il bullismo è una cosa seria
Innanzitutto è bene riflettere sul fatto che la probabilità che accada è statisticamente molto elevata, quindi è bene prestare attenzione a tutti i potenziali indicatori. Una richiesta improvvisa di non voler andare più a scuola, la sparizione di matite o il trovare i vestiti in qualche modo stracciati sono forti indici di allarme. Spesso il bambino ha paura a confidarsi con i genitori, temendo di essere reso ridicolo agli occhi dei compagni. Bisogna perciò porre molta attenzione al dialogo con i propri figli ed eventualmente interessare le maestre perché aumentino il controllo. Inoltre è bene prestare attenzione al rapporto che si instaura tra i genitori e gli amici del bambino, cercando di aumentare le occasioni di socializzazione e rendendo il proprio bambino meno esposto ai soprusi degli altri. Intervenire è necessario per tre ragioni fondamentali: il diritto basilare di ogni minore di sentirsi al sicuro e di non essere oppresso e umiliato; la consapevolezza che i bulli, se non vengono aiutati a modificare i loro comportamenti aggressivi, possono continuare a usare modalità aggressive nelle loro relazioni interpersonali; infine il fatto che le vittime dei bulli hanno vita difficile e più probabilità da adulti di soffrire di episodi depressivi. Il bullismo è una cosa seria e già molto si potrebbe fare se - come sottolinea Charmet - la scuola non si limitasse a insegnare matematica, italiano e inglese ma l'educazione in senso più ampio, seguendo la crescita di bambini e ragazzi. Missione impossibile?
Marco Malagutti
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...e inoltre su Dica33:
Bulli a scuola
I numeri sono inequivocabili. Un bimbo su due alle elementari è vittima di prepotenze fisiche o psicologiche da parte dei compagni, mentre alle medie uno su tre. Il fenomeno riguarda, tra vittime e carnefici, il 64% degli alunni delle elementari e il 50% di quelli delle medie. Tre le forme di bullismo evidenziate dalla ricerca: fisico, preferito dai maschi, psicologico-verbale, più adottato dalle femmine, e indiretto, ugualmente diffuso tra i due sessi. Le vittime dei bulli hanno vita difficile, possono sentirsi oltraggiate, possono provare il desiderio di non andare a scuola. Nel corso del tempo è probabile che perdano sicurezza e autostima, rimproverandosi di attirare le prepotenze dei loro compagni. Un disagio che può influire sulla loro concentrazione e sul loro apprendimento. Alcuni bambini possono presentare sintomi da stress: mal di stomaco e mal di testa, incubi o attacchi d'ansia. Altri si sottrarranno al ruolo di vittima designata dei bulli non andando a scuola. Altri ancora possono persino sviluppare il timore di lasciare la sicurezza della propria casa. La scuola, evidentemente, rappresenta terreno fertile per questo tipo di fenomeno. Ma perché si verifica?
Il ruolo dei genitori
Un esperto come Gustavo Pietropolli Charmet, psicologo che si occupa di problemi degli adolescenti, attribuisce alla famiglia gran parte della responsabilità. "I genitori sono sempre più occupati dal lavoro. E la famiglia è sempre meno presente in qualche caso non c'è affatto. Può succedere, così, che i bambini se ne costruiscano una tutta loro a scuola o in strada, una famiglia sociale che, lentamente, prende il posto di quella naturale". Un passaggio che si verifica già alle elementari e che in qualche modo è incoraggiato dagli stessi genitori. Quando la leadership di questa famiglia sociale è nelle mani di bambini che vogliono affermare con forza il proprio potere nel gruppo e la propria identità si ha il bullismo. E la vittima designata è, infatti, non a caso, il tipico figlio di mamma, quello cioè accuratamente pettinato, vestito, viziato e coccolato, privo dei segni distintivi del gruppo e carico di quelli della famiglia. Ma si può fare qualcosa?
Il bullismo è una cosa seria
Innanzitutto è bene riflettere sul fatto che la probabilità che accada è statisticamente molto elevata, quindi è bene prestare attenzione a tutti i potenziali indicatori. Una richiesta improvvisa di non voler andare più a scuola, la sparizione di matite o il trovare i vestiti in qualche modo stracciati sono forti indici di allarme. Spesso il bambino ha paura a confidarsi con i genitori, temendo di essere reso ridicolo agli occhi dei compagni. Bisogna perciò porre molta attenzione al dialogo con i propri figli ed eventualmente interessare le maestre perché aumentino il controllo. Inoltre è bene prestare attenzione al rapporto che si instaura tra i genitori e gli amici del bambino, cercando di aumentare le occasioni di socializzazione e rendendo il proprio bambino meno esposto ai soprusi degli altri. Intervenire è necessario per tre ragioni fondamentali: il diritto basilare di ogni minore di sentirsi al sicuro e di non essere oppresso e umiliato; la consapevolezza che i bulli, se non vengono aiutati a modificare i loro comportamenti aggressivi, possono continuare a usare modalità aggressive nelle loro relazioni interpersonali; infine il fatto che le vittime dei bulli hanno vita difficile e più probabilità da adulti di soffrire di episodi depressivi. Il bullismo è una cosa seria e già molto si potrebbe fare se - come sottolinea Charmet - la scuola non si limitasse a insegnare matematica, italiano e inglese ma l'educazione in senso più ampio, seguendo la crescita di bambini e ragazzi. Missione impossibile?
Marco Malagutti
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